La persona? Prima di tutto, sopra ogni cosa. Vero, sopra ogni altra cosa. Pensiamo alla “diversa” abilità di tanti ragazzi, espressione concreta di un dono che va oltre ogni forma di disagio.
E non esiste il disagio se non nella testa di chi pensa di poterlo creare o vedere. Ci sono malattie rare, patologie invalidanti e serie che spesso hanno nomi che non vorremmo mai pronunciare: focomelia degli arti, fibrosi cistica, microcefalia, sindromi genetiche o legate ai cromosomi (Down, Rett), mucopolisaccaridosi, fenilchetonuria, galattosemia… tanto dolore dentro vite che appaiono rassegnate. Ma non è così. Come uomo e operatore sociale ammiro con tutta l’anima quei genitori che, di fronte ad una situazione particolarmente faticosa, esclamano: “Non importa. E’ sempre mio figlio”. Un regalo universale, una gioia, un augurio prezioso che riempie tutta l’esistenza e pone sul gradino più alto questi piccoli eroi.
Un passo dopo l’altro, con l’intento di superare ostacoli ed imprevisti. Poi c’è l’ignoranza, la vera e unica “infermità” del nostro tempo. Un virus lacerante che resiste anche ai peggiori uragani. No, non si vuole scherzare, questo è certo. Ma le “imbecillità” non tramontano mai, specialmente nel nostro territorio. Così accade che tu, semplice passante, ti trovi in piazza, sei in un bar per caso e, d’improvviso, ascolti commenti da sapore medievale: “U carusu handicappatu?… no, ppi favuri!“. Provi vergogna e pietà, e senti ancora più rabbia quando si osano “accostare” condizioni perfettamente normali come l’omosessualità all’interno di questi discorsi.
Perché, a Gela, scoprire di avere “u figghiu oricchiuni” è ancora peggio. Un vero scandalo. Confusione e banalità, miseria e pochezza, odio e incomprensione. Chiedo scusa ai lettori per l’immediatezza dei termini, ma è una realtà molto evidente e quasi quotidiana che si tinge di un linguaggio carico di barbara violenza e di insulsa denigrazione. Ripeto, ammiro questi “genitori coraggio” che lottano ogni giorno per affermare e rivendicare le qualità di chi ha molto da offrire al mondo attraverso lo sport, la scuola, le attività educative e ricreative.
Tutti uguali e mai diversi. Uniti, contro ogni forma di disprezzo, pregiudizio o sentimento scontato. Per esserci, per scegliere, per credere in una città migliore, dove la parola “amore” è ricca di colori, suoni ed emozioni. Giovani liberi. Abili, solidi, vivaci, teneri, umani. E coscienti di avere un padre e una madre in grado di accettare, sperare e sorridere insieme a loro, allo scopo di cancellare un’etichetta e trovare l’energia per dire sì al futuro di Gela.