Che si tratti di un'emergenza economica e sociale, parallelamente a quella sanitaria, lo si evince chiaramente laddove una “major” globale come Eni si vede costretta ad una brusca frenata, accanto la revisione in termini programmatici nel breve periodo di investimenti e costi operativi, secondo quanto si legge, a conferma, nel sito web aziendale ufficiale.
Una situazione drammatica che non ha colto del tutto impreparata una forte multinazionale come Eni, ma che l'ha comunque obbligata a correre ai ripari, con ripensamenti previsionali nel breve termine e «mettendo in campo interventi – ha commentato l'amministratore delegato, Claudio Descalzi – finalizzati a difendere la solidità del nostro bilancio e del dividendo, preservando al contempo i più alti standard di sicurezza sul lavoro». Quindi occhio agli azionisti ovviamente, ma attenzione – e non poca – anche alle proprie risorse umane e relativo “expertisement”.
Tutto questo si riversa, a cascata, anche a livello locale. Voci di corridoio narrano di parcheggi semi vuoti allo stabilimento in via contrada del signore così come al centro direzionale Enimed lungo la statale per Catania. Smart working non solo per gli impiegati agli uffici ma anche in Rage per i cosiddetti "giornalieri", quindi logistica, formazione, ecc.
Allo stabilimento si vedono dunque solo "turnisti", così come gli addetti ai "giro pozzi" in Enimed. Aziende dell'indotto presenti praticamente solo con i "reperibili" da chiamare in caso di necessità. Ne abbiamo parlato con i segretari provinciali di Cisl (Salvatore Gallo, a sinistra, in basso), Cgil (Ignazio Giudice, a destra, in basso), Uiltec (Maurizio Castania, a destra, in alto) e Ugl (Andrea Alario, a sinistra, in alto).
Abbiamo voluto capire se e quanto fondamento avessero queste indiscrezioni, parlandone con i segretari Ugl, Uil, Cisl e Cgil.
«Eni – esordisce il segretario Ugl, Andrea Alario – ha adottato tutte le misure di sicurezza per quanto concerne l'emergenza covid-19, attraverso la fornitura dei dispositivi di protezione, attraverso la drastica riduzione di potenziali assembramenti di personale nei luoghi di lavoro, senza dimenticare la presenza della “procivis” agli ingressi, con il compito di rilevare la temperatura corporea a chiunque entri in fabbrica. Per quanto riguarda l'indotto, Eni ha inoltre ridotto dell'80% la presenza dei lavoratori di questo bacino, con la eccezione della manutenzione ordinaria, necessaria a garantire che gli impianti rimangano in marcia.
Rileviamo, pertanto un senso di responsabilità che l'azienda – commenta il sindacalista della Ugl - sta dimostrando sul territorio, in tema di salute e sicurezza sul lavoro, a cui dovrebbero aggiungersi iniziative in termini di solidarietà che stanno studiando in favore della comunità esterna. Dobbiamo anche ammettere che Eni si sta dimostrando antesignana ed all'avanguardia in termini di “industria 4.0” e ciò ha permesso di evitare la cassa integrazione a cui si stanno rivolgendo tantissime altre aziende italiane. Ciò, non solo ricorrendo ad un parsimonioso smaltimento delle ferie pregresse, ma anche e soprattutto – conclude Alario – grazie al ricorso allo smart working».
Anche il segretario provinciale della Uil, Maurizio Castania, ribadisce che «la situazione è difficile. Le attività sono ridotte al minimo indispensabile per il mantenimento degli impianti in marcia. La tensione tra i lavoratori per il pericolo del contagio è viva ed inevitabile, pur in presenza di mezzi di sicurezza “anti-coronavirus”. In grossissima difficoltà - sottolinea Castania - sono le imprese locali, sia dal punto di vista economico che da un punto di vista burocratico, relativamente alle procedure per l'attivazione dei vari sostegni alle imprese, al reddito e anche per l'attivazione della cassa integrazione, ordinaria e/o in deroga. Siamo fortemente preoccupati giacché questa situazione rischia di far saltare definitivamente il sistema delle imprese, già fortemente provate dalla crisi precedente. In merito alla distribuzione del lavoro, abbiamo attivato – continua il sindcalista della Uil – le prestazioni lavorative in smart working per le strutture di staff e unità tecniche di ufficio, non invece per il personale turnista, essendo gli impianti in marcia senza riduzione di attività.
In Rage ad oggi abbiamo previsto il lavoro da casa per 28 risorse; mentre 63 risorse saranno in smart working a rotazione/chiamata o potranno essere chiamate per necessità; 14 risorse sono a presidio permanente (senza smart working) delle attività degli uffici. Grosso modo, quindi, saranno presenti stabilmente presso gli uffici tra le 35 e le 40 persone sulle 91 totali. Di conseguenza si colloca tra il 57% e il 60%, la fetta dei lavoratori in smart working. In Enimed avremo invece 129 risorse in regime di smart working, 17 in rotazione e 36 in presidio. Avremo quindi tra le 45 e le 50 risorse in ufficio e anche in questo caso circa il 60% in smart working. Per Eni spa abbiamo complessivamente 109 lavoratori in smart working e con solo 3 persone in presidio. Per Enirewind – chiosa Castania - stiamo consolidando il dato».
Sui “comitati di crisi” ci chiarisce meglio le idee il segretario della Cisl, Emanuele Gallo: «con il diffondersi dell'emergenza si è costituito un percorso di consultazione, attraverso l'insediamento di comitati di crisi, uno nazionale ed uno territoriale, tra organizzazioni sindacali, quest'ultime rappresentate da Rsu, cioè rappresentanti sindacati unitari e Rls, cioè rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza, oltre ad altre figure come il Rspp, cioè il responsabile alla sicurezza, prevenzione e protezione, nonché il responsabile al personale o risorse umane (hr) ed il responsabile della direzione e tecnici. Nel comitato si discutono tutte le iniziative da proporre all'interno dell'azienda, tra cui la riduzione dell'attività dell'indotto e limitata solo ad assicurare la marcia produttiva, eliminando quelle atte alla costruzione ed ingegneria.
Ciò significa anche discutere e proporre come ridurre al minimo la forza lavoro, sia del diretto, attraverso soprattutto il ricorso al lavoro agile o smart working, che dell'indotto, avvalendosi delle misure di sostegno al reddito e lavoro (cassa integrazione ordinaria ed in deroga). Un contesto quindi in cui tutte le parti in causa, comprese quelle sindacali, usufruiscono di un coinvolgimento attivo rispetto alle iniziative che vengono poi intraprese ufficialmente dall'azienda. A questo percorso di consultazione, se ne aggiunge un altro, di tipo preventivo, attivato presso la prefettura e concernente tutte quelle aziende le cui attività rimangono necessariamente attive, comprese quelle aziende che lavorano per conto delle prime, espletando attività accessorie a quelle con i codici ateco inseriti in elenco allegato al decreto della presidenza del consiglio dei ministri. Anche in questo caso, unitamente alle organizzazioni datoriali, si innesca un coinvolgimento attivo dei sindacati unitari».
Non ultimo, il segretario della Cgil, Ignazio Giudice:
«per quanto riguarda le tre società eni presenti a Gela (Rage, Enimed ed Enirewind), la situazione è la seguente: in Rage (Raffineria di Gela), lavorano solo emergenze e manutenzione indispensabile per la produzione. Poche unità. Fermi tutti i cantieri di costruzione. Enirewind (ex Syndial) ha fermi tutti i cantieri di “decommissioning”, opere tipo “capping” e costruzione vasca 4. Rimangono aperti per obbligo di legge in Enimed le attività legate solo alla manutenzione dei pozzi. Ferme centinaia di lavoratori di Gela, comprese oltre quelli in loco, anche quelli in quarantena domiciliare nei siti del nord ed all'estero. In questi giorni - l'interlocuzione con la prefettura è costante, in osservanza del penultimo Dpcm, ai sensi del quale le organizzazioni sindacali dobbiamo esprimere un parere in relazione alle tante aziende che intendono utilizzare la cassa integrazione in deroga per 9 settimane.
La nostra preoccupazione – prosegue il sindacalista della Cgil - è concentrata sulla velocità di ripresa delle tante imprese di medie e piccole dimensioni. Eni è una multinazionale e non avrà i drammi economici che invece tante aziende avevano già prima dell'epidemia mondiale e quindi ora la sofferenza è maggiore. Riteniamo insufficiente lo stanziamento dello Stato, tanto da considerarlo solo un acconto. In tempo di emergenza non puoi equiparare la 104esima provincia d'Italia, tra l'altro dichiarata area si crisi complessa, come tante altre zone che hanno la disoccupazione fisiologica cioè l'1,5%; qui siamo al 42% e ne consegue che euro 1.470.000,00 da dividere ai poveri sono importanti, ma per un paio di settimane, dato che la povertà assoluta è quella relativa conta migliaia di nuclei familiari – conclude Giudice - ai quali manca anche la luce a casa, oltre la bombola».