Editoriale/ Da Mosca a Gela,viaggio elettorale alla periferia dell’impero

Editoriale/ Da Mosca a Gela,viaggio elettorale alla periferia dell’impero

 Al mio collega, diversamente vecchio, che espettora su Fb una insopprimibile requisitoria a carico dei personaggi politici italiani più in vista, declinandolo con insuperabile pedanteria, i loro peccati capitali, turpi condotte, vizi congeniti e nefandezze recenti, al fine di motivare la irreversibile decisione di non andare a votare, essendo il suo cuore spezzato dalle superiori malefatte, ho risposto con un garbato ringraziamento per la fiducia che mi concede.

Essendo io elettore votante, infatti, il mio collega inacidito dalla sudditanza a personaggi del tutto immeritevoli, mi delega a rappresentarlo nel segreto dell’urna. Al mio ringraziamento non ha concesso riscontro. 

Ciò mi rammarica, la mia intenzione era, ed è ancora, di fargli sapere che la mia preferenza al partito ed al candidato si sarebbe caricata dell’onere di rappresentarlo sulla scheda elettorale . Insomma, grazie per la fiducia, ho scritto, di fatto. Non dimenticherò…Ironia, certo, ma anche pura e sacrosanta verità: a parte la questione nota, votare è un dovere, non solo diritto irrinunciabile, c’è una conseguenza nel rifiuto etico, ed è la delega che il “rifiutante” offre al votante.

E di essa non ci si ricorda. La memoria non c’entra, è una rimozione, grazie alla quale si riesce a restare a casa senza rimorsi di coscienza, ripassando tutte le nefandezze della indigeribile politica politicante. Più sono gli astenuti, maggiore è il potere dei votanti, che decidono in nome e conto dell’intero popolo italiano.

Questa digressione ampollosa non è un certificato di buona condotta concesso a coloro che hanno governato, o sgovernato (a seconda dell’opinione che ci siamo fatti).

Il mio collega inacidito e corrivo, infatti, le sue ragioni li ha, eccome, ma hanno il difetto di fare di tutta l’erba un fascio, e irretire (in futuro), i candidati a posto con la coscienza, suggerendo loro un passo indietro. Il motivo è semplice: perché mai una persona per bene dovrebbe assoggettarsi ad un automatismo mentale che fa di lui un uomo dalla coscienza sporca per il solo motivo che siede su uno scranno parlamentare.

Insomma, fare di tutto l’erba un fascio è come…servirsi del lanciafiamme per diserbare il giardino di casa, uccidendo tutto ciò che ci vive.

E’ una visione violenta del creato, che evoca un pessimo futuro, quella che ci fa vedere nelle assemblee democratiche uomini e donne, dotati di un pensiero così flessibile da ospitare ogni compromesso con la coscienza. Non importa niente quel che dice la gente – così li immaginiamo – siamo preparati a soffrire, sopportare gli insulti e i sospetti.

Una visione così, non mi fa dormire la notte. Spero che comprendiate. L’altro elemento su cui vorrei porre l’accento, riguarda la campagna elettorale in corso, il suo understantement. Quando mai s’è visto che deputati e senatori di origine e militanza più disparata tornino al lavoro per votare, tutti insieme, appassionatamente, decreti legge e deliberazioni del governo dimissionario, che hanno licenziato senza preavviso prima della scadenza del contratto.

E’ una circostanza che non ha precedenti e lancia al popolo sofferente un messaggio di unità e buona volontà che contraddice radicalmente le scelte fatte dai medesimi personaggi promotori del licenziamento di Mario Draghi, su cui si può discettare quanto si vuole, ma della sua autorevolezza e sapienza il Paese s’è servito (e avrebbe potuto servirsi ancora, con profitto).

Ora, mi chiedo, come farà il povero cristo che si reca alle urne a votare “contro” il nemico, piuttosto che per la parte amica, se quella stirpe ambigua fa di tutto per confonderci le idee.

Si è troppo abituati allo scontro all’arma bianca per affrontare una analisi sofisticata dei torti e delle ragioni, dei coscienziosi e dei malandrini; non si hanno gli strumenti per distinguere, ammesso che se ne abbia la voglia.

E’ come se ci dicesse di non credere alle promesse elettorali, o di crederci dopo un’attenta valutazione delle stramberie di cui sono arredate. Impossibile. Eppure sono illustrate con una faccia di bronzo degna di bravura, che perfino Eduardo De Filippo, buon’anima, ne avrebbe scritturati a piene mani per offrire gratuitamente spettacoli itineranti e performanti in provincia.

Una disdetta. Gli insultatori in servizio permanente hanno modificato il loro vocabolario, manco avessero consultato i soloni della Crusca. Per carità, non mancano le eccezioni, ma il turpiloquio è stato bandito, e l’afflato sapienziale è stato declinato con impegno. Tutto questo ha evidentemente uno scopo poco nobile: confonderci le idee. Il mio collega inacidito la vedrebbe così.

Certo, qualche mina vagante è stata accesa, per merito (o demerito) degli spioni americani, i quali hanno avuto il mandato di far sapere che lo Zar di tutte le Russie, (Ucraina compresa) è un elemosiniere attivo da far invidia al cardinale Konrad Krajewski, reso celebre per avere dato la luce agli abusivi delle periferie dormitorio di Roma. Vladimir la luce ce la toglie, invece, ma non lesina quattrini agli amici europei che spezzano una lancia in suo favore o si candidano a servire il Paese, mandando a casa il nemico a stretto giro di posta.

E’ un vecchia politica dello Zar, iniziata con buoni risultati, in campagna elettorale, nel Mediterraneo e oltre l’Atlantico, al punto da regalare a Trump e ai soliti noti di casa nostra sorprendenti performance elettorali.

Finora i denari sono stati spesi in beni di consumo e troll virali, agenti sparsi fra gli amici di Fb (avete notato che da alcune settimane il numero delle richieste di amicizia è cresciuto esponenzialmente?)

Sono perplesso, tuttavia, per la tempistica: l’invasiva attività dello Zar negli States non destò preoccupazione né mise in moto la potente macchina spionistica statunitense, mentre ora vengono fuori le magagne degli “stipendiati” dello Zar.

Meglio tardi che mai, certo, ma trovo davvero singolare che la nostra intelligence taccia e che il Copasir, l’organismo che la controlla, sia limitata ad informarci di non escludere che anche a casa nostra siano arrivati i soldi di Putin, la qualcosa significa tutto e niente, specie alla vigilia del voto. Gli elettori hanno il diritto di sapere prima di mettere la scheda nell’urna, non dopo, quando il pranzo è servito.

La campagna elettorale in corso dispone di una vetrina ricca di novità. E’ la prima volta, da quando il popolo ha il diritto di scegliere i propri governanti, che si guarda al giorno del voto senza la curiosità del risultato. Sappiamo già tutto. Il sondaggismo ha sconfitto l’urna. Non c’è bisogno di attendere il risultato, Sergio Mattarella, volendolo, potrebbe portarsi avanti con il lavoro, aprendo le consultazioni.

E’ tutto chiaro: chi vince, chi perde, chi non vince e non perde, e chi se ne sta a guardare o partecipa alla partita per il piacere di esserci e nient’altro.

Il popolo dovrebbe invocare il diritto di sorprendersi, ad esercitare il last minute per mostrare la sua volubilità elettorale e la vocazione alle bugiarderie, per usare il linguaggio di Totò U’ Curtu.

Insomma, è stata eliminata una categoria dello spirito: l’elettore bugiardo, che risiede negli exit pool preferibilmente. Interpellato dal sondaggista, ha dato ai sondaggisti risposte menzognere, com’è suo diritto, per il piacere di turlupinare il prossimo o perché non si sente a posto con la coscienza, o ancora perché la privacy è sacrosanta e va difesa anche con le bugie quando serve.

Un’altra questione ci riguarda da vicino, il diritto al localismo, negato dai partiti a regime monarchico (assoluto). Il voto al paesano è un diritto sacrosanto. Esso è stato rimosso in passato con aberranti giustificazioni, come la competenza del “forestiero”.

Dopo che la pillola amara è stata accettata, ora si ammannisce alle periferie la dittatura del re di denari, che ha bisogno di caselle sicure per mandare in parlamento i cortigiani. Sapranno gli elettori, gelesi nella fattispecie, scegliere uno spietato localismo, incurante della biasimevole accusa di essere, appunto… localisti?

Gela può contare su un ventaglio di candidati locali – ben nove alle regionali, tre alle politiche nazionali – la qualcosa dovrebbe riempire d’orgoglio i gelesi, che vedono in questo stormo vivace di paesani, il riconoscimento di una classe politica appetibile, contentezza in sogno, ha il difetto di determinare una frammentazione del voto, che finisce con il favorire le rappresentanze locali. Laddove il candidato non ha competitori locali, parte con una marcia in più.

Le maglie larghe funzionano meglio in guerra, perché evitano perdite massicce, ma sono devastanti in tempo di pace. E’ lo stesso fenomeno che funziona in questa giornata elettorale: i partiti coalizzati sono una force de frappe, che annienta gli schieramenti che vanno da soli alla pugna.

Sarà interessante, indubbiamente, registrare la benevolenza gelese (o la malevolenza) verso candidature esterne (milanesi, per esempio). L’elettorato ha dato prova in passato di grande generosità, non indulgere in localismi e premiare il “forestiero”. Meriterebbero un encomio, come donatori di sangue. Soddisfazioni magre, tuttavia.

Certo, poi, ricevuto il sangue, scompaiono tutti, magari per ricomparire alla prossima tornata. Non crucciamoci, chi l’ha detto che guardarli in faccia, in corso d’opera, sia una buona cosa?