Il sindaco Terenziano Di Stefano è volato a Roma per discutere di assunzioni in pianta organica di un comune comunque in regime di dissesto, con particolare riguardo alla figura di un dirigente tecnico, nonché del progetto Sinapsi, un network tecnologico che vede integrati altri soggetti, oltre il comune di Gela, come l’Università Kore, Eni e Sicindustria.
Siamo certi che, a prescindere dalle risposte che riceverà, il primo cittadino tornerà della capitale con una consapevolezza in più: nessuna ipotesi, dialogo, aiuto, è seriamente pianificabile e concretamente realizzabile, senza un’ipotesi di bilancio riequilibrato.
Di Stefano ne è conscio e come ci aveva anticipato un paio di settimane fa, ha già in mente un confronto con dirigenti e funzionari nell’ambito della burocrazia comunale a cui, fra l’altro, rendiconterà anche su quanto appreso in questi giorni in sede ministeriale. Da questa missione romana, il sindaco tornerà alla carica, in maniera ancora più decisa, sulla scadenza di fine settembre. Un termine non casuale ma perentorio, entro cui il sindaco Di Stefano vuole avere sul suo tavolo la bozza di ipotesi di bilancio riequilibrato, così come predisposta dagli uffici.
Ma se questa è una priorità di “alta amministrazione”, il “governo locale” è qualcosa di più, perché deve fare i conti anche con gli interessi e le dinamiche “politiche”. Per quanto ancora relativamente giovane anagraficamente, Di Stefano vanta un cammino di lungo corso in politica e sa benissimo quanto la dialettica politica sappia essere ingorda, vorace, mai sazia. Un vortice famelico.
Diventa importante, aggiungeremmo essenziale per il mandato del primo cittadino, iniziare ad affrontare questo tema con il piede giusto. In effetti, Di Stefano ha provato a giocare d’anticipo, prospettando anzitempo un paio di movimenti in giunta dopo la festività della santa patrona, l’8 settembre. L’ha fatta sembrare come se fosse una cosa scontata per l’opinione pubblica, ma invero non lo era. E dal fronte delle opposizioni hanno chiesto se lo fosse, così scontata, quantomeno per gli alleati.
L’hanno già chiamata “Fase 2”. Dovrebbe trattarsi, prendendo per buone le intenzioni espresse dal sindaco, di una piccola anteprima di quanto fisiologicamente avviene al primo semestre di mandato, quando plausibilmente ci sarà il classico primo rimpasto. Ci sarebbero due assessori che avrebbero chiesto di lasciare, per motivi personali e professionali. Il primo nome che è trapelato, immediatamente, è stato quello del commissario cittadino dem, Peppe Arancio.
Al suo posto dovrebbe subentrare il redivivo Peppe Fava, tornato nell’agone politico dopo una pausa di riflessione. In maniera scontata, la circostanza che ne consegue è quella di uno scorrimento di lista per lo scranno in consiglio comunale, con Nadia Passaro prima dei non eletti. Non è altrettanto scontato, però, che Fava si dimetta da consigliere comunale.
Anzi, apparirebbe più vicino all’essere scontato, semmai, il contrario. E’ verosimile, cioè, che Fava pur accettando la nomina di assessore, non si dimetta da consigliere nel momento in cui la legge glielo consente, fin tanto che non si vedrà garantito da una guida cittadina del suo partito, il Pd, eletta dopo una fase congressuale. Insomma, anche se in superficie non appare nulla, se non piccole bollicine, l’acqua che bolle in pentola, in casa dem, è torbida.
Non è un mistero che il Pd abbia fatto un passo indietro in occasione dell’elezione della Presidenza del Consiglio. Una posizione che è andata ad appannaggio dell’avv. Paola Giudice, eletta nella lista del Movimento cinque stelle. Tale posizione era ambita dal primario Gaetano Orlando, pluriconsigliere comunale e campione di consensi nella lista piddina, in quanto primo degli eletti. Orlando ha dovuto fare buon viso a cattivo gioco ed ingoiare il rospo, responsabilmente, “per l’unità della coalizione”, come lo stesso ha candidamente ammesso.
E non è un mistero che con sei consiglieri comunali, ma senza vicesindaco e senza presidenza del consiglio comunale, un solo assessorato al Pd sta un po’ stretto. Ecco allora che l’ipotesi di un secondo assessorato che cambia, con l’ingresso di Totò Scerra in giunta, secondo quanto insistentemente si vocifera, apra un buco agli appetiti famelici sopra menzionati. E l’esperienza ci insegna che in politica, un buco può allargarsi e diventare una voragine in un attimo, se la distrazione dovesse prevalere sull’attenzione. A maggior ragione se a prevalere fosse la supponenza e la sottovalutazione di quanto, per l’appunto, sta bollendo in pentola.
Secondo indiscrezioni Scerra subentrerebbe all’assessore Favitta, designato in giunta in quota Pci che rimarrebbe, dunque, senza più rappresentanti nell’esecutivo. Un’ipotesi che non piace ai vertici locali del Pci che hanno rivendicato il posto in giunta, anche senza copertura politica nel civico consesso, come d’altronde altri assessori designati in prima battuta e come del resto lo stesso Salvatore Scerra, che subentrerebbe in questa fase successiva.
Il rischio che la polemica si infiammi, magari con qualcuno che soffia sul fuoco lontano dai riflettori, è sempre dietro l’angolo. Ed inutile nasconderlo, al Partito democratico non dispiacerebbe affatto. Qualora la situazione precipitasse di colpo e si anticipasse ciò che dovrebbe avvenire a fine anno, il Pd vanterebbe subito il secondo assessorato, con Peppe Di Cristina in pole position, pronto secondo i più maliziosi a prendersi la rivincita e ritentare la corsa a Palazzo dei Normanni da assessore comunale.
La tentazione a regolare subito la situazione, pur mantenendo gli accordi elettorali, potrebbe indurre Di Stefano ad avallare un rimpasto vero e proprio o, di fatto, un mini rimpasto, con la metà o quasi della giunta rinnovata. Ma ciò potrebbe apparire agli alleati come un segno di debolezza. Di Stefano non è né piddino, né pentastellato, ma i due partiti insieme fanno 10 consiglieri comunali e la vista di un sindaco non loro, ma che non disdegna le scorciatoie innanzi a percorsi tribolati e complessi, potrebbe alimentare pretese e velleità in questi due partiti che sanno di poter competere nei collegi elettorali per le politiche e soprattutto per le regionali.
Vedremo cosa accadrà dopo la Madonna dell’Alemanna. Qualora dovessero consumarsi più dei due cambi preannunciati dal primo cittadino, potrebbe dare l’idea di un arretramento dello stesso. Un primo cittadino che sconfessa se stesso, commetterebbe un passo indietro che potrebbe tradursi nell’immediato e nel breve periodo come indolore, ma che col passare dei mesi si rivelerebbe un segno di incertezza di cui potrebbe pentirsi amaramente.
Dopo la riforma che ha voluto i sindaci eletti dai cittadini, la storia insegna che un sindaco fermo nei sui propositi e che dà seguito a quanto appena dichiarato, rispettando quanto si è riproposto in merito a tempi e modalità, può forse avere la possibilità di un percorso netto o quasi, lungo tutto il mandato. Un sindaco, invece, titubante ed accomodante, già dopo pochi mesi dalla sua elezione, rischia seriamente di essere stritolato nella morsa dei due alleati politici. E per la città, non sarebbe un gran bel vedere.