Sebbene in maniera “indiretta”, una bambina gelese con disabilità è stata “discriminata dal Comune di Gela” per averle riconosciuto solo quattro delle quindici ore di assistenza all’autonomia ed alla comunicazione (servizio Asacom) previsto nel pei.
Ad affermarlo è il Tribunale civile di Gela che ha accolto in toto il ricorso dell’avvocato Livio Aliotta (che è anche presidente della “Consulta”) che aveva chiamato in giudizio l’ente locale gelese nell’estate scorsa.
Per la dirigente dei servizi sociali, dott.ssa Maria Morinello e la sua copertura politica in giunta rappresentata dall’allora assessore al ramo, Nadia Gnoffo, il comune doveva far fronte al servizio sulla base delle risorse disponibili. Una tesi contraddetta dal Giudice civile che ordina all’ente comunale di provvedere al ripristino dell’intero ammontare delle ore fissate nel fabbisogno assistenziale della minore diversamente abile.
«Sconfessata – commenta in un video il rappresentante legale di “Associazione H”, avv. Paolo Capici (nella foto) – la linea portata avanti dalla dirigente e dell'ex assessore Gnoffo, in contrasto con il principio su cui più volte si è espressa la Corte costituzionale, secondo cui l'ente comunale non può mai eccepire sulla disabilità carenza di fondi.
Evidentemente in municipio preferiscono spendere quei fondi per avvocati, dirigenti e consulenti. La sentenza mette spalle al muro il comune. Ricordo – prosegue – che c'è un ricorso in appello su un'altra causa legata al trasporto e le barriere architettoniche e che vede il comune preferire di rischiare il pagamento delle spese di primo e secondo grado di giudizio, anziché riconoscere la gratuità del servizio.
Come dire che al peggio non c'è mai fine. A quelli del “palazzo di città” che devono dare una mano concretamente a famiglie con disabilità su servizi che spettano a loro per legge, dico che prendano atto che alla fine la giustizia trionfa. Il comune – conclude - ne guadagna in immagine ed in risposte a reali bisogni di cittadini».
Va precisato che nel 2023 la linea giurisprudenziale degli “ermellini” del “palazzaccio” ha subito un giro di vite rigoroso. La Cassazione, cioè, ha iniziato a condannare i Comuni per discriminazione indiretta nei confronti dei disabili, a partire dal mancato abbattimento delle barriere architettoniche.