Prima domanda: Perché l’ex sindaco, ex parlamentare europeo, ex governatore della Sicilia, ex tutto, Rosario Crocetta, (nella foto) solo ora che è politicamente “nullavalente” viene travolto da inchieste giudiziarie che sembrano ciliegie, una tira l’altra?
Seconda domanda: Dove sono finiti tutti quei magistrati ed altri pezzi importanti dello Stato, che finché Rosario Crocetta era all’apice della sua folgorante carriera politica facevano a gara, in certi casi sgomitando, per affiancarlo su palchi e attorno ai tavoli, in occasione di convegni e cerimonie varie?
Terza e ultima domanda: E’ solo un caso che nessuno di questi si vede più in giro dalle parti nostre da quando il nostro ex sindaco è caduto in disgrazia?
I lettori di questo giornale, che conoscono fatti e persone di Gela, possono darsi le risposte che vogliono. E noi – delusi come la maggior parte dei gelesi e dei siciliani – non abbiamo difficoltà a definire un grande bluff quello che da Gela a Bolzano e anche oltre confine veniva consacrato come un’icona dell’antimafia, rivelatasi poi falsa.
Crocetta, che a febbraio prossimo taglierà il traguardo dei 68 anni, molto probabilmente passerà la sua vecchiaia da un tribunale a un altro. Così come rivelano le cronache giudiziarie di questi ultimi mesi, rilanciate da giornali e tv a diffusione regionale e nazionale.
Il quotidiano catanese La Sicilia ha dato da alcuni mesi a questa parte una informazione puntuale e rigorosa sulle vicende che hanno visto l’ex governatore coinvolto seriamente nella vicenda che ha travolto l’ex presidente di Confindustria Sicilia Antonello Montante, che proprio in questi giorni compare davanti al giudice di Caltanissetta con il rito abbreviato. In un troncone della stessa inchiesta, è chiamato in causa anche Crocetta. Accuse gravi che, se confermate in sede di giudizio, non prevedono pene lievi. C’entra la mafia e quindi sconti per nessuno.
A metterci il carico da 11 è stata la Rai, che proprio lunedì 12 scorso, ha dedicato buona parte della trasmissione d’inchiesta Report, svelando particolari inquietanti e dando voce tra gli altri ai due personaggi più chiacchierati di questa vicenda, Crocetta, appunto, e l’ex senatore ed ex componente della Commissione nazionale antimafia Peppe Lumia, legati l’uno e l’altro al personaggio principe di questa inchiesta.
Crocetta, alla domanda sui finanziamenti illeciti della sua campagna elettorale ha detto di aver ricevuto da Montante solo torroncini, ha giurato – non è la prima volta che lo fa – sulla defunta madre; Lumia, invece, ha puntato sulla sua voglia repressa di prendere a calci in culo chi – agendo illegalmente – si sarebbe presentato al suo cospetto. Sono robe che si dicono davanti a telecamere e microfoni, è ovvio. Diverso atteggiamento assumeranno, probabilmente, al cospetto dei pubblici ministeri.
Crocetta sta vivendo momenti di preoccupazione. E’ umano e comprensibile. La vicenda Montante non è paragonabile alle rogne che gli hanno procurato le chiamate in causa, al Tribunale di Gela, degli ambientalisti Saverio Di Blasi ed Emanuele Amato. Quisquiglie.
Crocetta se ne è reso conto pochi giorni dopo, quando si è visto tirato in ballo dalla Procura di Catania con accuse pesanti e richiesta di rinvio a giudizio. Qui non c’entrano, pare al momento, né Montante, né Lumia. C’entra invece il traffico illecito di rifiuti e l’abuso d’ufficio, reati contestati all’ex governatore, che avrebbe concesso illegalmente, da presidente della Regione, alcune discariche del Catanese e del Siracusano. Roba grossa.
Tornando alla vicenda Montante, nella trasmissione di Rai3, sono stati chiamati in causa anche Eni e Libera, l’associazione pro-legalità fondata e presieduta da don Luigi Ciotti; l’uno per aver – si dice – compartecipato al finanziamento illecito e occulto delle campagne elettorali di Crocetta, l’altra per averlo sostenuto politicamente (all’epoca in cui era sindaco di Gela il Comune aveva acquistato da Libera elementi di arredo urbano da collocare in città. Né Eni, né don Ciotti hanno rilasciato dichiarazioni a Report.
Crocetta, insomma, è entrato in un cul de sac, in un ingranaggio perverso e tortuoso in cui la magistratura sembra aver spezzato solo ora le catene che possono averla tenuta imbrigliata per oltre un decennio, tanto quanto è durato pressappoco il dominio assoluto del super eroe dell’antimafia.
Di lui in città resta poco e nulla, anzi. Sotto la sua presidenza alla Regione la raffineria Eni ha chiuso i battenti, lasciando la città in braghe di tela (illusorie sin qui le promesse di riconversione industriale, le bonifiche e quant’altro); si è sgonfiato il progetto Agroverde, il porto rifugio è rimasto insabbiato, il Comune è ancora indebitato, il Piano regolatore dalle ripetute finte inaugurazioni è stato approvato solo meno di un anno fa sotto altre amministrazioni. Insomma, ha desertificato un territorio ormai incapace di rilanciarsi.
Potrebbe non resrare probabilmente nemmeno l’associazione antiracket da lui tenuta a battesimo. Pare che alla commemorazione del commerciante ucciso diciotto anni fa dalla mafia Gaetano Giordano, a cui è intestata, la città abbia disertato la cerimonia. C’erano il presidente voluto da Crocetta, Renzo Caponnetti, ancora – riteniamo inutilmente – sotto scorta, i rappresentanti delle forze dell’ordine e il Commissario straordinario del Comune, Arena.
Ah, una cosa di Crocetta è rimasta: il monumento alla fatuità davanti al pontile sbarcatoio che i cittadini hanno battezzato ironicamente col nome “Le ali di Mazinga Zeta”. Un’offesa alla pubblica decenza, esempio di spreco di denaro pubblico.
E dire che in tanti – noi compresi, prima del repentino ravvedimento – vedevano in Crocetta il nuovo Salvatore Aldisio. Il quale, a sentire questa bestemmia, si sarà già rivoltato nella tomba.