Domenica 4 marzo gli italiani hanno votato e per farlo si sono recati alle urne frenando il crescente astensionismo degli ultimi anni,
registratosi in tutti gli appuntamenti elettorali nel frattempo intercorsi, dalle europee alle regionali, attraverso i vari turni annuali amministrativi. L'affluenza del 73%, paragonata a quella leggermente superiore del 2013 allorquando però si votò anche nell'intera mattinata del lunedì, ha superato ogni più rosea aspettativa ed è stata dettata dalla contrarietà, intervenuta in chi voleva inizialmente astenersi, allo spettro che aleggiava in campagna elettorale del “renzusconi” post-elettorale.
Bravi Di Maio e Salvini, non a caso premiati dall'elettorato, ad agitare questo spettro ed a parlare al cuore degli italiani, attraverso i temi del taglio agli sprechi, della solidarietà economica, della sicurezza, del sovranismo antieuropeista. Bravi Di Maio e Salvini a smarcarsi, attraverso un linguaggio seppur a tratti aggressivo, ma semplice, chiaro e diretto, a smarcarsi dal reticolo tradizionale di comunicazione. Attenzione, però: continua a sbagliare – e di grosso – chi pensa ancora che Movimento 5 Stelle e Lega siano due forze politiche anti-sistema.
La Lega è dentro il sistema da sempre, ha già governato e si è presentata in una coalizione a vocazione governativa. Il movimento 5 stelle non è un fattore extra-sistema, è un “virus” interno al sistema e più il sistema tende a proteggersi elettoralmente, più il virus si diffonde. Lo avevamo appurato già col “porcellum” e ne abbiamo avuto palese conferma domenica scorsa col “rosatellum”. A pagare dazio, arretrando complessivamente nei consensi, sono stati proprio Berlusconi e Renzi, visti a torto o ragione come due facce della stessa medaglia, quella dell'estabilishment autoreferenziale che ha perso il filo comunicativo con i cittadini. Gli slogan ad effetto del primo non hanno fatto più presa come in passato, figuriamoci il “tecnicismo” a cui è stato convinto il secondo su suggerimento (grossolanamente sbagliato) del presidente del consiglio Gentiloni.
Il sostanziale tripolarismo partorito dalle urne col porcellum nel 2013, si è tradotto col rosatellum in un falso bipolarismo: a dividersi l'Italia è il centrodestra e il movimento di Grillo, mentre a fare da terzo incomodo è il Pd che cede storiche regioni “rosse” come l'Emilia Romagna e l'Umbria e le cui uniche roccaforti rimangono la Toscana ed il Trentino. Ne è derivata una fotografia dell'Italia divisa sostanzialmente in due grosse fette: l'intero meridione e pezzi del centro in mano ai pentastellati, l'intero settentrione e pezzi del centro in mano ad una coalizione le cui redini sono passate dalle mani di Berlusconi a quelle di Salvini, con il primo ora inteso a rivestire i panni del “garante”, per quanto leale al nuovo leader, mantenendo fede all'impegno preso, in aderenza al pensiero da sempre manifestato a chiare lettere dallo stesso cavaliere in passato: e cioè che “le primarie si fanno nelle urne”.
Il paradigma del dominio grillino nel sud e nelle isole è proprio la Sicilia, dove si è votato per eleggere il Presidente della Regione ed i 70 membri dell'Ars solo quattro mesi fa, con risultati ben differenti. Si tratta di un raffronto che non riusciremmo minimamente a spiegare se non attraverso due chiavi di lettura: le diverse affluenze ed i diversi sistemi elettorali con cui si è votato. Se prescindessimo da queste due chiavi di lettura non riusciremmo a spiegare come il movimento 5 stelle possa essere passato nell'isola in soli quattro mesi da meno del 35% ottenuto alle regionali, al 48% pieno alle politiche di domenica scorsa con ben 13 punti percentuali in più.
Già sarebbe difficile, per non dire improbo scientificamente, spiegare come in quattro mesi il governo di centrodestra appena insediatosi, possa aver dilapidato 7 punti percentuali passando dal 39% delle regionali, al 32% di queste politiche, mentre la Lega che non ha assessori regionali in carica è cresciuta ben più di Fratelli d'Italia, con cui era alleata alle regionali ed alcuni mesi prima alle stesse amministrative di Palermo (senza accedere al civico consesso del capoluogo, non riuscendo nemmeno a passare la soglia di sbarramento). E' bastata la presenza delle preferenze nel proporzionale del sistema elettorale regionale per frenare i grillini, a vantaggio dei partiti “tradizionali”. Basti pensare allo stesso Pd che alle politiche, con dentro Sicilia Futura, si attesa poco oltre il 10%, mentre si era difeso a denti stretti alle regionali con un 14% che diventava 20% sommandolo al 6% di Sicilia Futura.
L'abbiamo scritto righe sopra e lo ribadiamo: più il sistema partitico pensa all'autoconservazione ed elabora acrobatici artifizi tecnici in materia elettorale, più il virus grillino si diffonde. Alla prima applicazione del rosatellum risulta immediatamente acclarato che si tratta di un falso sistema misto. Il rosatellum è un proporzionale camuffato dalla presenza di un fetta di maggioritario, rivelatosi puntualmente ininfluente. Pur riservando un terzo dei seggi ai collegi uninominali, essendo questi bloccati dai collegi plurinominali che assegnano i restanti due terzi dei seggi, con liste senza preferenze e senza voto disgiunto, la valenza proporzionale del sistema elettorale è totale. Tanto che la parola d'ordine in campagna elettorale è stata quella di chiedere agli elettori di barrare solo il simbolo della lista (solitaria o in coalizione) al plurinominale, per trascinare il voto anche al candidato all'uninominale, mortificando in ciò la valenza maggioritaria di questi collegi e vanificando l'eventuale (e rara) presenza in essi di candidati territoriali.
Lo abbiamo visto tutti, ne è conseguita una campagna elettorale condotta solo sui media nazionali, senza dibattiti, confronti, comizi e quant'altro di pubblica audizione per gli elettori a livello locale, con territori coperti da un manto silenzioso. Quale migliore assist, allora, a forze come Movimento 5 Stelle e Lega, in un contesto di insofferenza antipartitocratica, già nitidamente esternatasi nei vari appuntamenti elettorali precedenti? In definitiva, senza preferenze al proporzionale e con un'affluenza maggiore di ben 15 punti percentuali (alle regionali ha votato il 47,41% mentre alle politiche ha votato il 62,75%), già a novembre del 2017 avremmo visto il “trailer” dello tsunami che ha inondato l'intera isola nel 2018, quattro mesi dopo.