Da qualche anno, ormai, in Italia è tutto un susseguirsi di fiaccolate e cortei, per le più svariate ragioni, comprensibili o meno.
In questi giorni hanno preso piede i cortei di tipo politico: quelli contro i “fascisti” ma anche quelli contro gli “antifascisti”. Sembra quasi che il maggiore problema del Paese sia tornare indietro di settant’anni e ridare vita a lotte e scaramucce che dovrebbero essere relegate nei libri di storia. Naturalmente, e questo è preoccupante, si assiste ad una recrudescenza di atti violenti che stanno rendendo ancor più brutta questa noiosa e squalificata campagna elettorale.
Poi ci sono le fiaccolate: per manifestare contro la violenza sulle donne, per ricordare qualcuno che non c’è più, per celebrare la vittima di qualche incidente. Qualche centinaio di persone della cosiddetta “società civile”, altrettante fiaccole, e il gioco è fatto: ricordiamo, celebriamo, onoriamo, tutti insieme appassionatamente.
D’accordo, quindi: una bella fiaccolata fa ricordare chi è morto, per omicidio o per incidente. La domanda che però mi pongo è questa: perché i gelesi non riescono a organizzare una grande fiaccolata, o meglio una grande manifestazione, per affermare con forza che Gela è morta? Perché Gela, a mio avviso, non è più moribonda, è proprio “andata”.
Disoccupazione da brividi, negozi che chiudono, artigianato al collasso, agricoltori senza neanche acqua per irrigare, licenziamenti in quel che resta dell’indotto, accordo di programma senza finanziamenti, attività industriale che boccheggia, Comune senza soldi in bilancio, situazione della raccolta rifiuti imbarazzante, ospedale senza reparti e personale, porto inutilizzabile, viabilità disastrata, beni archeologici non fruibili. Forse ho dimenticato qualcosa, ma per uno o due di queste criticità i cittadini di Casalpusterlengo o Pontedera sarebbero già scesi in piazza con la più forte onda d’urto possibile.
Invece a Gela la vita continua a scorrere nell’inedia, nell’accidia. Il gelese non si smuove dalla sua secolare pigrizia, al massimo si lamenta con qualche chiacchiera da bar, ma non prende alcuna iniziativa. Naturalmente mi riferisco alle iniziative di tipo generale, perché per i singoli problemi c’è sempre qualche gruppo che si muove: ad esempio, il Comitato per il porto, l’Associazione per i diritti dei disabili, gli agricoltori della piana di Gela, eccetera. Ma sono interventi settoriali, seppur positivi.
Credo che invece serva, oggi come non mai, una vera e propria “vertenza Gela”, che faccia il punto della situazione e lotti per trovare soluzioni a breve e medio termine, proponendosi di ricostruire un tessuto sociale ed economico che negli ultimi anni si è andato sfaldando e continua la sua marcia verso i livelli più bassi.
Una “vertenza Gela” che dovrebbe vedere insieme le forze politiche di ogni schieramento, i sindacati, le associazioni di categoria, i dipendenti pubblici e privati, la Chiesa, tutti con l’intelligenza di mettere da parte, in questa occasione, rancori e diatribe varie per puntare insieme a raggiungere risultati per il bene comune.
Forse è solo un sogno. Ma comunque ci spero. Prima che sia veramente troppo tardi.