L’avv. Carmelo Internullo (foto) gelese, bergamasco d’adozione con la passione per la scrittura, ha dato due anni fa alle stampe una raccolta di racconti di vita vissuta nella sua città di origine. Racconti brevi e gradevoli che fanno rivivere uno spaccato della Gela degli anni che furono. Quella che segue è la prefazione dello scrittore Franco Paone. Il titolo del libro è “L’ironia improduttiva”.
Carmelo Internullo trae spunto da due “goliardate” a lui raccontate dal suo maestro avvocato e li ricostruisce in modo fantastico, da vero conoscitore della gioventù locale e della cultura siciliana. Racconta in modo quasi teatrale le varie fasi e gli stratagemmi che, certamente, avrebbero impegnato i giovani amici coinvolti nelle storie, progressivamente avvincenti l’intero gruppo, e che si sarebbero sviluppate in una serie di iniziative, tutte prese con esagerato impegno rispetto allo scarso valore intrinseco dello scopo da raggiungere, apprezzati nell’ambiente, ma non altrettanto da lui.
In particolare li amplia per dare risalto a tali assurdi impegni, allo scopo di giustificare psicologicamente il coinvolgimento determinato dal carattere ironico e malizioso di un giovane intelligente burattinaio.
L’autore inquadra le scene e gli episodi narrati da lui e dal suo maestro in un ambiente storico e socio-economico che li giustifica, richiamando costumi e abitudini diffusi a cavallo tra l’epoca fascista e l’avvento della democrazia, in modo obiettivo e corretto.
Il libro mette in risalto gli aspetti negativi del conformismo di paese, l’emarginazione femminile, il maschilismo sprezzante della dignità della donna, alla quale si imponevano non solo i limiti circoscritti al suo ruolo familiare, ma anche rinunce totali alle esigenze della sua più intima femminilità.
L’autore manifesta il suo dissenso a costume e alle abitudini locali, con evidente pessimismo, stigmatizzando sia la rassegnazione popolare sia l’opportunismo della classe dirigente sempre pronta ad accogliere i nuovi capi pur di ottenere un qualche privilegio personale o familiare.
Il titolo è azzeccatissimo: la spiegazione di un ambiente che produce con becera ironia il divertimento fra amici e a spese di qualcuno di essi, mancando alla fine di un salto di qualità nel prosieguo del tempo se non che una riappacificazione con tutti, già programmata per la fine di un triste gioco. La coscienza si ferma al palo, non rende l’uomo adulto, lo fa, anzi, rimanere nel falso convincimento che bastano i metaforici tarallucci e vino.
E’ il tipico fermarsi a dormire non oltre il gioco, soddisfatti del clima e dell’ambiente siciliano. E la ripetizione si presenta fino alla fine dei giorni. Sarebbe il fatalismo che blocca il superamento dell’agire anche per il prossimo anziché irriderlo.
L’autore della narrazione fa intravedere un velato ironico rimprovero a tutto ciò. E nella parte finale lo dichiara.
La padronanza della lingua è pressoché intatta, ed è un merito, a differenza di altri paesani i cui testi hanno infestato la biblioteca, senza che nessuno lo impedisse.
Franco Paone