A Trieste tra pochi giorni chiuderà definitivamente, dopo 124 anni, la Ferriera, fabbrica altamente inquinante che ha causato agli abitanti dei vicini quartieri tumori, malattie respiratorie, centinaia o migliaia di morti.
Sì, perché (ma parliamo del 1896) la fabbrica fu costruita a ridosso delle abitazioni di due quartieri della città.
Anche a Gela lo stabilimento dell’Anic (oggi Eni) fu costruito a ridosso della città: neanche sessant’anni fa esisteva una coscienza ecologica. E anche il petrolchimico di Gela ha causato, negli anni, tumori, malformazioni, morti. Oggi l’Eni si fregia di vere realizzato la raffineria “verde” ed evita accuratamente di ricordare lo scempio passato.
A Trieste le aree dismesse della Ferriera verranno velocemente bonificate, ed utilizzate per l’ampliamento del porto, visto che i traffici portuali della città sono in costante aumento grazie all’entroterra di Slovenia,
A Gela, invece, se si parla di bonifiche si continua a “babbiare”: pochissime bonifiche eseguite, in tempi lentissimi, e senza l’idea di quali aree verranno restituite alla fruizione ed in che modo. Si stanno perdendo le tracce pure della ventilata base per il Gnl, che sarebbe un toccasana per l’economia cittadina ma tutti i soggetti interessati, sul discorso, divagano.
Le (poche) aree bonificate, secondo la politica e l’Eni, dovrebbero essere a disposizione dei nuovi insediamenti previsti per l’Area di crisi complessa (il cui bando è stato un flop ed anche il nuovo bando rettificato sarà un flop).
Cercate le differenze, e vincerete un premio. A Trieste hanno le idee chiare, a Gela si persiste nel “babbìo”.
E a proposito di “babbìo”, si sta tornando a parlare del progetto “Una via tre piazze”, quello di svariati anni fa redatto dall’architetto Collovà e di cui abbiamo esempio nel primo stralcio realizzato, quello di Piazza Sant’Agostino e di Corso Vittorio Emanuele fino alla Via Marconi. I finanziamenti sono previsti dal Patto per il Sud, e legittimamente il progettista batte a cassa per il lavoro eseguito.
Ma siamo ancora in tempo per evitare lo scempio di un progetto che impedirà ai cittadini (e soprattutto alle donne e ai disabili) di potere passeggiare sulla carreggiata del Corso, che diventerà una vera e propria trappola (come una insidiosa trappola diventeranno i marciapiedi). Siamo ancora in tempo per modificare il progetto (che è incompatibile con i canoni di restauro dei centri storici) e realizzare qualcosa che valorizzi il centro anziché affossarlo definitivamente.
Urgono consultazioni con le associazioni datoriali, i residenti, le associazioni dei disabili e tutti i soggetti interessati ad evitare la “squalificazione” del centro cittadino (e non parliamo del progetto dell’anfiteatro in Piazza Municipio, frutto dell’esuberanza megalomane dell’allora sindaco Crocetta). Smettiamo, una volta per tutte, di “babbiare” con il futuro della città.