Ancora giochini sulla pelle dei siciliani.
In Commissione Affari Istituzionali dell'Ars, è stato approvato recentemente un emendamento al nuovo, ennesimo disegno di legge sulle elezioni di secondo grado che dovrebbero – in questa vicenda il condizionale è veramente d'obbligo – rinnovare i presidenti ed i consigli dei sei liberi consorzi siciliani, nonché i tre consigli delle città metropolitane, ponendo fine ad un commissariamento delle ex province che perdura ignobilmente da anni. Una nuova norma fisserebbe le elezioni in una data compresa tra il 27 ottobre e il 24 novembre di quest’anno.
E' stato approvato in Prima Commissione, “Affari Istituzionali”, dell'Ars, un emendamento al nuovo ed ennesimo disegno di legge sulle elezioni di secondo grado che dovrebbero – in questa vicenda il condizionale è veramente d'obbligo – rinnovare i presidenti ed i consigli dei sei liberi consorzi isolani, nonché i tre consigli delle città metropolitane siciliane, ponendo fine ad un commissariamento degli enti territoriali intermedi che perdura ignobilmente da anni.
Recentissimamente, in Sala d'Ercole è stata approvata una norma che rinviava alla primavera del 2020 le elezioni provinciali, in aperta ostilità al volere del Presidente della Regione siciliana, Nello Musumeci. La nuova norma fisserebbe le elezioni degli organi politico-amministrativi di vertice degli enti di area vasta della Sicilia, in una data compresa tra il 27 ottobre e il 24 novembre di quest’anno.
A darne notizia è stato, a mezzo di apposita nota inviata ai media, il gruppo parlamentare di Forza Italia all'Ars, partito nelle cui fila si muovono l'assessore alle autonomie locali, Bernadette Grasso e lo stesso Presidente della Prima Commissione, "Affari Istituzionali", Stefano Pellegrino: «la norma rappresenta una riconquista, anche se parziale, della partecipazione democratica dei cittadini alla scelta, pur se indiretta, dei propri rappresentanti negli Enti intermedi.
Non poteva condividersi il posticipo di un anno delle elezioni, come più volte ribadito dall’attento Presidente Musumeci, che avrebbe consentito una ulteriore permanenza dei commissari, senza alcuna possibilità di coinvolgimento delle comunità locali nella gestione degli enti di area vasta. L’aspettativa è comunque quella di tornare all’elezione diretta del Presidente e del Consiglio delle ex Province, essendo questo, un diritto che i cittadini, a ben ragione, rivendicano. Adesso all’Aula l’ultima parola».
Il ddl sarà trasmesso infatti in aula per la sua approvazione definitiva, presumibilmente, entro la ferie estive, giacché al rientro delle stesse i partiti dovranno già organizzarsi per le liste in vista dell'appuntamento elettorale autunnale, qualora fosse davvero approvata la norma in questione. Il ddl è il n. 576 ed è ad iniziativa governativa, rientrando così nella fattispecie prevista dall'art.44 della Lr. 15 del 2015. L'occasione era cioè buona per mettere la parola fine sulla condizione dei comuni di Gela, Piazza Armerina, Niscemi e Licodia Eubea. Invece nulla.
"Volontà popolari che dovranno essere rispettate", eppure venne a dire a Gela il candidato alla Presidenza della Regione siciliana, Nello Musumeci, poi eletto. Ma si sa, nella terra del "Gattopardo", quelle dell'inquilino di Palazzo d'Orleans sono "promesse da marinaio" se per mantenerle deve passare da "Palazzo dei Normanni" con una maggioranza che nei fatti non ha, come lo stesso Musumeci ha più volte candidamente ammesso. Una maggioranza perennemente in fibrillazione e che non appena scatta l'opzione del voto segreto fa sbucare dal cilindro i franchi tiratori lesti a battere il governo, delegittimandolo a dovere. E cosa puoi mantenere quando con il passaggio di queste quattro comunità dovranno necessariamente cambiare i collegi elettorali per l'elezione giust'appunto dei 70 "sovrani" rappresentanti della regione?
Sovrani del "Palazzo Reale" che come i monarchi di una volta possono fare e disfare, dire e smentire, scrivere e sconfessare quanto scritto, continuando a trattare i propri cittadini elettori come sudditi. Perché questo è quanto accaduto in barba al principio di legalità, oltre a quello democratico di autodeterminazione delle volontà popolari. E' l'arroganza e la tracotanza di un Parlamento regionale che si ritene "sovrano" dimenticandosi che lo è "in nome del popolo". Quel popolo che in quattro comunità dell'isola si è espresso a chiare lettere per abbandonare i rispettivi enti di appartenenza (Caltanissetta nel caso di Gela e Niscemi, Enna nel caso di Piazza Armerina e Catania nel caso di Licodia Eubea) e transitare ad altri (Catania nel caso di Gela, Piazza Armerina e Niscemi, nonché Ragusa nel caso di Licodia Eubea).
Popolo che in merito si è espresso, concedendo financo il bis, attraverso lo strumenti cardine della democrazia rappresentativa a livello locale, vale a dire non un ma due distinte delibere, approvate ad ampie maggioranze dai consigli comunali. Popolo che in merito si è espresso attraverso lo strumento per eccellenza della democrazia diretta, cioè un referendum approvato in maniera plebiscitaria nell'intervallo tra le due delibere approvate.
Popolo che in merito si è espresso, soprattutto, osservando puntualmente e rigorosamente le previsioni normative disposte dall'Assemblea Regionale Siciliana, sebbene quest'ultima avesse cambiato le regole stesse in corso d'opera lungo un farraginoso iter di riforma delle province, che ha prodotto l'unica novità, di facciata, delle tre città metropolitane di Palermo, Catania e Messina, arenandosi per il resto ad un nulla di fatto.
Ed in effetti tutto sarebbe già lettera morta, catapultata nel dimenticatoio, destinata all'oblio, se non fosse per i comitati di cittadini promotori delle città di Gela, Niscemi e Piazza Armerina. Cittadini che continuano a rimanere sul piede di guerra disposti pure ad adire le vie giurisdizionali pur di evitare che Gela, Piazza Armerina e Niscemi votino per enti intermedi che hanno espressamente affermato di voler abbandonare nel pieno rispetto delle leggi in vigore