Alla chiusura dei seggi, domenica scorsa, si erano recati alle urne 38.401 elettori ed elettrici gelesi, sui 65.739 aventi diritto, per una percentuale pari al 58,41%, cioè ben oltre i 10 punti percentuali in meno rispetto alle elezioni comunali del 2015.
In questi quattro anni la città ha subito un decremento demografico, contenuto nelle sue potenzialità negative dalla circostanza che vede ancora diversi gelesi, cosiddetti “trasfertisti”, lavorare fuori ma rimanere residenti, con mogli e figli che ancora vivono in città.
Rispetto alle precedenti consultazioni locali, inoltre, il numero dei candidati a sindaco si sono ridotti da 11 a 4 e soprattutto le candidature al consiglio comunale, quelle che più di tutte mobilitano l'elettorato in elezioni amministrative, si sono ridotte a meno della metà. Per non parlare del fatto che si è votato in un'unica giornata, dalle 7 alle 23, mentre nel 2015 si votò la domenica e l'indomani, il lunedì, fino alle ore 15.
Insomma, a fronte di tali premesse, tutti o quasi temevano un crollo nell'affluenza. Non pochi arrivavano a sospettare e pronosticare una caduta verticale, con un astensionismo oltre il 50%. Altri nelle più rosee previsioni avrebbero salutato positivamente un peggioramento che si fermasse a 35 mila votanti.
Non stupisce, pertanto, se politici e commentatori vari, si siano fatti trascinare dall'entusiasmo, assumendo toni financo trionfalistici, innanzi ai 38 mila che sono andati, comunque, a votare. Non stupisce, tantomeno, come una tale “frana” nella partecipazione democratica locale, durante la settimana dei commenti ai risultati, delle conferme, delle sorprese, delle delusioni, dei possibili apparentamenti e quant'altro, sia di fatto passata piuttosto alacremente nel dimenticatoio.
A Gela, alle elezioni amministrative di domenica 28 aprile 2019, il 42,59% degli aventi diritto, pari a 27.338 cittadini/e, non hanno avuto voce in capitolo, preferendo che fossero altri a decidere per loro. Un dato negativo, pesantemente negativo, di cui nessuno sembra volersene curare. E' come se non fregasse più a nessuno: non sono andati a votare e scegliere nemmeno chi deve stabilire se quando aggiustare il lampione che illumina la facciata della loro casa, asfaltare le buche della loro strada, liberare il drenaggio nei tombini, nelle caditoie e via di seguito? Peggio per loro!
Sicché, nell'indifferenza più totale, l'astensionismo di chi non crede che votare, sia un diritto ed un dovere, continua a crescere. Inesorabilmente. Puntata elettorale dopo puntata elettorale. Un astensionismo che non è più fisiologico, proprio perché costante negli anni e quindi a prescindere dalle fluttuazioni (a salire o a scendere) demografiche.
Un astensionismo che non può essere considerato di protesta, perché questa la puoi esprimere giust'appunto recandoti ai seggi e non solo annullando il voto o con la scheda bianca. E' un astensionismo in parte frutto di apatia e rassegnazione, in parte conseguenza di chi col non voto non vuole rendersi più “complice” di uno stato di cose, che col voto non cambierà e che con quel “non voto”, per l'appunto, ritiene di non legittimare.