E’ dal 1890, più o meno, che in Italia si tenta di arginare l’insopportabile pesantezza della burocrazia. Ma senza grandi risultati.
Senza andare troppo indietro nel tempo, il pensiero va al ministro leghista Calderoli, che platealmente diede fuoco a una pila di Gazzette Ufficiali per dimostrare che aveva abrogato centinaia di leggi inutili e sorpassate. Ma anche a Franco Bassanini, ministro della Funzione Pubblica di vent’anni fa, che ha dato il via alle autocertificazioni e in qualche modo ha tentato di semplificare numerose procedure burocratiche. Ma per finire il lavoro avrebbe dovuto essere ministro per altri dieci anni. Ma il potere della burocrazia, ad ogni livello, è difficile da debellare. Esso si fonda sulla facoltà, di cui è investito ogni funzionario pubblico, di autorizzare o meno ogni richiesta del cittadino.
Qualunque cosa un cittadino voglia fare, deve fare “regolare istanza” ad un ufficio pubblico, che senza fretta (e spesso con tempi biblici) potrà dare o negare l’autorizzazione. E spesso l’esito proviene dall’apertura o chiusura mentale del funzionario che lavora la pratica, o all’interpretazione (giusta o errata) della normativa.
Nell’immenso potere della burocrazia albergano (e non sono poche, purtroppo) le mele marce: quei funzionari che ritardano ad arte o bloccano le pratiche di loro competenza per poi esitarle a fronte di qualche generoso regalo. Quindi è evidente che più burocrazia esiste, più c’è la possibilità di corruzione e concussione.
Negli ultimi vent’anni, dopo Bassanini, nessun altro governo ha pensato seriamente di combattere la burocrazia e di adottare semplificazioni nella vita pubblica. E poi, diciamolo, per chi legifera è certo divertente non farsi capire. All’art. 8 del decreto legge 15/11/1966 n. 424, convertito con modificazioni dalla legge 21 gennaio 1967 n. 21 e successivamente modificato dal decreto legislativo 14/10/2003 e riformato dal decreto legge 14/10/2012 convertito nella legge 13/12/2012 n. 665, la parola “porca” viene sostituita con la parola “troia”.
Il medico in gamba riesce a farsi capire dal paziente e dai familiari, riesce a spiegare con chiarezza la malattia e la terapia da adottare. Il bravo giornalista sa farsi capire in modo chiaro dai suoi lettori. Il Governo e il Parlamento, invece no, cercano in tutti i modi di non farsi capire dai cittadini.
La prova sta nel cosiddetto “decreto Rilancio”, emanato dal governo Conte un paio di settimane fa: 266 articoli per un totale di 464 pagine quasi illeggibili. Per capirle servono quattro lauree e cinque master universitari. E infatti è in corso un animato dibattito sulle interpretazioni di vari articoli, e fioccano le circolari esplicative (che di solito spiegano ben poco e lasciano ulteriori dubbi).
Come al solito, un accenno alla nostra beneamata città. Con un po’ di ritardo, ma comunque in modo positivo, l’Amministrazione comunale ha deliberato i contrassegni per i residenti (dimenticati dal dannosissimo “ei fu” Commissario Arena).
Orbene, in città un po’ più evolute, come Firenze, il cittadino non ha bisogno di chiedere alcun contrassegno: è libero di parcheggiare sulle strisce blu del proprio quartiere soltanto esponendo sul cruscotto la copia del libretto di circolazione del veicolo, in modo che siano visibili la targa e la residenza. Burocrazia zero, quindi.
A Gela la delibera dell’amministrazione stabilisce che il contrassegno sia rilasciato dalla Polizia Municipale. E invece il modello predisposto va inviato alla Polizia Municipale che, una volta “fatti gli opportuni accertamenti”, lo trasmetterà alla Ghelas, che provvederà a rilasciare il contrassegno. I tempi si dilatano, e non immagino quanti giorni ci vorranno per ottenere il contrassegno, né si comprende come si dovrà pagare la tariffa annuale. Ma soprattutto: se la competenza è della Polizia municipale, perché la patata bollente viene scaricata sulla Ghelas?
Ecco, anche sulle cose più semplici dobbiamo trovare il modo di creare complicazioni. Ma perché? Per un semplice motivo: perpetuare il potere di controllo della burocrazia (e di chi ci sguazza dentro felice).