“So che di me si parla assai”, comincia così il comizio. con il sorriso sulle labbra e voce gentile di chi non ha niente da temere e da perdere, il deputato regionale Nino Occhipinti (nella foto).
Poi si prende una pausa e scruta la folla assiepata nella piazza di Gela, quindi riprende il filo del discorso. “So che girano storie sul mio conto, prenderei le tangenti. Queste storie mi seguono da anni, ed è venuto il momento di guardarci negli occhi, io e voi. Sul mio conto non è stato finora mosso alcun addebito da parte dell’autorità inquirente, solo chiacchiere. Le ipotesi sono due: o non ho preso tangenti e sono pulito o ho rubato con tale astuzia e intelligenza che non hanno mai potuto accusarmi di niente. Scegliete voi. La fiducia potete riporla su un uomo politico senza macchia, né guai giudiziari, oppure su un uomo astuto e intelligente.”
La piazza esplode in un applauso entusiasta. “E’ spertu”, commenta. “U cchiu spertu di tutti”. E c’é chi aggiunge, magari sottovoce: “ci voli coraggio”. Ed in effetti a Nino Occhipinti, avvocato, ex ufficiale dei Carabinieri, vittoriese di nascita, gelese di adozione, il coraggio non manca, né la caparbietà e l’intelligenza. Non si spiegherebbe altrimenti il suo successo elettorale in una città, Gela, divisa tra bianchi, la Dc, e rossi, il Pci per decenni.
Nino Occhipinti nasce a destra e finisce a sinistra una lunga e intensa carriera politica, senza subire tracolli. Una sinistra pallida, molto pallida, la socialdemocrazia, ma lontana dalle nostalgie originarie. In grembo alla destra missina Nino Occhipinti vive la stagione migliore. Il Msi è un abito tagliato su misura. Occhipinti possiede parole, toni, gesti della fiamma tricolore. Arringa la folla con ardore e intensità. Ricorda l’eloquio forbito del segretario, il mitico Luigi Almirante, la sua energia, il suo fascino. Gli mancano solo i baffi, che Almirante non dismise mai.
Quando a Gela l’Agip cerca il petrolio, a metà degli anni Cinquanta, Nino Occhipinti è già deputato, alla seconda legislatura. E quando le trivelle trovano l’oro nero sulla piana di Gela, entra per la prima volta nel governo regionale di centrodestra, presieduto da La Loggia, come assessore alle Foreste e Rimboschimenti. Un assessorato di terza fila, ingiustamente sottovalutato. Siccome allora, come oggi, gli alberi bruciano, il rimboschimento è un’attività che la Regione siciliana assolve con rimarchevole attenzione. Mettere a dimora le piante su terreni devastati dalle fiamme è un lavoro che le imprese si contendono, secondo soltanto al cosiddetto “movimento di terra”, cioè al trasporto e deposito in sito di terra.
Gli alberelli da reimpiantare – 625 per ettaro – e i movimenti di terra, hanno il pregio di concedere alle imprese ampia fiducia, e si sa che quando si concede fiducia, si lavora contenti. La Regione siciliana, tra l’altro, non bada a spese, il bilancio è florido, gode delle compensazioni ottenute dallo Stato nel ’47, con l’autonomia speciale. Tempo di vacche grasse, insomma. L’assessorato alle Foreste e Rimboschimenti, è dunque ambito. E Nino Occhipinti, che è “spertu”, per giudizio unanime, non si sente affatto messo all’angolo.
Un ruolo determinante, questo va specificato, ce l’hanno i piromani, che in quegli anni inaugurano la stagione degli incendi e adottano un metodo infallibile per provocare fiamme inarrestabili in territori vasti: il metodo a “coda di gatto”, che farà scuola in futuro. Il piromane lega un pezzo di stoffa inzuppata di benzina alla coda del gatto e il povero animale corre a destra e a manca nella pia illusione di liberarsi del fuoco. Il risultato è garantito, perché non ci sono ancora i Canadair. All’assessore alle Foreste non resta, a malincuore, che rimboschire.
Il nostro deputato trascorre giornate intense, faticose. Spezzate le reni al governo Milazzo, che ha coalizzato tutti i partiti contro la Dc, Nino Occhipinti torna al governo, stavolta presieduto dal barone Benedetto della Nicchiara, monarchico. E riprende l’assessorato di terza fila, ai Rimboschimenti. Quando si dice il destino! Nel 61 cade il governo e comincia la Grande Storia di Gela, l’industrializzazione. S’intrecciano le sorti fra la fabbrica e Nino Occhipinti. Il nostro deputato è più svelto degli altri, capisce che niente sarà come prima, così si guarda attorno, per non affrontare a mani nude l’incognita del futuro.
La fabbrica intanto a Gela compie il primo dei miracoli annunciati: sconfigge i piromani boschivi. Si piglia il boschetto di Bulala, mettendo fine alla stagione del rimboschimento.
I piromani compiono una impresa off shore: bruciano le carte dell’assessorato alle Foreste, conservate negli uffici dell’assessorato alle Foreste. I documenti alimentano per una notte a Palermo un falò alto e corrivo. Scompaiono così le tracce di commesse ed appalti. Nessuno, che si abbia notizia, versa lacrime. C’è ben altro cui dedicarsi. Gela è diventata la capitale della rinascita del Mezzogiorno. Ma c’è una coda velenosa imprevista: gira il sospetto, malsano, che l’incendio abbia avuto dei mandanti. I siciliani amano mascariare tutto e tutti, una vecchia consuetudine.
Il deputato Occhipinti, a questo punto non se la tiene, decide di prendere di petto i denigratori anonimi. E lo fa nel memorabile comizio in Piazza Umberto I a Gela, cui abbiamo già dato conto: interroga la piazza, zittendo i malpensanti. E apre una nuova stagione. Più faticosa ma non meno avara di successi. Fa di Gela il suo fortino inespugnabile. Rivolge ad essa le sue cure. Abbandona il Msi lascito del dopoguerra, le nostalgie per l’impero e i treni in orario, e visita gli schieramenti politici nati con la Repubblica, uno dopo l’altro, giusto per farsene un’idea.
La presenza di Giuseppe Saragat a Gela per l’inaugurazione del petrolchimico, gli offre forse l’ispirazione, sarà il Psdi il traguardo finale. Eletto senatore sotto nuova bandiera nel 1976, entra nel governo Andreotti, come sottosegretario agli Interni. Dura poco, dal 28 marzo al 3 agosto 1979, ma è una piccola rivincita anche nei confronti dell’Eni, che lo ignora.
Lo scontento della comunità gelese verso la fabbrica gli regala una grande opportunità: rappresentare l’ondata di protesta. Si pone così alla testa della fronda, lasciandosi alle spalle il passato nomade, per costruirsi un partito, collegato ad uno schieramento nazionale con un simbolo civico, Comunità, icona della piccola patria, Gela, da difendere con le unghia e i denti dall’invasore nordista. L’improbabile Nelson Mandela ottiene credito e voti. Ovunque si reca, guadagna nuovi consensi. Senza perdere lo zoccolo duro dei seguaci della prima ora, persuasi che sia l’uomo di sempre. Non ha perso l’oratoria almirantiana, l’arte affabulatoria, il tratto elegante, la naturale empatia verso gli altri. Tremano perciò a Gela democristiani e comunisti.
Dove vuole arrivare costui, si chiedono. Bisogna correre ai ripari. Mirare al bersaglio grosso, la sua passione per gli alberi ed il rimboschimento. E non sbagliano, Nino Occhipinti subisce i soliti sospetti. Lui, in verità, una mano la dà ai detrattori; non è un angioletto (ma chi lo è in politica?). Quell’audace comizio in piazza avvelena il clima. Ma il risultato elettorale con il nuovo partito, Comunità, mette a tacere i nemici. Lo scontento verso la fabbrica gli consegna un patrimonio inestimabile di consensi trasversali per conquistare il comune ed attraverso il comune, mettere alle corde l’Eni.
Ormai Nino Occhipinti è un treno in corsa, non può essere fermato senza farsi male. Ed è a questo punto però che lo scenario muta. L’indignazione per la piccola patria consegnata ai neocolonialisti si ammorbidisce di colpo, e arriva una commessa concessa dall’Anic ad una piccola azienda che rimanda a persone vicine al nostro deputato (secondo i malpensanti). Si tratta della manutenzione del verde nella popolosa Macchitella, appendice urbana del petrolchimico. Gli hanno messo il “mussile”, pontificano i malpensanti. Comunque sia, un fatto è certo: ciò che non è riuscito ai partiti, riesce alla fabbrica.
Per Nino Occhipinti è quasi un riconoscimento, dedicatosi al rimboschimento, approda ai giardini di Macchitella. Lo seguono anche i piromani, che proprio nel verde di Macchitella bruciano le auto di chi parla assai. Nino Occhipinti non ha niente a che vedere con i fuochi notturni, su questo non ci piove.
Finisce qui, nel verde di Macchitella, la carriera dell’uomo politico più intraprendente della storia contemporanea di Gela. Il tesoretto di consensi pretende però che non scompaia il brand. Toccherà al figliolo, Gianfranco, tenere in piedi la tradizione. Un buon ragazzo, ma senza l’estro del papà. In più s’imbatte in guai giudiziari, che gli renderanno la vita difficile e sofferta.
Perché vi ho raccontato questa storia? La fabbrica è una specie di convitato di pietra. Seguendo le sue tracce ci si imbatte anche in Nino Occhipinti. Influenza le vicende politiche del brillante parlamentare, ma ne sarà in qualche modo influenzata. Il fotogramma finale del film ci regala un esito paradossale. Il management dell’Eni che vieta la propaganda politica nella città satellite di Macchitella, offre all’uomo politico più ostile la cura dei suoi giardini, stando alle dicerie del tempo.
Se Gela è la metafora dell’industrializzazione del Mezzogiorno, la storia del nostro deputato è la metafora del controverso rapporto fra l’industria e la comunità locale. A riprova del fatto che la mission dell’Eni – lo sviluppo, il progresso – non fu solo un’utopia da usare per mettere a reddito il petrolio fangoso di Gela, ma un moltiplicatore di consuetudini non proprio nobili.
Per quale ragione? Se l’industria diventa il perno del sistema da scardinare, ne diviene, fatalmente l’anello portante.