“Quella, se s’attacca al malleolo, non molla”.
Così Silvio Berlusconi spiegò, con il sorriso sulle labbra, la promozione di Vittoria Brambilla, al seggio parlamentare prima e ministeriale dopo. Altri tempi, Forza Italia voleggiava nell’empireo, e Vittoria, capelli rossi e faccino da discola impertinente, frequentava Arcore senza non turbare il sonno delle api regine.
La passione per gli animali la teneva lontana dai sospetti. Le olgettine delle cene eleganti avevano preso appena la prima comunione. Altri tempi, Vittoria se ne stava al suo posto, il morso al malleolo, non faceva male, anzi; era semmai, come dire?, resiliente, ostinato. Il malleolo di Silvio è ancora a rischio, se a Vittoria è stato donato un collegio elettorale fortunato per Forza Italia: Gela, nientemeno.
E chi l’avrebbe mai detto che agli elettori gelesi sarebbe spettato l’onore di votare la madrina di Dudù, il cucciolo del Cavaliere, mascotte di tante battaglie politiche. Chissà che non sia stato il caro tenero Dudù a propiziare il seggio parlamentare, nonostante quel cognome, Brambilla, la bandiera dei milanesi doc. Sventolarla avrebbe potuto suscitare qualche mal di pancia sul “voto sicuro” radicato ad una distanza siderale da Arcore. Perplessità fugate da un’attenta analisi dei comportamenti elettorali.
Secondo il calcolo delle probabilità studiato a tavolino, “sulla vecchia Balilla s’avanza la famiglia Brambilla in vacanza”, come recita una vecchia canzone, che i nostri genitori canticchiavano quando c’era da sfottere i Commendatori pieni di soldi del boom economico italiano (in realtà padano). Niente paura, il Cavaliere a Gela è un re senza corona, ma con lo scettro virtuale in mano. Un re Mida, niente di nobiliare, che trasforma in oro tutto ciò che tocca (di suo, naturalmente).
Basterà mandare Dudù in prima linea, magari in video, farlo scivolare sulle braccia di Silvio e poi in quelle di quella impertinente discola, che mostra il suo affetto, mordendo dolcemente il malleolo. Immaginate la festa in Piazza Umberto a Gela, in chiusura di campagna elettorale: il maxi schermo con Dudù che abbaia ai gelesi, e riceve gli applausi anche dai braccianti che ancora, dopo mezzo secolo di guai, stanno lì a grappolo, facendo fare una gran bella figura agli oratori, fosse anche liberali o repubblicani.
Non solo Gela è stata baciata dalla fortuna, tuttavia. Un’altra città della Sicilia, Marsala, è stata insignita dell’onore di mandare in parlamento una donna cara ad Arcore, anzi la più cara, perché è la quasi-moglie del Cavaliere, Marta Fascina, che gli italiani ormai conoscono per via del fatto che nei video che dei meeting politici di Arcore, siede alla sinistra di Silvio Berlusconi (destra per chi guarda) con un delizioso abitino celeste da educanda, acqua e sapone, la mano poggiata su quella del quasi sposo.
Non nascondiamoci dietro un dito, però. Per chi s’era fatto i conti in anticipo sul territorio, il rammarico deve esserci stato, ma è rimasto sotto traccia per rispetto al Cav. La pillola amara è stata ingoiata, insomma; magari addolcendola. Come? Un mistero. Il terzo posto occupato “manu militari” è ubicato nel catanese. E qui non è passata inosservata la faccia tosta dell’ultimo monarca assoluto della costellazione politicante.
Un esercito di amministratori forzisti hanno protestato, mettendo nero su bianco, ma l’ukase di Arcore non ne ha risentito. O così o pomì, insomma. Ed hanno scelto così, per non privarsi del… pomì. A Marsala e Gela, rispettoso silenzio. Da queste parti le cause perse non si ingaggiano. Non fanno che aumentare il mal di pancia. E poi, con quali armi si può combattere? Come si fa a interpellare la base, se la base non c’è. E’ come si fa ad appellarsi alla buona coscienza di chi ha solo vagamente sentito parlare della coscienza.
E allora? Non è credibile che la famiglia Brambilla sia piombata in Sicilia senza predisporre un’accoglienza favorevole. Mi torna in mente un brano di Apollodoro, poeta comico ateniese, cui Gela vorrebbe dare i natali a qualunque costo. “Quando un uomo entra accolto nella casa d’un amico”, scrive Apollodoro quattro secoli prima di Cristo, “egli può accorgersi del benvenuto non appena varca la soglia, quando il cane scuote la sua coda e gli si avvicina”.
Vittoria Brambilla, insomma, potrebbe beneficiare della sua grande passione per gli animali, i cani in particolare. L’accoglienza dei cani non può che essere festante. Loro hanno un fiuto sopraffino. Credere tuttavia che il fiuto di un cane, sia sufficiente per aprire le porte del “voto sicuro”, mi pare, onestamente, azzardato.
Se ci rode e vogliamo sapere com’è che Vittoria è stata paracadutata a Gela, dobbiamo seguire il filo di Arianna che da Milano porta a Gela.
Comincio dalla pista politica, la più laboriosa, ma anche la più sicura. Il Cavaliere chiama Gianfranco Micciché, coordinatore regionale di Forza Italia e autorevole presidente dell’Ars, vecchia guardia azzurra della prima ora, catapultato dall’oggi al domani dal merchandising pubblicitario di Fininvest a Forza Italia, senza dovere muoversi dallla stanza dei bottoni dell’azienda.
Picciotto d’oro, di cultura giapponese (il “no” non è ammesso dal galateo della comunicazione), magari un poco umorale, facile alle arrabbiature ed agli entusiasmi, di religione monoteista (après Berlusconi, le deluge).
I conti sono stati fatti ad Arcore, beninteso, perché fidarsi dei siciliani è bene, non fidarsi è meglio. I seggi sicuri sono stati individuati dopo una laboriosa indagine. Micciché, quindi, potrebbe avere dato il suo assenso. Che non è roba da poco. E’ come regalare cinque Ferrari e due Maserati, ultimo modello, perché a tanto assomma l’indennità parlamentare per cinque anni.
Miccichè non pone ostacoli, ma ha bisogno di sondare il terreno nel territorio. Come sarà accolta Vittoria, a fischi e pirita, oppure con buona creanza, come civiltà vuole? Palermo chiama Gela. Chi è stato interpellato. Tiro a indovinare?
Il plenipotenziario del collegio, di cui non conosco né il nome né il cognome, e forse il sindaco Lucio Greco, che una cinquantina di giorni or sono Miccichè ha ricevuto a Palazzo dei Normanni, spendendosi sul rigassificatore proposto dall’Eni con il nulla osta del presidente della Regione, Musumeci? Micciché, che resta un picciotto d’oro, ha preso due piccioni con una fava: si è fatto amico del sindaco di Gela, Greco, e, con l’occasione, ha mandato lo sfratto a Musumeci, come fa da almeno un anno.
La trama, beninteso, può essere soltanto immaginata, sulla base delle regole non scritte che la politica politicante mi ha insegnato. Se Vittoria Brambilla è stata candidata a Gela, vuol dire che l’assenso delle maggiori autorità “azzurre” sul territorio è venuto, altrimenti sarebbe una partita a perdere.
L’altra pista è quella canina. Non può essere trascurata. Vittoria dovrebbe avere studiato la popolazione canina, gli animali domestici, a Gela; sé così è, ha scoperto che Gela è una città che ama i cani.
E se ama i cani, amerà l’amica dei cani. Dudù è d’accordo, i cani di Gela, se potessero dire la loro, non si lascerebbero sfuggire l’occasione per dare una mano alla loro rappresentante in parlamento. Per la sondaggista Alessandra Ghisleri, l’argomento animalista può fare la differenza: portare, fino al 20% dei consensi. Un numero molto alto visti i margini delle forze politiche.
La pista politica e quella canina, intendiamoci, convivono. L’una conduce all’altra, e viceversa. Ma c’è un problema. Da un po' di tempo la presenza dei cani è così alta a Gela, che sono oggetto di recriminazioni e proteste. A causa dei randagi, che hanno conquistato il territorio, e reso impossibile, per esempio, l’accesso alla zona turistica di Caposoprano, al punto da suggerirne la chiusura al pubblico.
I cani non c’entrano niente, non è certo colpa loro se affamati e, a causa di ciò, molto arrabbiati, vigilino perché il loro territorio non sia invaso dagli umani, dei quali peraltro non si sono fatti una buona opinione (molti di loro sono randagi a causa dell’abbandono). Ad Arcore hanno studiato anche questo aspetto del problema?
Una cosa è ammansire gli uomini, che sanno come farsi compensare, ed un’altra ammansire gli animali, che non accettano compromessi. L’altro tema, di cui forse il comitato di accoglienza della famiglia Brambilla in vacanza elettorale dovrebbe occuparsi, è lo stato dell’arte di Gela, dopo la scomparsa di una delle famiglie più “ascoltate” del territorio: i jattari (i gattari), che devono l’epiteto alla necessità dapprima ed a una diabolica abilità di dare ai gatti il sapore di un coniglio: cucinavano gatti a pranzo per mancanza d’altro (in tempo di guerra e negli anni a venire), non potendo espletare il mestiere del ghenos.
I jattari ebbero successo fino a quando la mafia del Vallone e palermitana (in disgrazia) scoprì che Gela era una miniera d’oro con gli appalti dell’industria. Ma non aveva fatto i conti con le famiglie del Vallone e del Palermitano. Non c’era partita. I jattari calarono la testa e le braghe, e accontentarsi, con qualche eccezione, di ruoli di secondo e terzo livello (‘mmazzatine, incendi, bossoli contro le saracinesche). I jattari per non farsi riconoscere portavano con loro cani alti del peso di 40-45 chilogrammi.
I loro gatti, curati con amore, non finivano più in padella o al forno, mentre mastini inglesi, pastori irlandesi e del Caucaso, canazzi di bancata con malo carattere, crescevano di numero in misura esponenziale. Caduti in disgrazia, finiti in prigione o costretti all’esilio volontario, i jattari abbandonano le bestiole, che nel tempo hanno figliato ad un ritmo incessante, occupando i territori solitamente frequentati da forestieri e turisti. Da qui, il randagismo, e una insofferenza verso i cani, e i rifiuti solidi urbani lasciati sui marciapiedi dai padroncini maleducati.
Insomma, la questione si fa presto a raccontarla: Vittoria Brambilla, e la sua famiglia in vacanza, non deve temere i cristiani, elettori votanti il 25 settembre, ma gli animali, che lei rappresenta dignitosamente con sagacia, o meglio l’insofferenza verso i cani che getta un’ombra sull’affetto dei gelesi verso l’amico dell’uomo.
Come finirà ce lo diranno le urne. L’ottimismo degli azzurri è inossidabile. Perché, dicono, dovrebbe pagare la candidata di Arcore per comportamenti e azioni che non hanno niente a che vedere con la famiglia Brambilla? Vero è, rispondono gli stizzosi a Gela. Se non c’entra, rispondono, con la nostra città, ed è indubbiamente vero, che cosa ci sei venuta a fare qui da noi? Non la potevi fare fuori porta la tua vacanza elettorale, magari dalle parti di Arcore?