Domenica 20 e lunedì 21 gli italiani sono chiamati alle urne per dire Sì o No al referendum costituzionale sul taglio dei parlamentari.
Il quesito referendario che gli elettori aventi diritto si ritroveranno nella scheda elettorale è il seguente: “Approvate il testo della legge costituzionale 532 del 2019 concernente le modifiche agli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione in materia di riduzione del numero dei parlamentari, approvato dal Parlamento e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana – Serie generale – n.240 del 12 ottobre 2019?”.
La legge costituzionale sopra richiamata, invero, dispone il taglio dei deputati da 630 a 400 ed il taglio dei senatori da 315 a 200. In totale si passerebbe da 945 a 600 parlamentari. Inoltre il numero dei senatori a vita in carica non potrà più essere superiore a 5. Tale legge è stata approvata e pubblicata in gazzetta ufficiale ma non promulgata, perché si attende il voto referendario che, essendo di tipo “confermativo”, non prevede un quorum minimo di votanti per essere valido.
Rispetto al voto in aula, dove tutti i partiti maggiori votarono a favore del taglio, l’unica formazione politica che per larghissima parte si è confermata fedele a quel voto favorevole alla riforma è quella del “Movimento 5 stelle”. In tutti gli altri ci sono stati ripensamenti e divisioni interne iniziate già all’indomani del voto parlamentare, inaugurando la raccolta delle firme per il referendum. Per spiegare le ragioni del Sì, abbiamo pertanto ritenuto opportuno contattare un paio di “portavoce” istituzionali del movimento grillino, espressi dal nostro territorio.
Il deputato regionale pentastellato, Nuccio Di Paola, (nella foto) esordisce chiarendo innanzitutto che non ci troviamo di fronte ad un referendum all’insegna dell’antipolitica: «non è una battaglia – afferma - esclusivamente contro i costi della politica. E’ vero – riconosce Di Paola – un’eventuale vittoria del Sì porterebbe una diminuzione dei costi della politica ma non è questo il motivo principale ed è facile per gli oppositori ridurre tutto a questo. In realtà, ci sono ben altre ragioni alla base».
Il primo motivo è quello di una ottimizzazione del numero di deputati e senatori «in modo tale da far finalmente funzionare meglio – sostiene il parlamentare regionale - i due rami del parlamento. Ricordo che a livello regionale, in Sicilia, i deputati sono stati ridimensionati da 90 a 70 senza che ciò sia stato accompagnato da una drastica problematica sulla rappresentatività, anzi con 70 deputati all’ars, sia in aula che nelle commissioni, per molti versi si è lavorato meglio».
Strettamente correlato al primo punto è quello successivo, e cioè che si lavora meglio anche perché si migliora qualitativamente la rappresentanza: «non quindi una diminuzione della rappresentatività dei territori ma – sottolinea Di Paola - un miglioramento in termini di qualità dell’eletto. Dopo di che, i raffronti che vengono fatti con gli altri paesi, non hanno alcun senso in termini assoluti. Il calcolo lo si deve fare in proporzione alle popolazioni residenti tra i vari paesi e con questo taglio l’Italia si pone in linea con gli altri paesi. Tenendo conto pure del numero degli eletti. In Gran Bretagna ad esempio i membri di una Camera vengono nominati dalla corona e non vengono eletti».
Una terza ragione è, infine, dalla valenza strettamente storica: «quando si pensò a 945 parlamentari – ricorda il deputato gelese eletto all’assemblea regionale siciliana - non funzionavano ancora i consigli regionali ed i presidenti di regione, così come gli stessi presidenti di provincia ed i sindaci, non venivano eletti dai cittadini, ma dai partiti. Le comunità locali insomma avevano una rappresentatività più debole rispetto ad oggi, dove le diversità dei territori sono ben rappresentate, per alcuni anche troppo, sia a livello regionale, che provinciale e comunale. Inoltre, grazie alla tecnologia, la capacità comunicativa ed interattiva dei parlamentari, con i loro collegi, è notevolmente migliorata. Oggi se vuoi parlare, trasmettere un messaggio, diffondere una notizia, il parlamentare può farlo facilmente con un telefonino sui social, per non parlare di strumenti come skype ed altre app per le videoconferenze. Oggi, il parlamentare è, se lo vuole, costantemente connesso con il suo territorio ed i suoi elettori, sgravando la mole di lavoro che pesavano un tempo sulle segreterie particolari».
Per cui, trattasi in definitiva di una riforma che nel ridurre di 345 unità i parlamentari, mantiene Camera e Senato, ne ottimizza i lavori, anche grazie ad una necessaria modificazione dei regolamenti parlamentari, migliorando infine la carica rappresentativa dell’eletto: «la quale di conseguenza - ad avviso di Di Paola – sarà corredata da meno corruzione e meno burocrazia. E’ pacifico – aggiunge - che per migliorare la rappresentatività, all’indomani del taglio del numero dei parlamentari, si dovrà mettere mano alla legge elettorale che diventa determinante in tal senso. L’obiettivo è quello di eliminare la stortura di un numero alto di rappresentanti, 945, molti dei quali eletti in circoscrizioni nelle quali l’elettore non conosce minimamente i candidati. Mi riferisco ai capilista ed alla pratica dei “paracadute”, che violenta la rappresentatività territoriale. Episodi come quelli, per fare un esempio a noi più vicino, che portarono l’allora presidente dei Comunisti Italiani, Oliviero Diliberto, capolista ovunque, optare alla fine per il seggio nella Sicilia occidentale, sacrificando il gelese Totò Morinello, per favorire l’elezione del segretario regionale del partito, lasciando per appunto libero il seggio nella Sicilia orientale non devono più ripetersi».
Se l’on. Di Paola prova a spiegare le ragioni del Sì, l’altra deputata gelese grillina eletta nel collegio nisseno all’Ars, l’on. Ketty Damante, (nella foto) prova a smontare le ragioni del No: «gli argomenti per il no – accusa - sono piuttosto catastrofici ma non veritieri. Argute osservazioni sulla diminuzione degli eletti indicherebbero una mancanza di rappresentatività, dimenticando che la maggioranza dei cittadini non ha alcuna idea di chi sia il senatore o il deputato votato nel proprio collegio».
Alla schiera dei disfattisti si aggiungono i numerologi: «che ipotizzano terremoti – prosegue - sul fatto che ci sarebbe un eletto ogni tot elettori, definendo un disastro l’essere in linea con gli altri paesi europei e che spesso sbagliano volutamente i conti». E non potevano mancare i complottisti: «che azzardano collegamenti – prosegue ancora - con la P2 di Licio Gelli. Ulteriormente, viene raccontato che sarebbe un carico di lavoro non sopportabile per via delle troppe commissioni a cui ogni eletto dovrebbe partecipare, perché il dogma di lavorare solo 3 giorni alla settimana non si tocca e non si discute sul perché mai il numero delle partecipazioni alle commissioni non sia equamente distribuito».
In ultima analisi, quando questi argomenti non fanno breccia, si toccano gli ultimi due punti: «il risparmio per le lobby – puntualizza – che dovrebbero così comprare meno politici, come se avessero problemi di soldi e dando per scontato che tutti siano corruttibili; la mancata riforma della legge elettorale, sulla quale in realtà c’è già un accordo della maggioranza per un sistema proporzionale con le preferenze. Si è vero, sarà più difficile farsi eleggere e il politicante sarà più identificabile non potendo più campare sul totale. Questo – conclude la Damante - non potrà che aumentare l’efficienza del sistema e un più stretto contatto con l’elettorato che, in fondo è quello che speriamo da decenni».