Mario Hytten a Gela, dove suo padre Eyvind scrisse con Marco Marchioni la “Bibbia del Meridionalismo”

Mario Hytten a Gela, dove suo padre Eyvind scrisse con Marco Marchioni la “Bibbia del Meridionalismo”

Il figlio Mario e la nipote Romina di Eyvind Hytten, autore insieme Marco Marchioni del libro Industrializzazione senza sviluppo: Gela: una storia meridionale (Milano, Franco Angeli, 1970),  rispettivamente Mario e Romina, sono stati ospiti in città.

Martedì sono stati ricevuti in Municipio dal sindaco Terenziano Di Stefano e dall’assessore alla Cultura e vicesindaco Viviana Altamore, presente anche la consigliera comunale Maria Grazia Fasciana, e due vecchi compagni di scuola di Mario Hytten l’arch. Eugenio Piazza e Peppe Incardona.

Accompagnati dal direttore del  Corriere di Gela Rocco Cerro, dallo storico Nuccio Mulè (che recentemente ha curato la ristampa del libro di Hytten e Marchioni, da Pino Canizzaro (creatore di Gela in miniatura), Mario Hytten ha ricordato la sua adolescenza trascorsa a Gela nel periodo in cui il padre lavorava con Marchioni al testo del libro divenuto poi iconico per i suoi contenuti allora “rivoluzionari”. Proprio a Hytten e Marchioni sono dedicati due busti all’interno del parco  Gela in miniatura.

Il norvegese Eyvind Hytten era un professore di Filosofia morale all’Università di Oslo. Venne in Sicilia per studiare le ingiustizie sociali, accompagnato dalla moglie. I due vissero per anni a Partinico e poi a Gela. Fu l’Eni a volere lui e Marco Marchioni in Sicilia. Gli autori del libro indirizzarono la loro analisi verso la negazione di un modello di sviluppo in grado di accomunare crescita economica e benessere.

Il sindaco ha donato un gagliardetto con lo stemma del Comune, il libro di Salvatore Parlagreco sulla leggenda di Eschilo ed un riproduzione scultorea del minotauro.

Questo  lo stralcio di un articolo scritto per il “Corriere di Gela” da Salvatore Parlagreco in occasione della scomparsa a Roma di Marco Marchioni, nel 2020.

..... «A volerli a Gela, Marco ed Eyvind, furono dirigenti dell’Eni che si preoccupavano di preparare la città al grande passo verso il futuro. Uomini di cervello fino e di vedute larghe, ideologicamente imparentati con la sinistra politica e sociale del Paese, ma assoluta minoranza nell’Eni, soprattutto dopo l’abbattimento dell’aereo del Presidente dell’Eni, Enrico Mattei, uomo pragmatico ma impegnato ad affermare il ruolo centrale della fabbrica.

Quando il libro uscì, rimase nelle librerie italiane per qualche giorno. Emissari interessati dell’Azienda a partecipazione statale acquistarono tutte le copie, facendolo sparire. Ci sarebbero voluti venti anni perché fosse letto e studiato, quando venne pubblicato come allegato alla rivista ufficiale del Parlamento Siciliano, Cronache parlamentari.

Tredicimila copie, che non poterono subire lo stesso trattamento del libro, perché vennero spedite e distribuite senza alcuna interferenza. Questa piccola storia, nella grande storia del libro, offre la testimonianza del contesto tradimentoso ed incivile, in cui la comunità gelese, e il Meridione, vissero l’avventura della grande fabbrica gelese.

Perché mai quel libro, scritto da due sociologi, non avrebbe dovuto essere letto, come fossimo al tempo dell’Inquisizione, e si trattasse di un testo eretico. Eppure non una eresia veniva enunciata né una “colonna infame” era invocata o una gogna fabbricata. E allora? Le parole degli autori spaventavano più di un j’accuse implacabile, avrebbero potuto togliere alla “razza padrona” del tempo la gestione di un flusso gigantesco di risorse, di fatto incontrollato.

Oggi, a distanza di quasi mezzo secolo, quel libro eretico ha il valore di una testimonianza ineludibile degli errori del meridionalismo politico e costituisce una memoria puntuale dei ritardi, culturali e politici, della comunità gelese. Mentre la città viveva una perenne inebriante sensazione di benessere, Hytten e Marchioni gridavano nel deserto: la rivoluzione industriale non avrebbe miracolato nessuno, anzi che Gela avrebbe vissuto delusioni e disastri a causa della emarginazione della comunità dai processi di trasformazione.

C’è una domanda che Marco ed Eyvind non si fecero, la stessa che veniva proposta anche mezzo secolo fa sottobanco: sarebbe potuta andare diversamente, avrebbe potuto reagire convenientemente una comunità a forte economia agricola, le mani nude e inesperte? C’erano le condizioni, perché Gela prendesse coscienza di ciò che stava accadendo? A

vrebbe potuto dotarsi di strumenti, mezzi, risorse per stare al passo con quel “presente” arrivato al galoppo, come l’alta marea, per prevedere i bisogni di un torrente in piena che trascinava ogni cosa, cancellando le profezie delle cassandre? Gela correva con il telaio di una Ferrari e il motore a scoppio di una vecchia Balilla».