Costretto dall'evolversi di una politica che si conferma altamente mutevole, il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, dopo il ritiro deciso da Renzi dei rappresentanti di “Italia viva” nella compagine di governo, si è ritrovato a porre una sorta di questione di fiducia sul Mes.
Tutto apposto alla Camera, i dubbi fortissimi erano sul piano numerico al Senato. Sappiamo tutti come è andata a finire. L'atto alla fine è passato, ma Conte ha preso atto di non avere più una maggioranza e dopo aver riunito il consiglio dei ministri, ha consegnato le proprie dimissioni al presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Il contesto congiunturale ha voluto che lo scontro avvenisse sul “Mes”, ma poteva accadere benissimo sul “Recovery fund”, altro argomento su cui Renzi era dichiaratamente in rotta di collisione, aprendo di fatto la crisi.
Ciò consente a chi è rimasto palesemente fuori dagli interventi previsti nel “Recovery plan”, di sperare di poter rientrare in qualche modo in gioco. L'ipotesi che sembra maggiormente in piedi, a primo acchito, è quella di un governo “di unità nazionale” o comunque “di scopo”, almeno fino all'elezione del Capo dello Stato, magari con due o tre punti prioritari, tra cui l'ennesima riforma della legge elettorale. Tra questi punti prioritari ci sarà comunque il Recovery fund. Un nuovo governo potrebbe avere interesse a stravolgere il documento di assi strategici, mission ed interventi approvati dal consiglio dei ministri recentemente. Ma anche in un ipotesi alternativa di un “Conte Ter”, possibile solo con Renzi dentro (“Pd” e “Fi” non possono allearsi in un governo di legislatura, ma solo in ipotesi di governo di unità nazionale, o di scopo, mentre l’alleanza tra Pd, M5S e la destra “sovranista” di Salvini/Meloni, è a dir poco improponibile), quest'ultimo chiederebbe in ogni caso il passo indietro sul “Mes” e sul “Recovery fund”, altrimenti non potrebbe mai spiegare agli italiani l'operazione compiuta. Senza dimenticare una terza ipotesi: la più sciagurata a parere di scrive e cioè di un governo presidenziale tecnico dietro a cui i partiti che ci stanno garantirebbero un appoggio esterno, celando le proprie responsabilità innanzi l'elettore in vista del rinnovo dei due rami del parlamento alle politiche.
Una cosa è certa, però. Il Conte bis, che ha approvato il “Recovery plan” è morto e sepolto. Ciò concede la chance a chi si è mosso tardivamente di aprire una breccia. Il consiglio comunale monotematico sul “Recovery plan” è stato rinviato a data da destinarsi. Il territorio avrebbe potuto e dovuto sfruttare i propri riferimenti al governo, in particolare quello del Partito democratico, il ministro al Sud Guseppe Provenzano e quello del Movimento 5 Stelle, il vice ministro alle infrastrutture Giancarlo Cancelleri. Così non è stato. Gela, il suo comprensorio e lo stesso Libero consorzio di comuni nisseno, invero, sono stati ignorati sul piano infrastrutturale dal “Recovery plan” appena approvato in Consiglio dei ministri e tutti sappiamo che è sul piano delle infrastrutture che versa il principale e più vistoso ritardo della città e ed i comuni viciniori. Non c'è traccia di interventi ricadenti sul territorio ed inerenti ad esempio la portualità, le reti autostradali, quelle ad alta velocità, le linee ferroviarie e via di seguito.
L'iniziativa prospettata mercoledì scorso dal sindaco, Lucio Greco, per quanto disperata e con poche prospettive di successo, è d'obbligo. Vale la pena comunque provarci e senza alcuna lista di desideri, ma con un'unica richiesta su cui puntare, quell'hub del mediterraneo che rappresenta uno dei punti cardini e qualificanti, propugnati sul piano programmatico in campagna elettorale: «sono fermamente convinto – afferma il sindaco Greco – che il Recovery Plan stia per diventare l'ennesima occasione persa per il nostro territorio, che a quei fondi potrebbe attingere per costruire una nuova portualità d'eccellenza e diventare un hub attrattivo sia dal punto di vista del turismo che del commercio. Invece, leggo che ad essere incentivati saranno i porti di Genova e Trieste e c'è davvero da rimanere basiti. Che fine ha fatto – si chiede – il famoso Polo Euro – Mediterraneo auspicato e finanziato dall'Europa con 222 miliardi?
In che modo dovrebbe nascere il sistema logistico mediterraneo? A queste condizioni rimarrà tutto sulla carta, come viene ampiamente denunciato dal Manifesto per il Sud cui hanno già aderito oltre 200 personalità, tra cui intellettuali, rettori, docenti universitari e ambasciatori. Io intendo fare qualcosa, non resterò con le mani in mano quando la mia città, grazie alla sua posizione geografica, potrebbe candidarsi a diventare una delle capitali della nuova Europa. Sto pensando di istituire un comitato che riunisca tutti i sindaci dell'Hinterland, al fine di portare avanti insieme questa battaglia nelle sedi istituzionali opportune, forti delle linee guida europee che vanno proprio nella direzione verso la quale voglio orientarmi. Il Recovery plan – conclude - è un treno che non possiamo assolutamente permetterci di perdere».
É una storia vecchia quanto il mondo – si legge nel comunicato diffuso ai media da palazzo di città – quella che denuncia il primo cittadino gelese, che si riallaccia direttamente alla famosa "Questione Meridionale" che si studia anche nei libri di storia. Il piano in questione è, nel caso specifico, il Recovery plan cui ha messo mano il governo centrale senza tenere minimamente in considerazione le linee guida dettate dall'Unione europea, e che puntano proprio a colmare l'atavico divario Nord – Sud per fare in modo che, finalmente, possano correre alla stessa velocità, migliorando i collegamenti e frenando le migrazioni e la disoccupazione. «I sindaci – precisa – sono i rappresentanti dei propri cittadini, e hanno il dovere di alzare la voce per farsi sentire fino a Palermo e a Roma quando nei Palazzi si mettono in campo strategie e si elaborano piani senza capo né coda che, oltre ad essere frutto di incompetenza ed indifferenza, finiscono per penalizzare sempre i soliti, vale a dire le infrastrutture del Sud Italia e delle Isole, a tutto vantaggio di quelle del nord Italia.