Tutto secondo le previsioni alle elezioni europee di domenica scorsa.
I sondaggi dei mesi scorsi su scala nazionale sono stati sostanzialmente confermati, con il fortissimo avanzamento della Lega di Salvini, il deciso arretramento dell'alleato di governo, il Movimento 5 Stelle, che si difende ancora (ed è primo partito) nel meridione ed isole, ma che deve subire nella penisola l'onta del sorpasso da parte del Pd.
A destra c'è la piena soddisfazione della Meloni per il risultato in crescita del suo partito, Fratelli d'Italia che incassa l'ingresso di Fitto e della sua corrente ex forzista, supera agevolmente lo sbarramento e quasi quasi punta alla doppia cifra. A fare da contraltare è l'ennesima delusione per una Sinistra oltre il Pd che non riesce a risollevarsi, con percentuali irrisorie dei vari cespugli.
Dunque vince Salvini, perde Di Maio e sorride a metà Zingaretti che può elogiare il lavoro fatto dai suoi nelle grandi città, ma consapevole che si deve ancora lavorare tanto in periferia dove i dem continuano a prestare il fianco. Il ritorno in extremis nell'agone politico di Berlusconi rinvia il "de profundis" di Forza Italia, la cui salvinizzazione – a nostro parere - è già in larga parte compiuta considerato il dominio leghista nelle due circoscrizioni del nord ed il successo persino nella circoscrizione centrale.
L'analisi dei flussi di voto verso La lega è chiara: intercettata la protesta che proveniva da destra in direzione dell'alleato di governo (ma principale competitor sul piano del populismo elettorale) grillino, la Lega di Salvini ha eroso il consenso liberista, nel senso più “fiscale” del termine, quindi imprenditoriale e delle partite iva, che costituiva la base forte del partito di Berlusconi al centronord.
Il Movimento 5 Stelle paga le proprie contraddizioni. Il rallentamento su scala nazionale è dettato dall'astensionismo nel meridione e nelle isole, perché l'elettorato al Sud e nelle Isole, stanco dei partiti che non hanno mai risolto la “questione meridionale”, non vuole confusioni nelle linee d'azione. Solo per fare un esempio, non puoi evitare a Matteo Salvini di essere processato e poi lo attacchi per tutta la campagna elettorale.
La presenza di Berlusconi che mantiene in vita ciò che di moderato rimane in Forza Italia, rinvia semmai il ricongiungimento al centro con il Pd il quale ha poco da guardare ancora a sinistra se non nella ripresa di una tutela dei diritti sociali, accanto quelli civili. Rimane un vuoto di consensi al centro moderato, specie di matrice cattolica, che non si sente rappresentato nemmeno dal nascente "Popolo della Famiglia" incapace di raggiungere manco l'1%, pur assommandolo ai "Popolari"
Ed ora che succede? Salvini continuerà la campagna elettorale in cui è impegnato da anni, in vista dell'obiettivo finale. Quale? Ce l'ha scritto nel simbolo: “Salvini Premier”. Il leader leghista punta dritto a Palazzo Chigi ma vuole arrivarci col voto, non con una manovra di palazzo come fece Renzi. Salvini non ha nessuna intenzione di far cadere il governo. La ricetta di cosa fare dopo il voto l'ha già presentata al presidente Conte, dipende da quest'ultimo e da Di Maio mantenere in vita il governo accettando la decina di punti (o almeno la gran parte di essi) elencati nella ricetta salviniana.
Di Maio ha tre opzioni: a) rompere l'alleanza, non aprire a nessuno e costringere il presidente Mattarella ad indire nuove elezioni, accorciando i tempi per il trionfo di Salvini e per il suicidio elettorale del Movimento grillino; b) continuare con l'attuale alleato come se non fosse successo nulla, ma abbandonare l'idea responsabile di provare quantomeno a governare il paese come ha fatto finora, mettendosi anche lui in campagna elettorale come Salvini, magari fino al termine naturale legislatura, per poi tirare una riga e vedere cosa succede alle urne; c) provocare una crisi di governo da cui uscire con un'alleanza con il Pd, benedetta da Mattarella, tentando di togliere la terra sotto i piedi a Salvini, che continuerebbe la campagna elettorale dall'opposizione. Come? Attraverso scelte e misure di politica economica che diano risposte concrete, sul piano impositivo (al Nord produttivo) e su quello degli investimenti, specie infrastrutturali (nella parte bassa dello “stivale”), presentando poi il conto all'elettore, a fine legislatura.