“Nell’attuale condizione di crisi, mi sovviene il pensiero di farci interpreti del grido di dolore proveniente da famiglie e ampi settori della società civile, dilaniati dall'improvvisa tempesta che ci vede tutti in prima persona esposti alle intemperie di una crisi senza precedenti, destinata a travolgere l'intera Nazione”.
E’ l’incipit di una lettera aperta del sindaco di Gela, Lucio Greco (nella foto) indirizzata alla non ancora premier Giorgia Meloni (*) e al non ancora presidente della Regione Renato Schifani (*), ed altri.
La lettera sorprende per il linguaggio risorgimentale (il grido di dolore), e per il carattere testamentario di sapore valoriale. Lucio Greco invoca aiuto nell’imminenza di una catastrofe che può “travolgere l’intera nazione”.
La sua solennità non pare affatto impropria. Più che un messaggio digitale, nell’animo dell’autore è un testo vergato su carta pergamena; più che all’etere sembra affidato a una bottiglia, gettata nel mare tempestoso.
La probabilità che essa sia letta, riflettuta, analizzata, o tanto meno presa in considerazione, è minore del messaggio affidato alla bottiglia gettata in mare, eppure Greco tradisce l’emozione di chi riserva al mezzo enormi aspettative: un “apriti sesamo”, altro che messaggio disperato del naufrago. E’ questo che intriga, lo gnommero che la ispira, dettato dal pessimismo e sfrondato dall’esperienza.
L’aspettativa è alta, ampia, illimitata: l’autore sembra presidiare il deserto dei tartari, dove non succede niente, ma si vive come stesse arrivando il nemico e spazzare via la fortezza. Una sudditanza surreale al nulla che il deserto da vigilare evoca.
Jung sarebbe stato interessato a conoscere Lucio Greco, filtrare il suo animo esasperato ma gentile, conoscere lo gnommero sublimato da una smisurata fede per le grandi cose, le sensibilità sollecitate, il problematico rapporto con la sua attività politica, la drammatica contraddizione in cui si vive il giorno dopo decisioni consumate durante le turbolenze di una campagna elettorale che lo ha visto in prima linea, dalla parte dei destinatari naturali del messaggio (Meloni, Schifani), vincitori della campagna elettorale.
Perché mai si coinvolge il popolo, che ha fatto il suo dovere recandosi alle urne, nelle azioni di competenza dei governanti, che si è voluto fortemente, e che si sono assunti la responsabilità di stare al timone di una nave in avaria?
La condizione di Lucio Greco è quella di un co-belligerante che tradisce il fronte per il quale ha combattuto, ritenendolo così poco affidabile da dovere mobilitare il popolo, e spronarlo con un appello accorato a fare del suo meglio per il bene della Nazione. Il grido di dolore diventa perciò garbuglio, la chiave dell’analisi, per la quale Jung avrebbe profuso competenza e volontà.
So bene che descrivere il rapporto problematico – con se stessi, i genitori, la famiglia, la casa municipale – è faticoso, e lo è ancora di più scrivere un messaggio, seduti sul lettino dell’analista. Gli stress-test non consentono alternativa.
Quanti hanno letto La coscienza di Zeno, di Svevo, sanno quale rilevanza abbia per il protagonista, Zeno, il fumo della sigaretta, e come la volontà di smettere di fumare si scontri, senza soluzione di continuità, con il piacere di lasciare le cose come stanno. L’ultima sigaretta non è mai l’ultima, ma la penultima.
Ebbene, considerate la lettera aperta del sindaco come la penultima lettera indirizzata al popolo, perché i primi ne prendano atto, mettendo la propria firma in calce, nero su bianco, e i secondi facciano il loro dovere, che non è una cosa scontata. Il deserto di Buzzati e l’ultima sigaretta di Zeno sono simboli di una generosa confusione.
O di un senso di colpa, che sembra fare capolino, nel grido di dolore, e non solo. Se così fosse, il lettore sensibile percepirà il sentimento come l’urlo del pittore norvegese Edvard Munch, disperato e inascoltato, lanciato nel deserto, o l’invocazione d’aiuto affidata alla bottiglia.
La componente conflittuale che dà origine alla lettera aperta non va trascurata. Lucio Greco non entrerà nei libri di storia, come tanti fra noi, ma la sua disperata richiesta d’aiuto sì, perché giunge all’indomani di una scelta di campo, lungimirante e coraggiosa.
Chi pensa che avrebbe potuto telefonare a Michela Brambilla, Stefania Craxi, Renato Schifani, Michele Mancuso, e Marta Fascina (quasi moglie di Silvio Berlusconi), nella errata convinzione di essere meglio ascoltato, ha la vista corta: presume di risolvere con il pragmatismo le intemperie della nazione, che sono anche le intemperie di Gela. Ad astra per aspera.
Non intendo mettere il dito sulla piaga, ma gli evocatori del pragmatismo nelle emergenze, guardandoli in faccia, ricordano quei ritratti dei pittori rinascimentali, che dipingevano i bambini con il volto degli adulti, o – se vi suona meglio – di adulti che sembrano bambini.
Il modo in cui ci viene insegnato a desiderare il mondo è uno snodo decisivo del nostro destino. Il conflitto che si vive quando ci si siede su strapuntini, come fossero poltrone dai manici d’oro, provocano imprevedibili conseguenze, per esempio contaminano gli spiriti determinati, allevando una immaginazione stralunata, tanto da chiudersi in una prigione dentro una prigione, da cui non si riesce ad uscire mai.
Avete conosciuto un uomo delle istituzioni – parlamentare, governante, sindaco – che riesca ad uscire dalla stanza dei bottoni, belli a vedersi ma inefficaci?
Nessuno vieterebbe al prigioniero di uscire, anzi è spesso oggetto incoraggiato a fare la valigia: a trattenerlo incollato alla poltrona è l’idea dell’apriti sesamo suscitata da piccoli episodi: basta compiacersi della folla di questuanti davanti al portone di casa per tenerlo in gabbia.
“Giorno dopo giorno assisto, impotente, alle continue richieste di aiuto provenienti dai piccoli settori della economia locale, fatta di piccoli negozi di vicinato, supermercati e famiglie disperate per non aver modo di pagare le esose bollette riferite ai consumi dei mesi estivi”. Lo sfogo appare sincero. Con quale coraggio, fa intendere il sindaco, posso abbandonare la nave che affonda, dal momento che mi sono speso a favore di chi sulla nave non si è mai imbarcato?
Arrivano in superficie, in circostanze speciali, sensibilità inaudite; i bisogni altrui si fanno soggettivi, il bambino che è in noi, prende il sopravvento, e si lascia andare; i freni inibitori, ridotti a sala d’aspetto dei sentimenti plurali, non funzionano, e prevale il bene comune. Magari distribuito a rate.
Che cosa ha la lettera aperta, entrata attraverso un collo di bottiglia infido strettissimo, se non l’aperta dimostrazione che si può credere nell’apriti sesamo e dovere tenere a bada la depressione? A fare la differenza non è l’ansiolitico o l’antidepressivo, assunto a piene mani, ma la fede nella mission, in espiazione di lunghe pause di indifferenza, incantamento, distrazione.
La chiusa del messaggio ne è una conferma. Non si può barattare il potere con il servizio pubblico, né si può rimanere ad aspettare il nemico che viene dal deserto, barando con se stessi, come fa Zeno con l’ultima sigaretta, e restare sulla tolda di comando, soli e senza alcun sospetto per pura hybris, superbia.
Riuscire a sentirsi “tutti gli altri”, impone un severo training e un battito cardiaco accelerato; alla fine in fondo al tunnel compare, sublime, la luce. Avvistandola ci sentiamo tutti gli altri, siamo l’umanità intera, e troviamo il coraggio di appellarci al popolo, come parlando a noi stessi, e confessassimo la nostra pochezza.
E’ nell’ora buia che tutto diventa più chiaro. Lo dimostrano, in modo esemplare, le parole che chiudono il messaggio, di tale efficacia da farci vedere il miracolo: l’abbraccio del popolo, finalmente consapevole di sé, la rincorsa verso i gabbiotti installati per la firma:
“Chiedo, pertanto, l'impegno ad organizzare una raccolta di firme su un testo di petizione popolare che impegni il Governo nazionale a dare le migliori soluzioni possibili, in via di assoluta urgenza, rispetto a una situazione di devastante crisi senza precedenti, divenuta ormai davvero insostenibile e foriera di ripercussioni negative sulla stessa tenuta dell'ordine e della pace sociale”.
Non giudicatelo severamente, non pensate male. La sindrome da accerchiamento colpisce anche gli spiriti forti. Lucio Greco merita indulgenza, è “sbarattato”, più solo che mai. Vigila dalla Fortezza Bastiani, la sabbia del deserto, alzata dal vento, che lo acceca e gli fa vedere fantasmi.
La lettera al popolo non è populismo, né una scappatoia, una fuga dalle responsabilità. O ancora meno un furbo espediente per passare la palla agli elettori, che il loro dovere l’hanno già fatto recandosi alle urne. Vedrete che la nottata passerà, abbiate pazienza.
Ad maiora. (**)
(*) Giorgia Meloni è la presidente di Fdi, per il momento; Schifani, il presidente della Regione in pectore.
(**) Formula d'augurio con cui ci si rivolge a chi ha conseguito un'affermazione, per auspicargli ulteriori successi o risultati.