Se domandassimo ai più “chi è stata la più grande attrice italiana di tutti i tempi?”.
Forse qualcuno potrebbe rispondere Sophia Loren, altri Gina Lollobrigida. Ma certo la stragrande maggioranza risponderebbe in coro Anna Magnani! (nella foto col grande Totò) Infatti “Nannarella” è rimasta scolpita nella memoria del pubblico e dei tanti che l'hanno amata, non solo per la sua arte recitativa, ad oggi insuperata, ma anche per la sua singolare umanità.
Una umanità scolpita nella sofferenza, se si considera che lei non conobbe mai suo padre e che ancora piccolissima venne abbandonata anche dalla madre, che decise di andarsene ad Alessandria d'Egitto per rifarsi una nuova vita, lasciandola in custodia alla nonna e alle zie. Ma quel trauma Anna, nella sua singolare e profonda sensibilità, la segnò per sempre. Fu solo il suo immenso talento che trasformò tanto dolore nella sua sublime arte recitativa, ad oggi insuperata.
Nata a Roma il 7 marzo del 1908 in via Salaria 126, a qualche abitato da Porta Pia, già da giovanissima la Magnani mostrò interesse per lo spettacolo, ma se i suoi primi approcci artistici la videro più interessata al canto e alla musica (studiò 2 anni pianoforte al conservatorio di Santa Cecilia), comprese poi che la sua strada era la recitazione. Ella quindi frequentò l'Accademia “Eleonora Duse”, che poi sarebbe divenuta l'Accademia Nazionale d'Arte Drammatica “Silvio d'Amico”.
Ma il suo talento fu subito così evidente che presto la giovane venne scritturata in una compagnia di teatro e da lì non la fermò più nessuno. Esordì nel cinema nel 1934 in La cieca di Sorrento di Nunzio Malasomma, ma il primo ad affidarle un ruolo da protagonista fu Vittorio De Sica, che la diresse nel 1941 in Teresa Venerdì.
Nel '45 divenne popolarissima con Roma città aperta di Roberto Rossellini (con il quale ebbe una lunga e tempestosa relazione). Accanto a lei l'immenso Aldo Fabrizi. Il film, manifesto del cinema neorealista, la consacrò quindi come una delle icone più fulgide del cinema italiano.
Negli anni successivi Anna continuò ad impersonare personaggi popolari con una presenza drammaturgica senza eguali, con un temperamento da guerriera, ma anche con una sottile ironia, che si risolveva spesso in quelle sue sonore e coinvolgenti risate, rimaste nella memoria dei suoi fans. In pratica recitò con tutti i grandi registi italiani: da De Sica a Visconti (Bellissima, 1951), da Pasolini a Zeffirelli, da Zampa, a Monicelli (Risate di gioia, 1960), girato quest 'ultimo accanto a Totò e a un giovanissimo Ben Gazzara.
La Magnani fu anche la prima attrice italiana a vincere il Premio Oscar nel 1956 con il film La rosa tatuata di Daniel Mann accanto a Burt Lancaster. Ma già nel 1952 aveva girato un altro film rimasto nell'immaginario collettivo intitolato La carrozza d'oro diretto da Jean Renoir, e prodotto dal principe palermitano Francesco Alliata, il fondatore della mitica Panaria Film.
Oltretutto Alliata produsse anche Vulcano della Magnani, per la regia di William Dieterle, mentre la rivale Ingrid Bergman (che le aveva sottratto Rossellini) interpretava Stromboli. Fu quella un'epopea del cinema senza eguali, ben raccontata dalle cronache del tempo, passata alla storia come la “Guerra dei vulcani”, proprio per le scintille accese dalle due grandi dive.
Non si contano i premi e i riconoscimenti avuti dalla Magnani in carriera, che però mai la esaltarono, perché ogni successo era impastato del dolore della sua esistenza, dove non mancarono neppure tradimenti e calunnie.
Nannarella, con circa 50 film all'attivo, morì a soli 65 anni, il 26 settembre del 1972 dopo avere interpretato il suo ultimo piccolo ma mitico ruolo in Roma di Federico Fellini, dove fu semplicemente se stessa, ma anche la città che le diede i natali, perché nessun altra come lei seppe dare anima e voce alla città dei sette colli, di cui fu non solo la più fedele testimone ma anche l'indiscussa regina. Di lei ha detto la grande attrice americana Maryl Streep: «Una dea. Fantastica. Guardate che occhi! Che intensità.
L'impegno completo su ogni cosa che ha fatto. Un impegno che scoppiava in tutto quello che faceva», mentre Oriana Fallaci alla sua morte scrisse sull' Europeo: “Era la donna più misteriosa e più chiara che la mitologia del cinematografo abbia inventato”. Infine, Eduardo De Filippo a pochi mesi dalla scomparsa dell'attrice scriveva per lei questi versi struggenti: "
Confusi con la pioggia sul selciato, sono caduti gli occhi che vedevano gli occhi di Nannarella che seguivano le camminate lente sfiduciate ogni passo perduto della povera gente. Tutti i selciati di Roma hanno strillato. Le pietre del mondo”.