Le bollette più care d’Italia sono oramai l’amara realtà per i cittadini dell’agrigentino, del nisseno e dell’ennese: ad affermarlo è il segretario generale della Cisl Ag-Cl-En, Emanuele Gallo.
Da tempo il responsabile cislino delle tre ex province, lancia l’allarme sull’insostenibilità di tariffe superiori al doppio della media nazionale. Adesso gli utenti agrigentini ricevono bollette conguagliate dal 2018, mentre tutti gli altri cittadini delle province Caltanissetta ed Enna tremano all’idea di subire nuovi aumenti. Si prospetta un salasso per famiglie e imprese già messe in forte difficoltà dalla crisi pandemica. Bollette esose e retroattive sotto l’albero di Natale.
«Purtroppo – rivela Gallo da noi contattato - il rincaro che i cittadini subiscono è doppio, uno insiste alla fonte ed è a vantaggio del concessionario Siciliacque, l’altro insiste nella distribuzione agli utenti, a vantaggio dei gestori d’ambito, come Caltaqua nel caso nisseno».
Chiariamo che se Siciliacque gestisce il sovrambito, cioè le dighe ed il tubo da 22 poliici che collega le dighe ai serbatoi di Caltaqua, quest’ultima gestisce distribuzione e depuratori.
«Il costo – osserva Gallo - è già alto alla fonte. In Calabria, per fare l’esempio della regione a noi più vicina, il gestore acquista l’acqua a 30 centesimi al metro cubo. In Sicilia i gestori la acquistano da Siciliacque a 70 centesimi. Inoltre le responsabilità per le continue rotture della linea non sono sempre e solo di Caltaqua, ma anche di Siciliacque».
Il riferimento specifico in quest’ultimo caso è al tubo che dalla diga Ancipa arriva ai serbatoi di Caltaqua e che è interessato da continue rotture: «la gestione e manutenzione di questo tratto attiene a Siciliacque, che a fronte di un utile stratosferico, non ha mai fatto un investimento. Con la rottura della linea, il fango decanta e quindi anche le continue pezze che mettono nei punti di rottura non risolvono il problema.
Soprattutto, dopo il tempo perso per l’intervento di riparazione, prima che l’acqua esca pulita passa ulteriore tempo. E questa chiamasi inefficienza del servizio. Nel 2018, scorrendo tra le news del sito del concessionario, ho contato ben 46 interventi in un anno su altrettante rotture del tubo che dalla diga Ancipa va al serbatoio di Caltaqua. E’ evidentemente una rete colabrodo su cui occorre un intervento complessivo».
C’è poi Caltaqua: «quando fu stipulata la convenzione col gestore, l’obiettivo che dichiarò l’allora Ato era quello di 7 anni in cui la tariffa aumentava a fronte degli investimenti fatti da Caltaqua, ma la tariffa è continuata ad aumentare anche negli anni successivi al settimo, arrivando a cifre esorbitanti, oltre il 500% di aumento. Posto che il gestore d’ambito provinciale riversa nella tariffa, ingrossandola, ogni investimento fatto, sarebbe auspicabile che quando l’Ati approva il piano d’ambito, riduca al massimo gli investimenti privati ed aumenti invece l’investimento pubblico che non agisce sulla tariffa».
Se l’imperativo è ridurre il costo nelle bollette, ecco dunque, la proposta del sindacato: «ci appelliamo alle Ati, ai sindaci e alle deputazioni regionali, affinchè – conclude Gallo - facciano squadra nell’agire in un doppio binario: fare in modo che il governo regionale reperisca nel “recovery fund” i fondi per aumentare l’investimento pubblico nelle rete da un lato e, dall’altro, convincere il governatore Musumeci ad avviare le procedure di allineamento del costo alla fonte dell’acqua rispetto altre regioni ovvero a valutare la sussistenza dei requisiti per la rescissione della convenzione con Siciliacque ai sensi dell’articolo 6 della legge regionale n. 19 del 2015».