Gela, 1970. La storia che nessuno conosce. Petrolio, delitti, golpe, intrighi e...

Gela, 1970. La storia che nessuno conosce. Petrolio, delitti, golpe, intrighi e...

Sergio Mattarella, ricordando Mauro De Mauro in occasione dell’anniversario della sua scomparsa, ha affermato che è l'assenza di giustizia per la sua morte costituisce “una sconfitta dello Stato”.

Sacrosanto. Ma lo Stato, quello di ieri, quando il giornalista fu sequestrato, volle giustizia? Se non la volle, non fu sconfitto. Né vittorioso, anzi: arretrò per sfuggire all’intrigo che ne avrebbe mostrato una umiliante maschera, quella della ragion di Stato. E’ capitato per altre tragedie che hanno insanguinato l’Italia. Come Ustica, per fare un solo esempio. O Bescapè, dove morì Enrico Mattei. I delitti senza colpevoli, come quello di Mauro, non sono delitti perfetti ma delitti che non possono avere verità. 

Fare luce sulla scomparsa di Mauro De Mauro significava far luce sui maneggi delle potenze del petrolio dei servizi segreti, delle mafie. Percorso impervio, anche per quanti hanno cercato di fare il proprio dovere per avere giustizia sulla scomparsa del giornalista.

Ho conosciuto da vicino Mauro (ho lavorato, ragazzino, per il giornale L’Ora…), e mi sono fatto un’idea sulle attitudini del personaggio, le sue tensioni emotive, la sua voglia “incurabile” di guadagnare la prima linea, sempre e comunque. Ma questo non basta per arrivare alla verità, ma basta per capire in quale pericoloso ginepraio il giornalista si sia cacciato, ed immaginare la trappola in cui è precipitato. 

Muro De Mauro era un giornalista investigativo, assegnato alle pagine sportive. Non poteva essere contento di questo posizionamento professionale incongruo, sentiva il bisogno di volare alto e prendersi una rivalsa. Gli era stato chiesto da Francesco Rosi di collaborare alla ricostruzione del “caso” Mattei per il film in lavorazione. Cercava e scavava per Rosi e per sé. Un uomo della sua tempra, con una vita intensa ed avventurosa alle spalle, non può accontentarsi di tenere insieme i pezzi del deja vu, o della notizia da sbattere in prima pagina.

Mira più in alto. Preferiva “gestire” le informazioni piuttosto che raccontarle subito e bene, come saggezza suggerisce. Sentì il bisogno di andare oltre, riannodare i fili, capire: la morte di Mattei nel cosiddetto “incidente” di Bescapè, gli intrallazzi ed i comparaggi della mafia siciliana, allora legata da un cordone ombelicale a Cosa nostra americana ed ai suoi “datori di lavoro” Oltreoceano (e non solo). Un travaglio investigativo che si svolgeva durante la preparazione del golpe Borghese in un mondo sommerso con i suoi potenti guardiani. Mauro divenne una mina vagante. 

Tentare di percorrere il filo delle indagini sul sequestro del giornalista è impresa ardua, disperata, così come ripercorrere la storia giudiziaria che quell’immane lavoro investigativo ha prodotto. E’ stato provato, senza ombra di dubbio, che ci fu la mano della mafia siciliana nel sequestro, grazie a testimonianze, indizi e “fatti” inoppugnabili. Si arriva spediti ai fatti che precedono e seguono il delitto, ma il filo si spezza quando si pretende di arrivare alla testa del serpente per schiacciarla. 

In tre episodi, scolpiti nella mia memoria (di essi offro testimonianza diretta) ricorre tra l’altro Gela. Li ricordo, a me stesso ed ai lettori. Poche ore prima dell’incidente sul cielo di Bascapè (nel quale perse la vita insieme al pilota), Enrico Mattei si recò a Gagliano Castelferrato e poi a Gela. Lo attesi al Motel Agip, come altri colleghi, per chiedergli quale soluzione sarebbe stata adottata sulle royalties, derivanti dall’estrazione del petrolio, spettanti alla Regione Siciliana. Quanto ci avrebbe guadagnato la Sicilia, insomma dallo scenario texano.

Il presidente era indaffarato, mi parve infastidito per la domanda, suggeritami dall’allora direttore del giornale L’Ora, Vittorio Nisticò. La risposta fu tranchant e non permetteva repliche. “Lo vada a chiedere al presidente della Regione”, disse voltandomi subito le spalle. Il governatore allora era D’Angelo, che declinò l’invito a recarsi a Milano con il velivolo di Mattei. Lo stesso avrebbe fatto Graziono Verzotto, presidente dell’Ente Minerario Siciliano e segretario della Dc siciliana. Verzotto declinò l’invito, salvando la vita. “Devo partecipare al direttivo della Dc di Gela”, raccontò ad un giornalista del settimanale Epoca. Ma a Gela, in quel tempo, la Dc era guidata da un commissario, il preside Nunzio Trainito. Non c’era il direttivo. Non traggo conclusioni affrettate da questa motivazione, ma le cose stanno così.

Mentre Mattei si trovava a Gela fu manomesso, secondo gli investigatori, l’aereo parcheggiato all’aeroporto di Catania. Otto anni dopo Mauro venne a Gela e mi cercò. Il giornale non c’entrava, avvertì subito. Stava ricostruendo le fasi che precedettero l’incidente aereo di Bascapè con tutto il materiale esplosivo che contenevano. E siccome le ultime ore della sua vita Mattei le trascorse a Gela, voleva raccogliere informazioni.

Mi invitò a cena  all’Hotel Mediterraneo, dove alloggiava. Una tavolata con una decina di persone, di loro ho perso la memoria. Mauro durante la cena si alzò più volte. Girava attorno al tavolo con passo lieve e claudicante, la sigaretta in bocca,  visibilmente inquieto. Credo di averlo avvicinato, ma se l’ho fatto, non servì a distrarlo. Nemmeno una parola. Era solo con se stesso. Mi sono chiesto tante volte che cosa lo preoccupasse quella sera, alla vigilia del suo sequestro a Palermo E’ possibile che a Gela avesse ricevuto delle informazioni utili per individuare gli autori dell’attentato a Mattei e i loro mandanti?

Oppure che proprio in quelle ore, avesse ricevuto notizie sulla preparazione sulla trama golpista di Valerio Borghese, notoriamente amico e sodale del giornalista nell’altra vita, da fascista militante? Ma è come arrampicarsi sugli specchi, non c’è uno straccio di prova che giustifichi una simile ipotesi. Di certo Gela, già allora invasa dalle mafie riesine e palermitane al seguito dei lucrosi appalti della Cassa per il Mezzogiorno e dell’Eni, è stata sfiorata dai tragici eventi che provocarono la morte del presidente dell’Eni. Non fosse altro perché il sottosuolo di Gela, terraferma e in mare, costituiva lo strumento prezioso per accedere mondo esclusivo dei produttori di petrolio e, in seguito, sconvolgerne le regole (il celebre fifty-fifty sulle royalties, che puniva le multinazionali del petrolio, a favore dei paesi produttori). 

Il contesto, tuttavia, sarebbe  invero più ampio: la guerra per le risorse energetiche è solo il tassello, seppure il più importante. L'Italia era a quel tempo una delle frontiere del mondo, divise dalla cortina di ferro. Da una parte il blocco sovietico, dall’altra l’Occidente democratico e capitalista. Mattei governa la politica energetica del Paese, attraversa a suo piacimento la cortina di ferro e fa affari anche con il Cremlino, senza chiedere permesso a nessuno. Un Capitano  audace, “spiccio”, furbissimo, pragmatico, a capo del suo cane a sei zampe (che non conosce padrone). Era perciò nel mirino. 

Il Paese è diventato un albergo a ore per servizi segreti di tutto il mondo. E il ’70 è un anno nero: l’attentato al giornalista ragusano Giovanni Spampinato che indaga sul terrorismo nero (Stefano delle Chiaie) ed i suoi apparentamenti con nababbi del petrolio; il 14 luglio scoppia la rivolta di Reggio, il 22 luglio l'attentato alla Freccia del Sud, il 16 settembre la scomparsa di De Mauro, il 7 dicembre il golpe Borghese, qualche bomba esplode a Palermo. 

Alla mafia siciliana erano affidate le imprese difficili, il lavoro sporco: è affidabile, assicura una copertura perfetta, rispetto dei patti, riservatezza. Nel 1970, riferirà Tommaso Buscetta alla Commissione antimafia, il gotha della mafia siciliana viene avvicinato perché fornisca ai golpisti di Valerio Borghese, i picciotti armati, da utilizzare in caso di resistenza. Mafia braccio militare, dunque; e non ispiratrice, né promotrice. 

Nel 1970 Spampinato scrive su L’Ora: Che ci faceva in quei giorni a Ragusa Stefano delle Chiaie? E il principe Borghese, che ci faceva da quelle parti? E quel potente armatore greco Maphalopoulos, ammanigliato con la Dc di Ragusa e Siracusa, non è il più grosso finanziatore dei movimenti neofascisti in Italia?"

(1ª parte – Continua)