Nato a Rimini il 20 gennaio del 1920, Federico Fellini, regista, sceneggiatore, fumettista e anche giornalista, per 40 anni è stato uno dei cineasti più applauditi e amati al mondo.
Egli, dopo gli esordi dietro la macchina da presa Luci del Varietà (1950) girato a quattro mani con Alberto Lattuada, e Lo sceicco bianco (1952) divenne uno dei padri del Neorealismo firmando film come La strada (1954), Le notti di Cabiria (1957), dopo che già nel 1945 era stato lo sceneggiatore di Roma città aperta di Roberto Rossellini. Fra i 19 film del regista, molti dei quali splendidamente musicati da Nino Rota, non sono poi mancate pellicole autobiografiche come Otto e mezzo (1963) e Amarcord (1973). Ci sono poi i film della maturità che ne hanno perpetuato la leggenda. Citiamo fra i tanti il Casanova (1976), La città delle donne (1980), E la nave va (1983), etc.
Cinque Oscar, di cui uno alla carriera testimoniano del peso che Fellini ha avuto nella cinematografia mondiale. Non vi è però dubbio che il suo film più famoso, quello che lo ha consegnato per sempre alla storia del cinema rimane La dolce vita del 1960; una pellicola mitica che ha segnato un'epoca e ha testimoniato il costume degli italiani sul nascere di quel boom economico che riportò l'Italia, dopo i lunghi anni della ricostruzione post-bellica ad essere uno dei Paesi più industrializzati d'Europa.
Una pellicola che non mancò di dare scandalo per talune tematiche affrontate, e per la conturbante giunonica presenza di Anita Ekberg (immortale la scena girata a Fontana di Trevi fra l'attrice svedese e Mastroianni). Fellini ha saputo quindi attraversare 40 anni di cinema, si può dire sempre con il vento in poppa, sebbene La voce della luna (1990), suo ultimo film, protagonisti Roberto Benigni e Paolo Villaggio, fu al botteghino un insuccesso ed ebbe come conseguenza il fatto che i produttori non gli diedero più fiducia. Senza avere avuto più la possibilità di tornare sul set, il regista morì a Roma il 31 ottobre 1993 in conseguenza a gravi complicanze intervenute dopo che un ictus lo aveva colpito nell'estate di quell'anno. Il giorno prima della scomparsa, quando Fellini era già in coma irreversibile, ricorrevano i suoi 50 anni di matrimonio con Giulietta Masina, la quale sopravvisse al marito soltanto 6 mesi.
Personalmente, un ricordo importante mi lega a Federico Fellini, in quanto nel giugno/luglio del 1985 potei essere suo assistente sul set di Ginger e Fred, interpretato da Marcello Mastroianni e Giulietta Masina. Fu quello un film profetico che raccontava già come la nostra televisione si sarebbe trasformata da lì a poco in tv spazzatura. Stare trenta giorni accanto a Fellini, nel famoso teatro 5 di Cinecittà, per me fu una esperienza importante. Una opportunità di crescita professionale che mi sono sempre portato dietro come prezioso bagaglio.
Anticlericale e sempre molto critico con le gerarchie ecclesiastiche, comunque il regista riminese – come testimoniò il gesuita Angelo Arpa, che di Fellini fu confessore e prezioso consigliere – aveva un sincero e profondo sentimento religioso. Lo stesso regista diceva di sé: “Ogni ricerca che ogni uomo svolge su se stesso, sui suoi rapporti con gli altri e sul mistero della vita, è una ricerca spirituale e, nel senso vero del termine, religiosa. Suppongo sia questa la mia filosofia. Faccio i miei film nello stesso modo in cui parlo alla gente. Questo è per me Neorealismo, nel senso più puro e originale. Una ricerca in se stessi e negli altri. In ogni direzione, in tutte le direzioni in cui va la vita”.