Continua il paradosso di una crisi idrica in un’isola circondata dal mare ed inondata al suo interno da fiumi di parole.
Innumerevoli i summit, tavoli tecnici, incontri, interlocuzioni varie e persino la recente cabina di regia, tra mille (buoni) propositi, a parole per l’appunto, ma zero risposte concrete e risolutive ai territori.
L’ultimo episodio risale a mercoledì 6 novembre con l’incontro a Palazzo d'Orléans, sede palermitana del Governo regionale, tra da un lato l'assessore regionale dell'energia, Roberto Di Mauro, il capo della Protezione civile regionale, Salvo Cocina, il capo di gabinetto della Presidenza regionale, Salvatore Sammartano, e dall’altro una delegazione di associazioni di cittadini e comitati civici provenienti dalle province di Enna, Caltanissetta e Agrigento, che non hanno esitato a sollevare le problematiche di una grave crisi che sta affliggendo in particolare queste aree dell'isola, comprese le perplessità manifestate sull'efficienza operativa delle società di gestione in ambito provinciale.
Secondo quanto si legge nella nota inviata ai media dagli uffici della Presidenza della Regione siciliana, «è stata ribadita la determinazione del governo Schifani a riattivare, attraverso procedure d'urgenza, i tre dissalatori di Porto Empedocle, Trapani e Gela e installare tre moduli temporanei di dissalazione entro giugno».
E pensare che Siciliacque ha sempre considerato un importante e fondamentale obiettivo raggiunto dalla sua politica industriale di gestione, l’aver spento i tre dissalatori Porto Empedocle, Trapani e Gela che costavano alla Regione 30 milioni di euro l’anno, anziché eliminare questo spreco investendo su di essi e rimettendoli in moto.
Ciò si affianca peraltro ad una serie di interventi illustrati dall'assessore Di Mauro e già avviati dalla Regione siciliana per affrontare le criticità, tra cui «la perforazione di nuovi pozzi, l'acquisto di autobotti e vari interventi sulle reti idriche, coperti con i 20 milioni stanziati dopo la dichiarazione dello stato di emergenza
. Altresì, sono stati stanziati 39 milioni all'interno del bilancio regionale e previsti ulteriori 56,2 milioni nelle variazioni di bilancio attualmente all'esame dell'Assemblea regionale siciliana, da destinare anche al rifacimento delle reti idriche nelle citta di Agrigento e Caltanissetta».
Infine, è già stato inviato al governo nazionale un secondo piano di interventi del valore di 66 milioni che verrà finanziato con fondi nazionali e regionali: «assicurare la disponibilità di acqua a tutti i siciliani e alle attività produttive – ha commentato il presidente della Regione Schifani, non presente alla riunione perché impegnato in aula all'Ars per l'esame del ddl sulle variazioni di bilancio, è una priorità assoluta del mio governo e continuiamo a lavorare senza sosta per questo obiettivo».
«Come esecutivo regionale – ha affermato l'assessore Di Mauro – stiamo facendo tutto il possibile per adempiere ai nostri compiti. Tuttavia, è importante ricordare che i sindaci, che fanno parte delle Ati, devono impegnarsi in prima persona. Da chi governa i territori ci aspettiamo un coinvolgimento maggiore».
«Stiamo vivendo una grave emergenza che non dà segnali di cessazione - ha aggiunto il capo della Protezione civile regionale, Cocina - e per questo motivo sono state predisposte notevoli risorse finanziarie mirate e avviati svariati interventi per rendere efficienti e utilizzare centinaia di pozzi, trivellarne di nuovi, sistemare le traverse sui fiumi e riparare le perdite».
Una vicenda che ha tutti i requisiti del paradosso. Da una parte, l’Ars perfeziona la disciplina in materia e attraverso la L.r. 19/2015, in ragione della legislazione esclusiva di cui gode ai sensi dell’art. 14, lettera i), dello Statuto siciliano, dispone al primo comma dell’art. 1 che l'acqua è un «bene comune pubblico non assoggettabile a finalità lucrative quale patrimonio da tutelare, in quanto risorsa pubblica limitata, essenziale ed insostituibile per la vita e per la comunità, di alto valore ambientale, culturale e sociale.
Considera, altresì, che la disponibilità e l'accesso all'acqua potabile ed all'acqua necessaria per il soddisfacimento dei bisogni collettivi costituiscono un diritto umano, individuale e collettivo, non assoggettabile a ragioni di mercato, così come sancito dalla Risoluzione n. 64 approvata dall'Assemblea generale dell'Onu il 28 luglio 2010».
Dall’altra parte però escogita, durante la Presidenza Cuffaro, un sistema di gestione mista pubblico-privato in cui quasi immediatamente la componente pubblica di direzione e controllo è venuta meno, lasciando la componente privata pressocché libera di agire secondo quella che è la sua natura, vale a dire il perseguimento proprio di “finalità lucrative, assoggettabili a ragioni di mercato”.
A livello centrale o cosiddetto “sovrambito”, infatti, la componente pubblica era rappresentata dall’Arra (Agenzia regionale rifiute ed acque) istituita allo scadere del 2005, dotata di personalità giuridica pubblica, della più ampia autonomia immaginabile (tecnica, organizzativa, gestionale, amministrativo-patrimoniale, finanziaria e contabile), ma sotto la diretta vigilanza della Presidenza della Regione che ne decideva vertice e cda, nata al fine di ricondurre sotto un’unica regia l’intervento nei due complessi campi dei rifiuti e delle acque. Insomma, troppo potere nelle mani del Governatore, tanto che l’Ars non ha esitato a cancellare tale organismo alla prima occasione utile nel corso della quindicesima legislatura.
Per contro, la componente privata a livello di sovrambito è ancora oggi rappresentata da Siciliacque, titolare di una concessione quarantennale di gestione del servizio di captazione, accumulo, potabilizzazione e adduzione di acqua (in teoria) potabile, a partire dal 2003, con entrata a regime nel 2004. L’impresa che ha promesso un investimento infrastrutturale nei 40 anni di 580 milioni di euro, si definisce pubblica ma l’azionariato è prevalentemente privato. Il 25% è della Regione Siciliana mentre il 75% è stato controllato per un ventennio dal colosso idrico francese Veolia (ex gruppo Vivendi).
L’anno scorso a Veolia è subentrata Italgas che appartiene al gruppo Cdp Reti, vale a dire la società pubblica che gestisce gli investimenti azionari di Cassa depositi e prestiti (spa a controllo statale) in società private leader di servizi quali Italgas, Snam e Terna.
A livello d’ambito provinciale la componente pubblica era in teoria assicurata dagli Aato provinciali, senonché poco dopo la riforma sono stati commissariati e di fatto congelati nell’ordinaria amministrazione. Solo recentemente sono stati sostituiti dalle Ati provinciali che hanno iniziato a funzionare ed a rappresentare finalmente un interlocutore pubblico, quantomeno, presente. La componente privata invece è rappresentata dalle società di gestione dei servizi idrici integrati provinciali. Quella nissena è Acque di Caltanissetta Spa, meglio nota come Caltaqua e controllata dal colosso idrico spagnolo Aqualia, che si è assicurata una convenzione trentennale a partire dal 2006.
Morale della favola? Ideato come un sistema misto ma con una componente pubblica “fantasma” per un ventennio, in questi due decenni il grossista francese ed il dettagliante spagnolo, hanno gestito un bene pubblico secondo la logica affine ad una gestione privata e quindi inevitabilmente orientata al profitto. Siciliaque vende a Caltaqua che vende ai cittadini sulle cui spalle si riversano i costi.
La logica privata non si traduce dunque nella determinazione delle tariffe di cui si occupa sostanzialmente Arera, ma nel fornire a fronte di tariffe che rimangono alte, un bene definito eufemisticamente “potabile ma non bevibile”, con i cittadini costretti a comprare l’acqua da bere presso gli esercizi commerciali. Con l’aggravate di non fornire il bene in continuità, cioè 24 ore su 24, così come recita l’impegno della società d’ambito riportato nella Carta dei servizi allegata alla Convenzione “capestro”.
Solo recentemente con l’ingresso di una società pubblica che controlla il maggiore azionista di Siciliaque e la comparsa delle Ati provinciali, qualcosa sembra muoversi. Il ritorno di una valenza pubblica nella gestione del servizio, sia nel sovrambito regionale che negli ambiti provinciali, postula un minimo di vigilanza sulla condotta delle società di gestione. E non solo.
Le Ati provinciali, ad esempio, puntando su finanziamenti regionali, nazionali ed europei per coprire opere progettuali, evitano piuttosto che ad occuparsene sia il gestore privato, lesto poi a riversare i costi nelle bollette dei cittadini. Inoltre, se nei due decenni passati contraddistinti dalla lentezza del grossista di sovrambito nel finanziare interventi strutturali permanenti, preferendo a quest’ultimi di gran lunga interventi tampone ed a carattere manutentivo, con il nuovo azionista di maggioranza in Siciliaque sembrerebbe profilarsi un’inversione di tendenza.
Certo è ancora presto per dirlo, ma il ritorno alla dissalazione (seppure con moduli temporanei) ed a sfruttare una risorsa “inesauribile” come il mare, sarebbe un elemento di conforto e conferma ad un nuovo indirizzo intrapreso. Basterà solo attendere un semestre per saperne di più.