Nel 2013, dopo il risultato elettorale ottenuto dal Movimento Cinque Stelle alle elezioni politiche del febbraio di quell’anno,
Giorgio Napolitano all’epoca Presidente della Repubblica disse che non aveva sentito nessun botto. Eppure un votante su quattro aveva scelto un partito, nato qualche anno prima, con il nome e il volto di un comico famoso e attento alla realtà italiana, da decenni fustigatore del potere.
Colui che esprimeva compiutamente l’istinto di un popolo sempre meno sovrano ma ancora disposto a credere all’illusione di ritrovare l’antico star bene, Beppe Grillo gridava contro la “casta” che non voleva rinunciare ai privilegi, aboliti invece per la gran parte degli italiani.
Qualche giorno fa quel botto si è sentito ancora più forte, soprattutto nelle Regioni meridionali, il Movimento fondato dal comico genovese ha preso più del 30 per cento dei voti. Il popolo è andato a votare, l’affluenza nazionale è stata poco più bassa di quella del 2013, la gente in fila ai seggi e poi aperte le urne un grido: abbiamo provato tutti, vediamo come sono questi qui. Ci si affida all’antipolitica, a coloro che hanno sostituito la sovranità del popolo con quella del populismo? Per niente, piuttosto è il sistema dei nuovi partiti tradizionali che non attrae ma anzi respinge la partecipazione e ridimensiona la rappresentanza politica.
I partiti del capo ridotti a oligarchie, in balia delle onde tempestose dei vincoli europei, incapaci di cambiare nei metodi ancor prima che negli uomini. Questo e altro spiega il successo dei Cinque Stelle, di un movimento di sconosciuti che con la loro bandiera hanno conquistato i palazzi romani, presentando un modo diverso di fare politica, dove uno vale uno: non è vero ma ci credo. Dopo il 4 marzo il quadro politico appare semplificato, almeno per adesso. Forza Italia e la sua nobiltà decaduta, il suo capo padrone ormai avanti con l’età senza la forza di un tempo neppure quella mediatica. Il partito di Berlusconi non può più rivendicare la guida di quello che ancora si fa chiamare centro destra. In realtà si tratta di destra sovranista, salda nelle mani della Lega di Salvini con l’aiuto della passionaria Giorgia Meloni rappresentante dello zoccolo duro di derivazione tardo missina.
E poi il confuso Pd, da tempo poco democratico e adesso anche poco partito. Per il resto non fanno testo i “cespugli” di quello che fu il centro sinistra né le nostalgie da cosiddetta prima repubblica, la sinistra ora LeU (in Parlamento per un soffio) e il centro formato da una accozzaglia di sigle con un manipolo di protagonisti dalla vocazione cangiante. Due forze politiche, di cui ci sarebbe grande bisogno, ridotte a due debolezze autoreferenziali. Se il quadro politico si presenta più polarizzato l’arcipelago parlamentare appare alquanto frastagliato, per questo trovare una maggioranza nelle due Camere sarà compito per matematici delle istituzioni.
Quale mappa traccerà il Professor Mattarella, giurista parlamentarista e Capo dello Stato, a cui spetta di guidare il processo parlamentare e governativo della Nazione lo vedremo nelle prossime settimane, forse torneranno di moda espressioni desuete come governo di scopo, della non sfiducia, appoggio esterno, convergenze parallele o più semplicemente ci saranno i soliti “responsabili” che garantiranno la governabilità.
Certamente la realtà parlamentare venuta fuori dalle elezioni è figlia della ambigua legge elettorale di stampo proporzionale con un subdolo premio maggioritario, non scattato per il cartello di centro destra soprattutto perché al Sud, in particolare nelle Isole, i penta stellati hanno fatto en plein nei collegi uninominali. Nel complesso, comunque la si voglia vedere, il 4 marzo apre la terza fase della storia repubblicana. Vanno definitivamente in soffitta i messaggi televisivi incarnati da Berlusconi, nel 1994 con la sua discesa in campo e nel 2001 col contratto con gli italiani firmato da Vespa; prendono una brutta botta i tweet di Renzi; arrivano i proclami da prima repubblica, rivisti in salsa web, di Salvini e Di Maio.
Non sappiamo se la diciottesima legislatura che nascerà a fine marzo esprimerà un governo né quando durerà, ma sappiamo che avrà davanti dei problemi sociali non più rimandabili: la sicurezza civile che manca e la povertà di diversi milioni di persone, prima di tutto. Perché i successi elettorali passano ma i problemi restano, l’auspicio è che si apra la stagione che chiamerei, rubando il titolo all’economista Wilhelm Ropke, umanesimo liberale.