Questa sì che è arte. La Compagnia di danza “Le belle statuine” ci ha regalato negli ultimi giorni “il ballo del qua qua” o forse “del qua qua (raquà).
Protagonista è la giunta regionale del grandissimo ed eccellentissimo Musumeci, che con apposita delibera ha fatto sparire (meglio del mago Silvan) trentatre milioni di finanziamenti del patto per il Sud destinati a Gela, trasferendo le risorse, guarda caso, nella Sicilia orientale, soprattutto nell’area catanese. Ma prendersela con Musumeci è fin troppo facile.
La vicenda di questi fondi presenta particolari per niente chiari. A partire dalla diffida, fatta dagli ispettori regionali a gennaio 2019, con cui si davano al Comune di Gela sessanta giorni di tempo per rendere cantierabili i progetti.
Chi comandava all’epoca a Gela, con i poteri del Consiglio e della Giunta (in pratica con pieni poteri)? Il dannosissimo commissario Arena, quello nominato da Dio e da Musumeci, che aveva l’onere di adempiere alla diffida. Ma a quanto pare non l’ha fatto, ha omesso il suo dovere di amministratore dell’Ente.
Le solite malelingue potrebbero pensare che da Palermo possa essere giunta un’imbeccata a non completare i progetti, per potere poi arrivare alla revoca e impinguare le aree del collegio elettorale di Musumeci. Ma noi non ci crediamo neanche un po’: come si può dubitare del nostro integerrimo
Presidente, che vuole così bene a Gela da bloccare il passaggio alla Città metropolitana di Catania per evitare di causare ai gelesi crisi di identità?
Sta di fatto che, dopo l’insediamento dell’amministrazione Greco, a giugno, l’assessore Liardi si reca a Palermo, parla con l’assessore Turano e annuncia che i fondi non si perderanno, e che il Comune si impegna nel giro di un mese a completare i progetti. Ma anche questo impegno viene eluso, e si arriva alla recente delibera di revoca.
Ora il ballo diventa frenetico. Inizia a ballare il sindaco Greco, che si precipita da Turano, il quale però conferma che c’è ben poco da recuperare. Entra in ballo l’assessore regionale Falcone, che invece è possibilista. Infine ecco il ballerino Armao, che a quanto pare sospende la delibera di revoca sostenendo che deve prima essere esaminata dalla Commissione Bilancio dell’Ars. Ai margini del ballo anche i deputati regionali del territorio (Mancuso, Arancio e Di Paola) che presentano infuocate interrogazioni.
Nel frattempo i cittadini non comprendono per quale motivo dirigenti e funzionari comunali in dieci mesi (da gennaio ad ottobre) non abbiano avuto il tempo di completare i progetti, né per quale motivo (come asserisce Turano) il Comune abbia dichiarato (ma è vero?) che non era in grado di ultimare i progetti.
La vicenda è tutt’altro che chiusa, ed avrà di sicuro ulteriori sviluppi nei prossimi giorni e settimane. Ma è sintomatica di una situazione generale che vede Gela ferma al palo. Perché oltre ai 33 milioni del Patto per il Sud in bilico, sono momentaneamente spariti i 32 milioni delle compensazioni Eni, mentre l’Area di crisi complessa, dotata di 25 milioni per trentadue comuni di quattro province, si è rivelata un flop: l’avevamo scritto già a giugno, e ora c’è la chiara prova che si tratta di una vera e propria sofisticata presa in giro.
Gela è al palo. Gela è la città “chiusa”. Chiusa come il suo campo sportivo, come il Parco archeologico di Caposoprano, come il Museo. Chiusa come i due palazzetti dello sport inagibili. Come il Pontile sbarcatoio e il Porto rifugio. Chiusa come le vetrine dei negozi del centro storico. Come il Parcheggio Arena. Chiusa come la Raffineria, trasformatasi in “green” ma ormai marginale per l’occupazione. Chiusa come le decine e decine di serre agricole non più coltivate e in vendita.
Ci restano solo i balletti. Quello del qua qua (o forse del qua-qua-ra-quà).