I capi di Stato e di governo riuniti (virtualmente) nel Consiglio europeo hanno subito approvato le misure su cui i loro ministri delle Finanze avevano già trovato un accordo.
Ma il vero piatto forte del Consiglio europeo era il Recovery Fund. L’accordo c’è stato: il fondo ci sarà. Ma cosa sarà? Secondo ciò che affermano talune voci governative, grazie al Recovery Fund abbiamo la grande occasione di disinnescare finalmente un lunghissimo conflitto tra Nord e Sud del Paese che ha fatto male a tutti.
L’emergenza Covid non è stata una livella: ha colpito in maniera differente il Paese, aumentato disparità e tolto il velo sugli insopportabili squilibri che esistono in Italia. Pensiamo solo a che cosa ha significato per tantissimi ragazzi del Sud non aver avuto la possibilità di dare continuità ai processi formativi, in mancanza di connessioni digitali.
Ora, quindi, il nostro sforzo deve essere orientato in primo luogo a innalzare la qualità dei servizi essenziali in quelle parti del Paese dove essi sono più carenti. Non a caso, tali carenze sono abbondantemente radicate e sviluppate al Sud e in maniera tanto più accentuate nella nostra depauperata Regione siciliana e più precisamente in questo nostro territorio nisseno.
Scuola, asili nido, infrastrutture materiali e digitali, sanità. Questi sono i grandi pilastri su cui ricostruire una Terra e tutto un territorio più giusti dopo l’emergenza pandemica, nel rispetto di quanto finora disatteso dai governi in materia di equità fra Nord e Sud. Tuttavia, ogni entusiasmo cede il posto allo sconforto quando si apprende che al Sud andrà circa il 40% dei soldi del Recovery fund, mentre al Centro-Nord la rimanente percentuale.
Alla luce di questo, è evidente che a nessuno appaiono chiari i criteri dettati dall’Unione Europea per la ridistribuzione del Recovery fund. L’Italia è divenuto il paese europeo a beneficiare della fetta più cospicua di tali fondi (ben il 28% del totale) proprio a causa della difficile situazione del suo Sud e del Mezzogiorno. Con i parametri europei il Sud ha infatti contribuito ad attirare ben 135 miliardi dei 209 assegnati all’Italia dalla Ue.
Pertanto, al Sud ed al Mezzogiorno è dovuto il 65% dei Recovery fund concessi all’Italia, che per l’interdipendenza economica Nord-Sud (effetto rimbalzo), diviene poi il 70% corrispondente così a circa 145 miliardi. Se non avverrà ciò, sarà significativo il divario tra le due parti d’Italia con ripercussioni importanti nelle aree più disagiate, quali possono essere appunto le nostre, che ricadono in un territorio dell’estremo sud italiano, storicamente ritenuto e considerato il più povero d’Italia.
Invero, i timori sulle conseguenze del lockdown sull’economia e sull’occupazione, hanno preso maggior forma attraverso i drammatici dati forniti, tra gli altri, dalla Bce. Dati che mostrano peraltro quanto una crisi dovuta all’emergenza Covid-19, possa avere conseguenze disuguali.
Infatti, il calo del Pil nelle regioni del Nord sarà inferiore rispetto a quello delle regioni del Sud, una realtà che rischia di diventare socialmente e politicamente insopportabile se non si trovano ingenti risorse di sostegno all’economia e all’occupazione destinate perlopiù all’incremento delle attività crollate con scarse probabilità di auto-ripresa se non coadiuvate dalle necessarie azioni di intervento.
Se difatti il Nord è stato la parte del paese con il maggior numero di contagi e di perdite in termini di vite umane, con il lockdown il Sud ha subito le conseguenze economiche peggiori. Dopo il lockdown, solo riguardo alla possibilità che le aziende non riaprano più, il Sud e il territorio nisseno, presentano un rischio che è circa quattro volte più elevato delle regioni e delle città del Nord, con tutto ciò che comporta in termini di disoccupazione e di allargamento del divario.
L’Unione Europea è stata dunque molto chiara, fissando dei criteri ben precisi per l’attribuzione dei soldi del Recovery fund. E intanto siamo sempre qui, come al solito, a riferire le stesse questioni che attanagliano la nostra realtà che per quanto ci riguarda, interessa il territorio di Caltanissetta e Gela esteso nella sua condizione geografica con peculiarità diverse. Per un verso restiamo a soffermarci come il cane che si morde la coda, sulle solite problematiche più volte dibattute e mai risolte; cambiano i governi, si alternano i politici, ma le questioni sono sempre là ad attendere le soluzioni.
Basterebbe verosimilmente un piano progettuale credibile da agganciare al Recovery Plane che la Regione ed il Governo nazionale si appresterebbero a realizzare, per dare un fine certo stavolta alle varie carenze strutturali che afferiscono a tutto il territorio nisseno.
Volendoci ripetere ancora, basti accennare per esempio il problema strutturale del porto di Gela, importante punto di approdo che dovrebbe dare un senso allo sviluppo economico della città e delle zone annesse, il potenziamento dell’arteria stradale Gela-Catania, che permetterebbe con più facilità il commercio su gommato finalizzato al raggiungimento dell’interporto e dell’aeroporto di Catania, la riqualificazione della zona industriale di Gela, per permettere il rilancio e la riconversione dell’attività produttiva del territorio, condizione connessa all’area di crisi industriale complessa che riguarda nella fattispecie la circoscrizione gelese soggetta a recessione economica con perdita occupazionale di rilevanza nazionale e con impatto significativo sulla politica industriale nazionale, non risolvibili con risorse e strumenti di sola competenza regionale.
E poi, tutta la viabilità interna del nisseno, rimasta ancora nelle condizioni risorgimentali, cui per potersi spostare da un comune all’altro, spesso si sa quando si parte e non è data sapere l’ora di arrivo alla destinazione prefissata a causa dell’impraticabilità stradale. E poi ancora, tutto il settore agricolo e commerciale devastati dall’emergenza pandemica, cui difficilmente potranno ritornare a rifiorire se non si faranno dei piani di investimento finalizzate alla ripartenza delle attività.
Tutto ciò e ancora di più si potrà realizzare, come ultima ed importante occasione, se la classe dirigente politica di governo regionale e nazionale, facesse in modo di attuare nella giusta misura quanto già enucleato. Da qui l’esigenza del Recovery plane e del Recovery Fund.
Andrea Alario - segretario Ugl-Utl Unione territoriale Caltanissetta-Gela