Del vulcanico, geniale, tempestoso Cesare Zavattini (nella foto con Vittorio De Sica), emiliano di Luzzara: sceneggiatore, scrittore, poeta, pittore, fumettista e tanto tanto altro ancora, uno dei padri nobili del Neorealismo, si è scritto e detto tanto.
E sono state così innumerevoli le attività e le iniziative della sua lunga e variegata attività artistica, che spesso ci si dimentica come egli nell'83 abbia pure fondato a Roma la “Libera Università del Cinema” insieme ad Alessandro Blasetti. Progetto nato forse sulle ali dell'entusiasmo che nell'82 lo aveva visto debuttare nella regia ad 80 anni con il film La veritàaaa!
Ebbene, oggi quella scuola è fra le più prestigiose d'Italia, e ha contribuito nei suoi 35 anni di vita a formare molti professionisti della “Settima Arte”. Io quella scuola la frequentai nel 1984 agli albori del suo lungo percorso.
Fu quella una esperienza formativa unica e un laboratorio prezioso per apprendere non solo la storia e le teorie del cinema, ma anche le tecniche del set. Infatti, una caratteristica importante di questa università è stata sempre quella di mettere gli allievi, alla fine del triennio accademico, nella condizione di lavorare subito, grazie all'apprendimento pratico dell'utilizzo degli strumenti del mestiere.
Potrei raccontare molto di quella esperienza vissuta alla LUC, ma vorrei solo soffermarmi su una delle poche lezioni tenute da Zavattini. In verità, all'epoca “Za” come veniva chiamato affettuosamente dagli amici, aveva già 82 anni e non era al meglio della forma, ma era ancora molto attivo e pieno di progetti. Lo sarebbe stato sino al 1989, anno della sua scomparsa.
Di Zavattini ricordo quella sua voce così particolare, quel suo gesticolare, quella sua continua ma in fondo bonaria incazzatura. Quel suo prendere gli allievi di petto e gridargli in faccia “E tu? Perchè vuoi fare il cinema? Perchè!”. Quasi volesse responsabilizzarci e farci comprendere come la cinematografia non era solo un 'arte, ma anche uno strumento per...cambiare il mondo. Egli era così: diretto, graffiante, iracondo, capace di spiazzare chiunque. Non a caso fu il primo a pronunciare in radio, era il 1976, la parola... cazzo, fedele alla sua fama di grande provocatore.
Concretamente, Zavattini in quella lezione parlò del cinema neorealista e del suo rapporto con Vittorio De Sica (il mio regista preferito e a mio giudizio più grande dello stesso Fellini) con il quale collaborò trent'anni, contribuendo alla nascita di capolavori come Teresa Venerdì, I bambini ci guardano, Sciuscia, Ladri di biciclette, Umberto D, Miracolo a Milano, Il giudizio universale, La Ciociara, Ieri oggi domani, Matrimonio all'italiana, I girasoli, senza peraltro dimenticare altre importanti collaborazioni con Camerini, Brignone, Gallone, Visconti (cito per tutti Bellissima con Anna Magnani), Blasetti, Lattuada, Zampa, De Santis, Damiani.
Quella lezione alla LUC trovò quindi in me terreno fertile, avendo io amato sempre il Neorealismo, un attaccamento a quel cinema che avrebbe condizionato poi tutto il mio excursus professionale, sebbene l'unico film di stampo veramente neorealista da me girato sia La Domenica del Signore, mai uscito nelle sale, ma accostato da Pupi Avati (bontà sua!) al capolavoro di Robert Bresson Un curato di campagna.
Quest'anno ricorrono i 120 anni della nascita di Zavattini, e penso che non mancheranno iniziative atte a ricordarne la potente figura di intellettuale poliedrico e anticonformista, uomo di pace e di fratellanza (nel 1955 aveva ricevuto ad Helsinki il Premio Mondiale per la Pace), sinceramente interessato con la sua graffiante ironia a denunciare il potere politico e le dissonanze sociali che umiliano i più deboli.
Non a caso nel 1979 egli era stato uno dei fondatori dell' “Archivio audiovisivo del movimento operaio e democratico”, nato proprio per fare memoria della storia contemporanea, ma anche per tenere vigile l'attenzione sulle problematiche di un'Italia che a quel tempo viveva mille contraddizioni sociali e la tragedia del terrorismo (il 9 maggio del '78 era stato assassinato Aldo Moro).
Il mio augurio è che in questo 2022 anche il Museo del Cinema di Gela, possa omaggiare “Za”, perché i giovani ne conoscano l' imponente opera cinematografica e letteraria, il creativo eclettismo, e l'alta statura morale.