I miei 40 anni a Gela? un’opportunità non una conquista

I miei 40 anni a Gela? un’opportunità non una conquista

Raggiungere il traguardo dei 40 anni può essere motivo di orgoglio, di crescita consapevole, di scelte significative e forte senso di maturità.

Tra poco più di un mese (esattamente il 28 dicembre) arriverà anche per me tale momento. A Gela, però, questa meta costituisce (secondo un’ampia visione personale) un’opportunità e non certo una conquista. Infatti, dovendo attraversare per un attimo il “limbo” dei decenni trascorsi, mi sono accorto di quanto sia stato arduo accettare certe contraddizioni di questo territorio, dove ho respirato l’odio in tutte le sue declinazioni. 

Mi riesce difficile comprendere il valore di un simile punto d’arrivo, mediante il quale ho mostrato comunque determinazione e una buona dose di coraggio, unite ad un cervello in continua elaborazione e uno sguardo attento ai dilemmi esistenziali. Inoltre, non è mancata la passione per le problematiche sociali. 

Ad ogni modo, la mia esistenza è stata bella. Impegnativa, faticosa, ma gradevole e con un percorso responsabile, all’interno di una Gela non proprio attenta al mondo giovanile.

Quali anni, i miei? Anni di volontariato, impegno ecclesiale e lavoro. Anni di studio intenso, con il conseguimento di cinque diplomi e due qualifiche, oltre a vari aggiornamenti e altri corsi. 

Anni oscuri, caratterizzati purtroppo da un bullismo feroce, violenze gratuite e rapporti familiari non facili. Quale aiuto? Quale risorsa? Due gambe solide, pronte sempre a camminare e a percorrere chilometri, distanze, sogni. 

Tanti piccoli progetti, costruiti con ostinata pazienza, anche solo per esserci e testimoniare mia profonda laboriosità. Dopo, un carattere riservato e introverso, ma con tratti di sincera generosità, con  pochi amici veri e  un divertimento mai eccessivo. 

Per dirla in breve, cuore e ragione. E non ho sentito l’esigenza di nascondere la mia personalità, aperta ad un’espressione autentica di affetto universale, che ha finito per classificarmi come “l’uomo del bacio”. Nulla di errato in questa definizione, poiché fedele alla mia immagine.

Tuttavia, mi sono dovuto scontrare con una realtà poco gentile che mi ha etichettato come individuo “diverso” dagli altri. Tutto è apparso segnato : la mia riflessione da monologo interiore (il “parlare da soli”) scambiata per follia, la mia sensibilità fraterna per omosessualità (che, come tutti sanno, non è una patologia), il mio tono polemico per rabbia incontrollata…insomma, un calvario pesante, dove l’ignoranza ha avuto un ruolo fondamentale.

Ignoranza razzista, omofoba, volgare, subculturale, ma furbescamente presente. E poi, per finire, la tormentata pagina dell’anoressia. Quarant’anni, già, ma qual è, ora, il risultato?  Uno solo: vivere con semplicità, nonostante ombre e pregiudizi. 

Sicuramente, ho tentato di portare avanti un’idea di Servizio sociale che si avvicinasse al prossimo con rispetto, all’utente come persona, all’essere umano come portatore di un bisogno autentico e non soltanto di un soggetto in fila pronto ad esibire un Isee aggiornato.

Vero. Esistono le normative. Ed è giusto tenerle in considerazione. Tuttavia, è doveroso ascoltare il “grido” di quel bisogno che, spesso, non può permettersi di attendere giorni o mesi.

Questo il mio pensiero di uomo e operatore sociale in cammino e non privo di fragilità.  Certo, errori ce ne sono stati, ma anche all’interno di ogni mio sbaglio ho cercato il modo migliore per rialzarmi.  E rialzarsi dalle tempeste della vita è già un ottimo augurio per un gelese, anche senza regali o cartoline.