La Regione siciliana è riuscita a sbagliare tutto ciò che era possibile sbagliare, e la Sicilia a rinunciare al ben di Dio che la natura le ha generosamente donato.
Follia degenerativa, intemperanza, irrazionalità, insofferenza, abulia, masochismo, strampalate rivendicazioni, privilegi ignobili. Ogni stagione della decadenza, la legislatura ha il suo fattore X, il suo carattere prevalente, che rappresenta le tappe di un declino inarrestabile – culturale, politico, economico, sociale – della Regione siciliana. Una vecchiaia precoce in un corpo ancora giovane, ma pieno di acciacchi, disabilità, giornate vuote. E’ questo che il Parlamento, il governo e la burocrazia regionali sono riusciti a guadagnare dopo più di settanta anni di vita.
I personaggi di prima fila, che hanno rappresentato le istituzioni siciliane, meriterebbero un album della Panini: sarebbe un successo di mercato, nessuno rinuncerebbe al piacere di avere a casa la raccolta delle facce con cui prendersela ogni volta che subiscono una giornata storta. Ma chi lasciare fuori?
L’incompetenza, lo zelo mal riposto, l’intrigo, l’arte di inventare menzogne, di sfuggire alle responsabilità, di far figurare quel che si fa (senza merito), di lasciar correre, di mostrarsi sempre soddisfatti di sé, di farsi guardiani di ideologie da rinnegare con disinvoltura, la capacità di rendersi ridicoli, di ripetere sciocchezze con pervicace stoltezza sono i caratteri prevalenti guadagnati sul campo. Quanti si salverebbero dal naufragio nell’album della Panini per onestà e zelo , verrebbero sommersi.
E i guardiani dell’interesse pubblico? Ci sono giornali – cartacei e digitali – che hanno fondato il successo sulla critica radicale, l’opposizione dura e pura, l’esser bastian contrari fino al midollo, ma le loro armi sono spuntate, sparano sulle ex star dell’antimafia cadute in disgrazia dopo essere state issate sull’altare a furor di popolo.
Vorrei spiegare le origini del mio malanimo. Riguardano la incredibile vicenda del trasferimento territoriale, da Caltanissetta a Catania, voluto dagli elettori gelesi in un referendum. Forse sbaglio nell’attribuire ad un singolo episodio, seppur rilevante la prova principe del malgoverno. E’ audace fare della mia città una vittima della Grande Truffa ordita ai suoi danni dalla Regione siciliana). Non sono affatto convinto che Gela abbia le carte in regola, che sia stata rappresentata nelle istituzioni per volontà dei suoi cittadini da esemplari uomini di governo.
Ricordo quel che è avvenuto, per quanti hanno perso la memoria. Gela ha cercato di violare il fortilizio costruito dal Parlamento regionale per lasciare le cose come stanno. E quando il tentativo, disperato, ha avuto successo i legislatori siciliani hanno ignorato la volontà dei gelesi espressa nel referendum. Come si potrebbe assolvere un legislatore che elabora e approva una legge, pretendendone il rispetto, e poi ne neghi l’esistenza, ignorandola?
Non sono mai stato un tifoso di Gela provincia. La crescita della burocrazia non è stata mai volano di progresso, ma lo sgarro compiuto ai danni di una intera comunità è la metafora del peggio che un legislatore possa impunemente compiere.
Nella brutta storia dei consorzi dei comuni, non è possibile tacerlo, è coinvolto un cittadino di Gela, molto amato in passato dalla sua città, Rosario Crocetta. Se la città è stata insolentita, le responsabilità politiche sono innegabili. I Consorzi di comuni avrebbero dato a Gela ed altre realtà emergenti (Milazzo, Sciacca, Canicattì, Acireale, Modica), la possibilità di uscire da una sorta di sudditanza burocratica e assumere un ruolo di locomotiva dello sviluppo.
E’ stato tradito anche lo Statuto speciale della Regione siciliana. Lo Statuto prevede la nascita dei Consorzi dei comuni, una dimensione amministrativa innovativa spogliata delle prefetture nella prospettiva di uno Stato federale. Era lecito attendersi che l’attuazione dei Consorzi avrebbe avuto proprio in Sicilia i suoi attuatori più entusiasti. Invece è stata proprio la Sicilia a mettersi di traverso.
La svolta era stata promossa a Roma, Palermo l’ha subita. Le “ex province” sono da circa sette-otto anni sprovviste di risorse e gestite da “giudici” monocratici, i commissari, che rispondono del loro operato al governatore pro tempore, pena la detronizzazione.
E dire che, aperta la strada delle riforme (a Roma) per sfoltire le burocrazie politiche che campano sulla greppia delle amministrazioni provinciali, il Presidente regionale, Crocetta si era presentato alla ribalta nazionale come la guida di una regione che prima di ogni altra riforma la burocrazia e il sistema politico impantanato nella palude delle clientele.
«Saremo i primi», comunicava gioioso il governatore, con un memorabile annuncio sul “set” dell’Arena, Rai 1, ricevendo subito il suggello di Maurizio Crozza, notaio satirico delle performances di ogni uomo politico in gran spolvero. Consumato l’annuncio in Rai, Crocetta ha affrontato l’Assemblea con una maggioranza riluttante e senza riferimenti politici. Così dopo un faticoso quanto controverso iter parlamentare, viene partorita una legge che rinnega quello che si propone. Un capolavoro: hanno apparecchiato una tavola dove non è possibile mangiare.
Qualcosa, tuttavia, è sfuggito agli autori del marchingegno infernale, hanno lasciato uno spiraglio. A trovarlo è stato un gruppo di “visionari” gelesi, che non hanno niente a che fare con gli apparati di partito. E’ stato come violare Alcatraz.
Una domanda è lecito porsela a questo punto: che fa nascere un’alleanza fieramente contraria all’istituzione del decentramento amministrativo? Lo spirito conservatore? Non basta. Faccio l’ipotesi a mio avviso più attendibile: ridisegnare gli ambiti provinciali significa “spaesare” i deputati regionali, procurare loro la perdita di elettori: amici, conoscenti, clienti. Significa anche spaesare le burocrazie statali e regionali, gli enti, associazioni, organizzazioni sociali strutturate nei caveau provinciali. Nicchie intoccabili di potere.
Per i visionari gelesi è stato come scalare l’Everest senza bombole di ossigeno. Il piano di attacco ad Alcatraz ha previsto due step: l’uscita dal Consorzio di Caltanissetta e l’adesione al Consorzio metropolitano di Catania prima, un nuovo Consorzio di comuni successivamente. E bisognava far votare i consigli comunali e gli elettori di ciascuna città “scissionista”. A Gela, dove si è svolto il primo referendum previsto dalla legge regionale (poi anche a Niscemi e Piazza Armerina per la stessa causa), ventiquattromila elettori sono andati a votare. Il 99% dei quali si sono pronunciati per il SI al distacco da Caltanissetta e all’adesisone per Catania). Un trionfo, senza padrini politici.
Poi il nulla. Un pugno nello stomaco.
Per non subire le decisioni del popolo incolto, Platone consiglia la creazione di organismi pubblici che assomigliano all’inquisizione o ai lager, con un Re-filosofo alla testa, deus ex machina. Inaccettabile. Senza arrivare a tanto, una cura da cavallo sarebbe prova di buonsenso. Quando la frustrazione mette dietro la lavagna i freni inibitori, rebus sic stantibus, è inevitabile immaginarsi di tutto. Succede la stessa cosa quando, di cattivo umore a causa di presunte ingiustizie subite, ci si imbatte in un cartello del tipo: “E’ vietato calpestare le aiuole, i trasgressori verranno puniti a norma di legge”. Devi scegliere fra due alternative inopportune: sfidare i rigori della legge per questioni di principio obbedire al cartello autoritario. Per fortuna, tertium datur: salvare i fiori per amore della natura. Salviamo pure la democrazia per amore della libertà, ma poniamo il nostro futuro nelle mani di uomini affidabili.