In questi ultimi giorni, proprio quando per la prima volta come non mai si parla di una possibile sindaca per Gela, nasce e cresce in città la fiumana di consensi sulla candidatura di Silvana Grasso, appetita sotto traccia da partiti, movimenti politici e coalizioni.
La scrittrice non vive più a Gela, ha però mantenuto un legame emotivo fortissimo e costante con la città e anche sui social ottiene il gradimento di molti cittadini gelesi che vedrebbero la sua elezione come una concreta opportunità per tentare di risollevare le sorti di questa dilaniata città.All’apice della sua carriera letteraria, che in questi tre ultimi anni ha avuto
un’impennata nazionale e internazionale stupefacente, Silvana Grasso nei suoi elzeviri giornalistici ha sempre manifestato una vigorosa “corda” politica fuori dal coro, una vis di cultura e temperamento che sarebbero vincenti per qualsiasi realtà politica. Dunque, un bene prezioso per Gela. Ma cosa ne pensa Silvana Grasso?
«Sinceramente non sapevo nulla di queste convergenze elettive sulla mia persona. Sono al momento annegata nel mare magnum di tantissimi incontri sul mio romanzo La domenica vestivi di rosso, Marsilio editore, che sbanca ovunque in libreria come su Amazon o Ibs, ma a me interessa che sbanchi sotto il profilo del consenso dei lettori, e questo succede già».
– Non le crediamo. Non è possibile che nessuno abbia bussato alla sua porta…
«Direttore, lei fa benissimo a non credermi, ma altro al momento non voglio dire».
– I cittadini amerebbero averla sindaco, le vogliono bene, la stimano, lei del resto da sempre è stata fuori da ogni giochetto politico, fuori dal libro paga di chiunque.
«Assolutamente fuori e me ne vanto, fuori da quelli che lei chiama giochetti e io chiamo scelleratezze, nefandezze, delitti, che hanno condotto la città meravigliosa di Gela alla deriva, allo sbando, alla questua. Madri che hanno perso i figli per cancro o emigrazione, figli che hanno perso i padri per cancro o perché costretti a inseguire altrove il pane, perché una scelleratezza chiamata “politica” li ha privati di tutti i diritti. Sì, perché è un diritto inalienabile che i figli crescano con i padri, che padri e madri non muoiano sotto i quarant’anni di cancro. È un diritto lavorare in totale regime di sicurezza; è un diritto restare in famiglia, invece ogni diritto è stato macellato, maciullato senza vergogna, e molti di questi miserabili vogliono, così sento dire, riproporsi personalmente o con la faccia di qualche pupo al loro servizio. Calci in culo a pupi e pupari».
– E’ ammirevole questa passione che la lega alla città, per cui lei accetterebbe dunque di fare il sindaco di Gela?
«Assolutamente no, non oggi, trent’anni fa avrei accettato, ma allora erano in voga “i soliti noti”, millantatori manipolatori, bugiardi, e l’onestà della Grasso o di tantissimi altri era ritenuta molesta, pericolosa. Dunque, si sono attivati a gettare acido su me, a sfregiarmi, delegittimarmi, ma senza riuscirvi perché avevo ed ho professionalità molteplici, riconosciute, certificate, professionalità di grandissimo successo anche economico. Dunque bisognava farmi fuori in modo letterale, uccidendomi fisicamente, mandandomi sottoterra. Ma non è stato fatto, perché comunque in una città narcotizzata da tanti furfanti, io non ero affatto considerata a rischio elezione».
– Dunque non accetterebbe una candidatura?
«Ripeto, oggi no. Oggi non ci sono le condizioni economiche perché si liberi la città e i suoi cittadini dalle fogne dove è stata fatta precipitare. Tanti sono i mostri responsabili di questo sbando, di questa immane sofferenza che si avverte entrando in città. Ho il cuore piagato, ma starò vicina ai gelesi in altro modo, denunciando con i miei articoli furfanti, vecchi e nuovi, nuovi solo in apparenza ma più vecchi dei vecchi nel sistema di frodare, manipolare, distruggere. Insomma, non accetterei mai perché sono una persona seria, perché non potrei mai, con un Comune collassato da debiti enormi, essere di sollievo alla città, che può sperare solo nel miracolo».
– Ma lei, Silvana, fa miracoli. Chi di noi non ricorda la sua esperienza come assessore alla Cultura e ai Beni Culturali del Comune di Catania che, in soli 4 mesi, la portò all’attenzione di mezzo mondo.
«La devo interrompere. A Catania non fu affatto miracolo. A Catania bastò solo la mia onestà. Certo, l’onestà in politica si può considerare un miracolo. Ma non confondiamo le cose serie con le battute. A Catania bastò denunciare in Procura quello che da 50 anni era sotto gli occhi di tutti, le continue ruberie a Castello Ursino, la deportazione di reperti archeologi di grandissimo valore e quadri preziosi. La Magistratura fece il suo corso, mi diede ragione su tutti i fronti, ne uscii fuori come Giovanna d’Arco e i catanesi, che mi sono sempre grati, mi osannano ancora su messenger e facebook in tutti i modi. A Catania bastò dunque la mia onestà, a Gela ci vuole ben altro. Ha mai sentito dire che si rimuove la munnizza con l’onestà? Dunque con onestà dico: non sarei oggi utile a una città devastata, derubata, saccheggiata, da decenni. Ma lo giuro: userò la mia penna come una mitragliatrice contro chiunque voglia perpetrare altri delitti».