Gela, città delle tante contraddizioni e non pochi paradossi.
Città dell’effimero, dell’apparenza, delle opere incompiute e dei troppi disservizi. Città dove non si governa da anni, ma si tira a campare, navigando a vista tra un’emergenza ed un’altra, subendo di tutto e di più. Gela città con l’ente comunale in default, una pianta organica gravemente sottodimensionata. Città che nel giro di pochi anni è retrocessa al settimo posto nella classifica demografica isolana, sorpassata prima da Marsala ed ora pure da Ragusa.
Si potrebbe, altresì, osservare che la condizione di salute della città e dei cittadini è lo specchio del livello minimo di offerta sanitario-ospedaliera, a dir poco precaria, «ma quest’ultima – aggiunge Filippo Franzone (nella foto), coordinatore assieme a Luciana Carfì del comitato “Sos Vittorio Emanuele III”, è fedele espressione dello stato di salute, pessima, della politica locale. Tutto inizia nel 2009 quando l’ospedale passò da una autonomia gestionale al controllo dell’Asp Cl2. In un comunicato di allora sostenni che la voracità nissena avrebbe smantellato il Vittorio Emanuele III, e che i gelesi avrebbero pianto “lacrime di sangue”. Mai previsione è stata più azzeccata. Purtroppo per noi.
Se Gela avesse avuto una politica capace e “patriottica”, considerato che il “campanilismo” è diventato un termine abiurato dalla politica locale, si sarebbe opposta con tutte le forze allo smantellamento dell’ospedale gelese, ma così non è stato, anzi, ci sono stati casi in cui i politici gelesi si sono schierati contro i comitati che rivendicavano più servizi per l’ospedale. Ai Gelesi non mi sento di rimproverare nulla.
Nel 2009 chiedemmo loro una firma contro il declassamento, ne raccogliemmo 10.400. Nel 2021 abbiamo chiesto di sottoscrivere un esposto in difesa della sanità locale, 3.500 cittadini lo hanno fatto. Quando abbiamo chiesto di manifestare, in periodo di pandemia Covid oltre 1.500 persone hanno partecipato. Ripeto, nulla da rimproverare ai gelesi, che hanno subito anche troppo».
Caltanissetta, la grande zavorra di Gela. Non il comune o i cittadini nisseni, ma il capoluogo di provincia ed il centro politico che ne è il cuore, per una logica accentratrice, insaziabile, che non lascia nulla agli altri. «E’ stata un’impressione che ho percepito sin da bambino – confessa Franzone – nel momento in cui ho realizzato che Gela, città più grande della provincia, non ne era il capoluogo.
L’impressione si è tramutata in una consapevolezza che ho sviluppato negli anni e che ho definitivamente maturato quando iniziai a scrivere lettere sull’argomento, periodicamente inviate proprio al Corriere di Gela. L’idea di una battaglia per “Gela Provincia”, nasce in quegli anni, a partire dal 2003. Poi nel 2005, una ventina di cittadini gelesi fondammo il Comitato “Progetto Provincia”, costituito, per gentile concessione del compianto Mons. Alabiso, presso i locali parrocchiali della Chiesa Madre.
Rendemmo pubblica nel 2006 l’esistenza del comitato, attendendo che si svolgessero le elezioni regionali, onde evitare di essere strumentalizzati. Quindi nel 2009 il comitato “Progetto Provincia”, dopo una battaglia in difesa dell’autonomia ospedaliera fatta unitamente ad altre tre associazioni, si fa promotore di un comitato che riunisce più associazioni. Nasce così il “Comitato per lo Sviluppo dell’Area Gelese”, che aggregò fino a 50 associazioni».
Un progetto insistentemente portato avanti, fino a produrre il primo disegno di legge di iniziativa popolare in materia di enti locali e, per questo motivo, altrettanto strenuamente osteggiato. E peraltro liquidato senza vergogna con la scusa che era “inutile fare una decima provincia, perché le province regionali erano destinate ad essere abolite”. In realtà hanno cambiato solo la loro denominazione. «In effetti le maggiori resistenze – conferma Franzone – sono arrivate dalla classe politica locale e regionale. Anche sul passaggio a Catania.
Per far passare le delibere consiliari, sapendo il parere della politica locale non favorevole, portammo oltre 3.000 cittadini in Municipio, i deputati gelesi del tempo diedero ordine ai propri consiglieri di votare contro l’adesione a Catania, ma davanti ad una moltitudine di cittadini i consiglieri non se la sentirono di andare contro il popolo, presente in aula. Si potrebbe scrivere un libro sui grossi, pesanti, ostacoli politici incontrati. La nostra capacità a scavalcare tali ostacoli è stata la preparazione e la velocità di azione.
L’azione più “vigliacca” però l’abbiamo subita dall’Assemblea regionale siciliana, che dopo aver legiferato, non ha mai voluto e non vuole ancora adesso riconoscere l’esito, dichiarato valido e pubblicato in Gurs, delle scelte dei cittadini di Gela, Niscemi, Piazza Armerina e Licodia Eubea, che rispettando le difficilissime regole fissate dall’Ars, ancora oggi attendono che le loro scelte vengano rispettate».
Invero, ad un certo punto sembrava che - vinto il referendum - il distacco da Caltanissetta per Catania fosse davvero ad un passo dall’essere raggiunto. «Per quanti ci riguarda, come comitato promotore, l’obiettivo che ci siamo prefissati lo abbiamo raggiunto. Tuttavia – sottolinea con amarezza - la causa del diniego dell’Ars, mai dichiarata, è che cambiano i collegi elettorali per le elezioni regionali.
E gli aspiranti baroni politici dell’isola non vogliono. Cambiare i bacini elettorali impensierisce i deputati, che tra l’altro, essendo dei puri “conservatori”, non hanno alcuna intenzione di modificare l’attuale status, anche se vecchio ed obsoleto, loro preferiscono avere un capoluogo come Enna, con soli 25.000 abitanti, a soli 15 km in linea d’aria di un altro capoluogo, Caltanissetta, nella zona più spopolata, con il più basso tasso di nascite per abitante e con l’età media più alta della Sicilia, piuttosto che premiare quelle realtà dinamiche che producono ricchezza per la Sicilia, come ad esempio Gela».
Resta ferma la possibilità di riprendere la lotta. «L’obiettivo finale – precisa – non è mai cambiato. E’ cambiata la strategia. Nel 2014, a seguito della promulgazione della L.r. 8/14, abbiamo capito sin da subito, anche se nessuno tra la stampa regionale ci ascoltava, che con quelle regole era impossibile creare una nuova provincia. Ripiegammo ad un piano “B”, spiazzando l’Ars, con l’adesione al libero Consorzio di Catania che non comprendeva l’area metropolitana.
L’entrata in questo ente ci permetteva quasi automaticamente di diventare capoluogo di provincia, perché Catania si occupava dell’area Metropolitana, la parte restante, il libero Consorzio, diventava un altro ente. Gela, la città più grande del libero Consorzio di Catania, sarebbe diventata quasi automaticamente capoluogo.
Nel pastrocchio creato, l’Ars capì il nostro stratagemma. Con la L.r. 15/15, si stabilì che la Città metropolitana di Catania coincidesse con il libero Consorzio di Catania ed ai quattro comuni che scelsero di cambiare ente fu chiesto, inspiegabilmente, di produrre una ulteriore delibera.
Fatta la delibera, capimmo sin da subito che a Palermo non c’era alcuna volontà. Infatti dovemmo diffidare l’Assessore regionale alle Autonomie locali ed il Presidente della Regione. I quali subito dopo produssero i quattro ddl e li inviarono in aula sapendo che l’Ars era contraria e puntualmente li affossò».
Eppure in altre parti d’Italia sono nate province multiple (Pesaro-Urbino, Monza-Brianza, Forlì-Cesena, Brindisi-Andria-Trani, ed altre). In Sicilia invece non si può. Ad esempio una “Caltanissetta-Gela” potrebbe essere la soluzione meno destabilizzante, a partire dagli attuali bacini elettorali e relativi confini territoriali. «Ci sono province – replica – come ad esempio Verbania-Cusio-Ossola oppure Andria-Trani-Barletta, che sono nate così dal primo giorno, da accordo tra i comuni. Cosa diversa invece è Forlì-Cesena o Pesaro-Urbino.
Sia le prime che le seconde hanno la sede legale in un solo comune. Forlì-Cesena Nasce come provincia di Forlì, dopo la perdita di Rimini, che divenne provincia, Cesena che aveva quasi raggiunto Forlì per abitanti, stava lavorando per la creazione di una nuova provincia. Raggiunsero in seguito l’accordo di trasformarsi in Forlì-Cesena, ma al di fuori della sigla che da “Fo” divenne “Fc”, non cambiò nulla. Tutto il sistema di enti e comando è rimasto a Forlì. Quella di Pesaro e Urbino nasce come provincia a due teste, ma dal 2015 Urbino svolge lo stesso ruolo di Cesena.
Una “Caltanissetta-Gela”, non sarebbe altro che accontentarci di un nome senza avere alcuna sostanza. Del resto la voracità nissena in tema di servizi è ben nota ai gelesi. Sarebbe una nuova provincia in cui non dobbiamo spartirci i servizi, perché nascerebbe con un capoluogo già servito di servizi, per nulla disposto a cederli. Nulla farebbe spostare i servizi da Caltanissetta a Gela.
Durante le mille interlocuzioni politiche che abbiamo avuto e di cui abbiamo reso nota all’opinione pubblica solo una piccola parte, è spuntata più volte l’idea di una “Calta-Gela”, ma intesa come Caltagirone-Gela. Ma nulla di concreto. Sono stati tutti palliativi, tentativi delatori, utili solo a distrarci dal nostro obiettivo, temuto da tanti, anzi troppi politici, anche gelesi».