Aristotele l’aveva capito già 2500 anni fa che ogni sistema di potere rischia la deriva: la monarchia può trasformarsi in tirannide, l’oligarchia in dittatura, la democrazia in anarchia.
Con il passare degli anni, tuttavia, gli uomini hanno imparato che le derive possono essere “aggirate”, cioè il marchio non si cambia, le regole (non scritte) sì. Fra le pieghe della democrazia nasce una oligarchia forte, un monarca nel rispetto delle regole fa e sfa quello che gli pare e piace.
Lo strumento che lascia le cose come stanno, formalmente, ma nei fatti disconosce o riduce la democrazia è la legge elettorale. Quella che vige in Italia ai cittadini il potere non permette di scegliere i candidati, ma di ratificare le scelte.
E’ ormai da quasi un ventennio che l’elezione dei deputati e dei senatori della Repubblica è demandato ad un ristretto numero di persone, i leader dei partiti, possono nominare i parlamentari che vogliono. La scelta del collegio nel quale candidare, e il posto in lista, decidono la sua elezione o la sua bocciatura.
Nei collegi uninominali, la “dittatura” oligarchica impone il candidato ed il collegio in cui presentare la candidatura. Sulla base dei “precedenti”, si può prevedere, su grandi linee, quel che può accadere. Il risultato utile è in cassaforte quando al candidato è assegnato un buon collegio.
Si vota con il sistema maggioritario, cioè chi ottiene più voti vince, e il proporzionale, dove si vince in base ai quorum ottenuti (i candidati eletti sono tanti quanti i quorum previsti). Nei collegi uninominali è previsto il confronto “secco” fra candidati, nei collegi plurinominali, in cui vige il sistema proporzionale, il risultato dipende unicamente dal numero dei voti ottenuti. Il posto in lista è determinante.
Se i quorum previsti, poniamo, sono due, candidarsi al terzo posto significa restare fuori. Per poter concorrere, nel proporzionale, occorre superare la cosiddetta soglia di sbarramento, che nel caso nostro è il tre per cento.
Mi fermo qui, perché ci sono altre regole che l’elettore dovrebbe conoscere, e riguardano le coalizioni, che hanno sostituito, in qualche modo, le vecchie cordate di candidati della stessa lista che unendo insieme i consensi seppellivano la concorrenza (possibile perché si potevano votare più candidati, con un massimo di quattro, se la memoria non mi tradisce).
La coalizione, nei collegi uninominali, è nettamente favorita. La coalizione di centrodestra nei collegi uninominali si confronta con una lista di partito o, come nel caso della coalizione Pd (+Europa, Verdi, Sinistra). La coalizione vince facile, dunque. E questo spiega, in buona misura, per quale ragione i sondaggi favoriscono il centrodestra.
Che l’alleanza poggi su basi concrete, una identità di vedute, è un’altra storia. Non è previsto alcun accordo formale sulle cose da fare e come farle. I partiti della coalizione possono avere idee, obiettivi, interessi diversi e stare insieme. E’ avvenuto in passato, avverrà anche in futuro.
Le coalizioni sono matrimoni d’interesse, non impegnano né il cuore né la mente, solo il portafoglio. Basti ricordare che il centrodestra vede insieme Fdi, rimasto all’opposizione con il governo Draghi, e due partiti, Lega e Fi, che hanno partecipato al governo Draghi. Più sparigliati di cosi?
Sul campo, però, tutto cambia: i consensi dei tre partiti, come accadeva per le vecchie cordate, si sommano, E’ difficile, per esempio, che il Pd in un collegio elettorale, batta tre partiti coalizzati.
E questo per quanto riguarda il contesto.
Gela è un caso assai particolare, può non finire sui libri di storia dei comportamenti elettorali, ma certamente rappresenta la concreta testimonianza della deriva oligarchica, che la democrazia italiana ha imboccato, con le candidature per diritto divino. Il leader di Forza Italia, Silvio Berlusconi, ha deciso che nel collegio di Gela (Camera e Senato), siano due signore che gli stanno particolarmente a cuore, Vittoria Brambilla e Stefania Craxi, a candidarsi. E’ una scommessa rischiosa, figlia della tracotanza di una leadership eterna.
I consensi si chiedono e si ottengono sulla base del cursus honorum dei candidati, noto nei luoghi di residenza, sarebbe stato un vantaggio per le due signore confrontarsi in un collegio casalingo, che permetta di valorizzare immagine, competenza, spirito d’iniziativa ed altro.
Che cosa altrimenti può permettere all’elettore di farsi un’idea del candidato, se non sa niente di coloro ai quali concede il voto? Si è scommesso sulla fedeltà? L’ideologia? Le buone pratiche del partito e delle due candidate? E quale sarebbe l’ideologia di Forza Italia? La moderazione, le buone maniere?
Il presidio del galateo è solo il rispetto verso gli altri. Nel nostro caso, il rispetto per la comunità, trascurato dai partiti maggiori
Inutile porsi domande che reclamino buonsenso. La logica non c’entra, la democrazia neppure, In un partito “monarchico”– laddove non esistono luoghi di decisione e di dibattito come Forza Italia – il Capo può assegnare al candidato il collegio più favorevole e assicurare (fino a un certo punto) il seggio alla Camera o al Senato. Ebbene, la lotteria, ben guidata, di Forza Italia, ha fatto uscire numeri favorevoli agli azzurri nel collegio gelese.
Il resto non sembra avere alcun valore. Il Capo, Silvio Berlusconi, non è stato nemmeno sfiorato dall’idea che gli elettori del collegio di Gela, possano non gradire la “nomina” delle signore, rispettivamente, alla Camera ed al Senato della Repubblica. Gli elettori sono stati trattati come un gregge di pecore, e la porta larga, che permette l’accesso agli scanni del Parlamento.
Non si tradisce solo “i paesani”, i candidati locali che hanno dovuto ritirarsi in buon ordine per dare il posto alle signore, né il galateo, ma si tradisce una gran faccia tosta. E’ come se si fosse detto agli elettori gelesi: questo è affar mio, fate i bravi, mettete la scheda nell’urna e pensate alla salute. Il campanile, il provincialismo non c’entra niente. Non è affatto detto che il Signore regali talento e virtù a coloro che nascono, vivono e figliano a Gela.
Un buon candidato rimane tale, ovunque sia stato concepito. C’è, tuttavia, un problema: il candidato deve rappresentare in Parlamento i bisogni della gente che l’ha votato. Il suo mandato parlamentare è senza vincoli, certamente, ma l’impegno che assume con i suoi elettori, dovrebbe – il condizionale è d’obbligo – sacro.
Lo so bene che sono cose dell’altro mondo, ma è bene che almeno ci si ricordi quel che è giusto e quello che non lo è. Domandatevi se i dirigenti politici locali di Forza Italia, Lega e Fdi, siano stati interpellati sul paracadute alle signore?
Nonostante i precedenti, comunque, il bacino elettorale azzurro e di centrodestra, per le signore non sarà una passeggiata, perché a Gela dovranno confrontarsi con un senatore uscente (Pietro Lorefice, M5S), e con un “signor” candidato, l’avvocato Emanuele Maganuco (Azione-Italia viva). Il galateo vuole che le signore abbiano la precedenza, è vero, ma nel nostro caso, le signore, non possono aspirare al diritto di precedenza, perché sono state paracadutate a Gela.
Sono dell’avviso che il caso Gela faccia scuola. Il monarca assoluto potrebbe prendersi un dispiacere, e essere trattato a pesci in faccia, com’è giusto che sia. Il colonialismo è finito da quasi un secolo; perfino Sua Maestà britannica, la Regina Elisabetta, si accontenta di tagliare nastri e leggere il testo del capo del governo, quando occorre, e null’altro. Tanta sicumera merita una lezione. Potrebbe essere salutare.
Trascuro ciò che mi sta più a cuore, riferirvi sui fatti e le scelte che hanno permesso la fabbrica dell’indecenza, la nomina dei parlamentari da parte degli oligarchi, e l’attitudine al frazionismo a sinistra, la voglia di farsi del male. Non tutto, insomma, è colpa degli altri, quando le cose vanno male. Ci mettiamo sempre del nostro, non dimentichiamolo.