Gela, 1970. La storia che nessuno conosce: Petrolio, delitti, golpe, intrighi e... (parte II)

Gela, 1970. La storia che nessuno conosce: Petrolio, delitti, golpe, intrighi e... (parte II)

Con questa seconda parte si conclude il servizio di Salvatore Parlagreco. La prima parte era stata pubblicata – con lo stesso titolo – nel numero scorso.

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Faccio un passo indietro. Nel 1970 il principe Junio Valerio Borghese prepara il cantiere golpista, nei suoi piani c’è il coinvolgimento di Cosa nostra. Offre ai boss l'alleanza (in cambio di amnistie ed aggiustamenti di processi), ma pretende che i boss siano riconoscibili, un esercito normale in armi.

”I politici chiesero da 3000 a 10 mila uomini”, rivela Buscetta. Greco e Buscetta risposero che avevano gli uomini. Volevano garanzie, se Liggio ci stava o meno nel colpo di Stato. E loro risposero che ci stava. Ma Liggio non ne sapevo nulla. “Mi promisero la libertà”, li smentisce Liggio.  “Ma quando mi vennero a trovare a Catania io non li ricevetti. Sfumò così il loro affare e fecero una brutta figura con la controparte politica, quei megalomani volevano portare il paese sull'orlo dell'irreparabile..."

De Mauro fu preso sotto casa, in Viale delle Magnolie a Palermo, il 16 settembre, di sera. Nei giorni che precedettero il sequestro disse alla moglie e alla figlia che era venuto a conoscenza di qualcosa che avrebbe fatto tremare l'Italia... Che cosa? La droga, come pensarono i carabinieri? l'attentato a Mattei, del quale Mauro si occupava per conto del regista Rosi? O il principe Junio Valerio Borghese, compagno d’armi nella X Flottiglia MAS e nella Repubblica di Salò ( le figlie di Mauro De Mauro si chiamano Junia e Valeria).

Mauro si recò a Ragusa due o tre mesi prima della sua scomparsa. Parlò con Spampinato? Potrebbe avere visto Borghese? Seppe comunque quello che stava succedendo? I “pentiti” hanno riferito che fu il boss riesino Giuseppe Di Cristina, di casa a Gela, a farlo sequestrare... 

“Ci incontrammo con Calderone e con Giuseppe Di Cristina”, racconta infati Buscetta. “così appresi che il principe Julio Valerio Borghese stava organizzando un colpo di Stato in chiave anticomunista, avvalendosi dell'appoggio di alcuni settori politici... Il principe Borghese intendeva ottenere un appoggio armato in Sicilia attraverso Cosa nostra, nell'ipotesi che occorresse usare le armi per stroncare eventuali opposizioni... Le armi sarebbero state tempestivamente procurate dallo stesso Borghese. Il colpo di Stato era chiaramente di marca fascista, e ciò creò chiare perplessità sia in me, sia in Salvatore Greco, mentre Calderone e Di Cristina erano entusiasti; inoltre, alcuni settori di partiti governativi e di altre istituzioni erano pronti a fornire il loro appoggio.

Borghese avrebbe voluto i nomi dei mafiosi in campo. Dovevano portare al momento dell'intervento una fascia verde, come segno distintivo di appartenenza. E ciò creò perplessità, l'elenco non venne nemmeno preso in considerazione, “nessun capofamiglia avrebbe acconsentito”. “Anche Gaetano Badalamenti”, afferma Buscetta, “condivise le nostre perplessità e, quindi, comunicammo a Calderone che, da parte nostra, non avremmo partecipato né comunque preso posizione su quanto si stava preparando... Appresi da Gaetano Badalamenti che Calderone si era incontrato di nuovo con Borghese per manifestargli il nostro rifiuto e la sua adesione, ma il principe comunicò che tutto era stato rinviato a causa della inopinata presenza della flotta russa nel Mediterraneo".

Bastò far ascoltare il rumore di catene per raggiungere l’obiettivo, ristabilire lo status quo. Niente avventure politiche con i comunisti, insomma.  Negli Stati Uniti l’Italia, la partecipazione comunista al governo era vista come fumo negli occhi. E si bagnavano prima che piovesse. Prepararono infatti le contromisure (lo stesso sarebbe accaduto altre due volte, nel ’73 e nel 79), risvegliando gli apparati sotto copertura (Gladio, i “patrioti” anticomunisti, le Logge, le mafie…). 

La morte di Enrico Mattei, una manna dal cielo di Bescapè, aveva fatto tornare l’Eni nei ranghi, seppure a passi felpati. Valerio Borghese avrebbe rimesso la pistola nel fodero, senza lasciare traccia. 

Ma Mauro ancora non lo sapeva. Aveva annusato l’aria e scoperto il marcio. Confessò alla moglie poco prima del sequestro di avere in mano “qualcosa che avrebbe fatto tremare il Paese. Uno scoop da Premio Pulitzer”. Fece cenno alla figura di un certo Presidente”, evidentemente implicato nell’affaire Bascapè (O Borghese?). 

Il giornalista aveva incontrato Graziano Verzotto, luogotenente di Mattei, e il Presidente della Regione pro-tempore, D’Angelo. E si occupava di Mattei, Presidente dell’Eni. A quale di questi si riferisce, accennando alla moglie la sua scoperta da “Premio Pulitzer”? 

Verzotto è l’uomo chiave, probabilmente. Ha declinato l’invito di Mattei di partire con l’aereo di Mattei per un impegno politico a Gela di dubbia veridicità, salvando la pelle. Nel 1970, risulta dalle carte che abbia incontrato Tommaso Buscetta, Giuseppe Calderone e Gerlando Alberti, i quali – a loro volta, lo ricordiamo – sono stati interpellati dal Principe Borghese sulla partecipazione della mafia al colpo di Stato. Il 14 settembre 1970, due giorni prima del sequestro, De Mauro si reca nella sede dell'E.M.S. (Ente minerario siciliano) e vede Graziano Verzotto, l'uomo di Mattei e di Vito Guarrasi (l’eminenza grigia che i potenti di Sicilia venerano). De Mauro fa troppe domande sugli ultimi giorni di Mattei in Sicilia. Il fatto che sia arrivato al presidente dell’Ems con le sue indagini è un cattivo segnale. Ha imbroccato la strada giusta?  Il boss mafioso di Riesi Giuseppe di Cristina, dipendente della Sochimisi, società collegata all'Ems, informato, si allarma. Ed attiva delle contromisure. In accordo con i suoi committenti? 

Verzotto vanta vaste relazioni, intrattiene rapporti d’affari con Michele Sindona (fondi neri Ems nelle banche svizzere del banchiere siciliano). Il banchiere nel ’79 sarà incaricato di fare lavorare ad un rovesciamento delle istituzioni venendo in Sicilia in incognito. Anche lui, come Borghese, vuole la copertura di mafiosi e esponenti delle logge massoniche isolane. Si ripete così nel 79 il copione di nove anni prima, proiettili in canna e successiva marcia indietro, stabilizzazione del quadro politico fuori dall’orbita comunista. Una sorta di effetto domino, dunque, sul quale Mauro ha puntato le sue ricerche, ottenendo l’agognato scoop. 

A rendere ancora più inquietante lo scenario c’è anche il faccia a faccia del giornalista con Vito Guarrasi, in passato prezioso braccio destro degli americani nella preparazione dello sbarco in Sicilia (Algeri) e nella stipula dell’armistizio a Cassibile il 3 settembre ‘43. Un appunto ritrovato in casa di Mauro, scritto di pugno dal giornalista, cominciava così: “colpo di stato continuato”. Secondo questa tesi, il golpe Borghese, abortito per ordini superiori, sarebbe solo una tappa del colpo di stato continuato, una specie di spada di Damocle da mostrare quando Roma deraglia ipotizzando l’ingresso del Pci al governo. Nient’altro che uno strumento perché il potere si conservi immutabile.

Credere che sia stata la difesa dei confini di Yalta a “arruolare” Borghese o Cosa nostra alla causa dell’anticomunismo sarebbe ingenuo. A chi gli domanda se ci sia un nesso fra il delitto Mattei e il delitto Kennedy, il colonnello Usa Fletcher Prouty sull’Unità, il 19 febbraio 1992 rispose: “Lei ha presente che cosa rappresenta il potere di controllo delle fonti energetiche? Si tratta del governo mondiale: Mattei, come Kennedy, come Aldo Moro, sono stati uccisi da mani diverse ma per lo stesso motivo: non si adattavano a decisioni superiori. E tanti altri sono stati uccisi come loro".

Il petrolio di Gela era di cattiva qualità, un bluff escogitato da Mattei, ma ebbe lo stesso peso dei pozzi texani per un breve tempo. Mattei se ne servì. Ci lasciò la pelle. E con lui, forse anche Mauro De Mauro, che andava dritto per la sua strada come stesse ancora militando nella celebre X Flottiglia Mas. 

In una intervista rilasciata a Le Monde, Leonardo Sciascia sostenne che  "Dopo l'affare Giuliano l'Italia comincia ad essere un Paese senza verità... Da quel momento non c'è episodio criminale che, avendo qualche rapporto con la politica, abbia avuto una spiegazione razionale e una giusta punizione".

Dobbiamo proprio metterci il cuore in pace, dunque?

(2ª parte – fine)