Si torna a parlare di ospedale e salute pubblica a Gela.
Una tematica che, a distanza di mesi, ripiomba puntualmente nelle cronache cittadine, conquistandone di diritto la vetrina, per poi inabissarsi nell'oblio poco dopo.
Ad accendere i riflettori stavolta è la deputata grillina all'Ars, la gelese Ketty Damante, da poco insediatasi in surroga al dimissionario Giancarlo Cancelleri
«Sono venuta a conoscenza – esordisce nella sua lettera aperta – di diffuse preoccupazioni su una possibile volontà di chiusura del reparto di oncologia dell’Ospedale di Gela. Dietro lo stato di abbandono in cui sono stati lasciati i medici e gli operatori di uno dei reparti più importanti dell’ospedale, c’è chi vede una volontà precisa. Se questi legittimi timori fossero veri, sarebbe una scelta gravissima».
La parlamentare pentastellata ha verificato di persona, visitando il reparto e riscontrando «un servizio assolutamente inadeguato rispetto alle esigenze del purtroppo elevato numero di malati oncologici del nostro territorio».
Per la deputata gelese, la «grave carenza di personale medico» comporta una situazione insostenibile in cui si sviliscono le professionalità di «medici costretti a turni massacranti» e si mortificano «malati che si vedono costretti ai “viaggi della speranza” per trovare la qualità che gli spetta», patendo accanto i loro accompagnatori «oltre al disagio emotivo della malattia, anche quello pratico ed economico dello spostamento e dell'allontanamento dal lavoro, spesso con spese di vitto e alloggio».
Ecco allora l'on. Damante non solo rivendicare, ma addirittura alzare il tiro: «L’ospedale di Gela costituisce un polo sanitario di rilevante importanza non solo per i cittadini gelesi ma anche per le persone provenienti dal vasto circondario e, in particolare, dai comuni di Butera, Licata, Riesi, Mazzarino, Niscemi, Agrigento. E proprio in considerazione dell’elevato numero di cittadini affetti da gravissime patologie, che ritengo intollerabile l’ipotesi della chiusura del reparto oncologico, che necessiterebbe invece di essere potenziato.
L'ex assessore nella giunta Messinese ha chiesto al sindaco Lucio Greco, nella sua qualità di «massima autorità sanitaria sul proprio territorio», l’urgente «istituzione di un tavolo tecnico.
Prendendo spunto dalla lettera dell’on. Damante, il Csag è intervenuto attraverso un suo comunicato stampa, lanciando l’idea di far riconoscere ai presidi ospedalieri di Gela, Augusta e Milazzo gli status di Aziende ospedaliere, autonome dalle rispettive Asp. L’iniziativa è quella di unire trasversalmente e senza tener conto delle appartenenze politiche le risorse umane elette all’Ars nei collegi espressi da quei territori al fine produrre un apposito ddl da far poi approvare in aula.
E’ quanto ci conferma Filippo Franzone, portavoce del comitato, da noi contattato: «Negli ultimi due piani sanitari regionali, il Csag ha suggerito alla politica locale di non approvare gli atti aziendali, con l'effetto di bloccare i piani sanitari regionali stessi. Un gesto di protesta affinché l'Asp e lo stesso assessorato regionale fossero costretti a monitorare la condizione di precarietà del nosocomio gelese e dare comunque delle risposte da mettere nero su bianco.
Da anni ci battiamo per servizi e diritti che non ci vengono riconosciuti, o che ci vengono riconosciuti nella forma ma non nella sostanza. Dall'oncologia all'Utin e tanto altro. Così tanto da arricchire dossier corposi, per poi suscitare stupore e meraviglia davanti ai dati impietosi che abbiamo raccolto estrapolandoli da fonti ufficiali. Ma niente è cambiato in meglio, anzi è peggiorato di giorno in giorno, specie – continua il portavoce del Csag – da quando ci hanno tolto l'autonomia che avevamo come azienda ospedaliera.
Ed allora è inutile girarci intorno. Il riconoscimento delle aziende ospedaliere ai presidi di Gela, Milazzo e Augusta ci permetterebbe di affrancarci, almeno per quanto ci riguarda, dalla morsa nissena, che ci sta spogliando di tutto. Stiamo lavorando all'idea di unire deputati espressione di quei territori, trasversalmente ed al di là delle appartenenze politiche, ai fini di una legge regionale speciale che consentirebbe a queste aree martoriate, di specializzarsi nelle cure ospedaliere e sanitarie rispondenti alle patologie derivanti dall'impatto ambientale dovuto alla presenza industriale, oltre a fornire i servizi di base. Una legge – conclude Franzone – che risarcisca questi territori, bonificandoli almeno sul piano della prevenzione e cura