Quando soffiano i venti di guerra, e si tratta di venti che frequentano il nostro giardino di casa (Medio Oriente), abbiamo sentimenti e reazioni assai diverse: empatia e dispiacere, indifferenza e preoccupazione.
Nessuno, o pochi, si fanno una domanda cruciale e legittima: ci stiamo dentro anche noi? E se sì, fino a che punto? Difficile rispondere puntualmente, la dislocazione dei presidi di difesa e di offesa sono top secret per più di una buona ragione, la prima delle quali è che è il ”nemico” non deve sapere niente della nostra deterrenza militare, la seconda è che nemmeno a casa nostra le notizie devono circolare liberamente.
La consegna del silenzio è giustificata dalla necessità di non creare allarme nella popolazione civile. Sapere, per fare un esempio, di essere bersaglio principale in caso di conflitto - regionale, continentale o mondiale - non farebbe piacere ad alcuno, procurerebbe allarme, susciterebbe domande inquietanti che pretenderebbero risposte anche a livello istituzionale.
Il fatto, incontrovertibile, è che la Sicilia ospita basi Nato e basi Usa di straordinario rilievo nello scacchiere strategico mondiale: tecnologia d’avanguardia, armi e mezzi sofisticati in grado di assicurare una “difesa” efficace e di ottimo livello e di permettere attacchi in grande stile (droni, missili) o blitz mirati capaci di provocare gravi conseguenze al nemico.
Ogni volta che nel Medio Oriente si mobilita l’apparato militare Usa, la Sicilia alza il livello di guardia, perché ospita il Muos a Niscemi, e la base aerea di Sigonella, un tandem che permette di intervenire o prevenire attacchi e insidie provenienti dal Medio Oriente. Poi c’è l’aeroporto di Birgi, usato come base Nato e della Aviazione Italiana.
La qualcosa significa che anche nel nostro tempo, proprio in questi giorni, sia il Muos quanto Sigonella hanno avuto il loro lavoro da espletare. Il Muos in particolare, è qualcosa di più che un sospetto: è andato in prima linea quando dall’Iran è partita una pioggia di droni e missili alla volta di Israele. Attacco massiccio ma anticipato da informazioni puntuali giunte a amici e nemici, pur sempre il primo fronte di guerra diretta fra Iran e Israele.
Sono stati abbattuti il 98 per cento degli oggetti volanti, grazie all’intervento degli Usa, dei francesi e degli inglesi. L’area del conflitto è stata sicuramente monitorata da Niscemi, che ha trasmesso le informazioni, in tempo reale, all’altra parte del mondo, alle postazioni strategiche Usa che eseguono i comandi dei vertici militari e politici (la situation room di Biden e il gabinetto di sicurezza).
L’Italia? Viene debitamente informata, questo è certo. Può bastare? E l’Italia dov’è? si chiede Limes in un pregevole Report recente. In un anello prioritario immediatamente esterno al cuore strategico, si situa un'area comprensiva di Europa occidentale, i Balcani, il Mar Mediterraneo — da Gibilterra a Creta — e il Nord Africa. Queste zone, pur essendo cruciali, non sono immediatamente a rischio di conflitti diretti.
Pertanto, possono essere gestite dai partner per permettere agli Stati Uniti di concentrare risorse nelle aree di maggiore urgenza. Si trovano perciò in una posizione intermedia: meno vitale rispetto alle aree direttamente gestite da Washington con un massiccio coinvolgimento alleato, ma più rilevante rispetto a regioni come gran parte dell'Africa e del Sud America, le quali hanno visto un minor interesse strategico diretto negli ultimi decenni.
Gli Stati Uniti non abbandoneranno l'Italia, visto che le loro basi militari nel paese rappresentano un nodo cruciale del loro schieramento nel Mediterraneo, focalizzato principalmente verso la Russia e il Medio Oriente. Essendo parte di questo girone meno prioritario, l'Italia non è chiamata a confrontarsi militarmente con la Cina. L'impatto economico di un tale conflitto sarebbe limitato, data la scarsa esposizione commerciale dell'Italia verso la Cina. Al massimo, l'Italia potrebbe svolgere un ruolo di supporto logistico nell'Indo-Pacifico in caso di tensioni.
La posizione dell'Italia diventa particolarmente delicata poiché gli altri grandi paesi europei si concentrano prioritariamente verso l'est. Gli Stati Uniti hanno ridotto il loro impegno nel Mediterraneo centro-occidentale, come evidenziato dalla loro accettazione della situazione di instabilità in Libia.
Intanto, si è scatenata una competizione per il controllo delle coste africane, trasformando la regione in una zona di influenza estesa per molteplici potenze, da Russia a Cina, passando per Turchia, Egitto e Francia. Il rischio è che il Mediterraneo diventi un'area controllabile principalmente dal territorio, facilitato dall'incremento del caos e della disponibilità di armamenti avanzati.
Il pericolo maggiore è rappresentato dalla Russia, che, sfruttando la base siriana di Tartus, cerca di estendere la sua influenza in Cirenaica. Una base navale a Tobruk aggiuntiva a quella aerea già esistente in Al-Jufra potrebbe compromettere la sicurezza italiana, consentendo a Mosca una maggiore profondità strategica nel Sahel, capacità di spionaggio e sabotaggio, e complicando le operazioni aeree dalle basi americane in Italia. In ultima analisi, l'Italia rappresenta un obiettivo strategico essenziale, posto al margine di una zona di immediata priorità americana, ideale per esercitare pressione sulla Nato con tattiche aggressive sotto la soglia di guerra.
Infine, il rischio più grave per l'Italia è la potenziale chiusura dei passaggi marittimi vitali come Gibilterra e Suez, oltre a cavi e condutture energetiche, che oggi sono garantiti dalla presenza americana, ma che in futuro potrebbero cadere sotto il controllo di una competizione aperta tra potenze globali. Questo scenario porterebbe a costi elevati e difficoltà significative per l'Italia.
La Sicilia? C’è, ma è come se non ci fosse. Ha una rilevanza geopolitica di primo livello, ma nessuna voce in capitolo nei fatti. E’ un bene o un male? E’ solo la realtà, nuda e cruda.