La Community di Radio Gela, nata nel 1975, si è ritrovata a distanza di quasi mezzo secolo per celebrarne la nascita e la vita, seppur breve.
Una comunità di inguaribili nostalgici, aggrappati al ricordo del mondo che non c’è più, non fa notizia. E’ una reunion fra amici legati ad una realtà spazzata via dal mondo della comunicazione, che viaggia con la velocità della luce. Affari loro, secondo lo statuto del buon giornalismo.
Il nostro è il tempo dei Frankestein digitali. E allora? La notizia non è un contenitore vuoto, bisogna andarci dentro. Quando Radio Gela andò in onda c’era il diritto di scrivere per tutti nella carta stampata, di esprimere la propria opinione in ogni luogo pubblico, ma non il diritto di parlare “a tutti” attraverso l’etere. La Community che ricorda la nascita della emittente non è la rimpatriata fra amici, ma la memoria fisica di un evento che ha fatto la storia della città.
La volontà di rivivere, per poche ore, quel clima amicale e gratificante che concepì l’ambizioso obiettivo di infrangere il monopolio dell’etere detenuto dallo Stato, basterebbe comunque da solo a farci apprezzare la volontà di mantenere in vita il ricordo. Radio Gela fu passione, intelligenza e generosità, lungimiranza e competenza, guasconate e goliardia, fu la magica consolle, il mitico microfono, l’etere finalmente violato.
Fu vita e sangue. Ebbe i gesti, le parole di tanti uomini e donne; il sorriso dell’ispiratore del progetto (insieme a Emanuele Tuccio e Gaetano Patti), Ciccio Caccamo, svelto di mente e tenero di cuore, che se ne andò di testa sua per sempre, come quei guerrieri che non amano la guerra e fuggono da se stessi. Se fosse solo questo, anema e core, goliardia e gente di forte ingegno e tempra dura, Radio Gela, meriterebbe lo stesso una pagina nel libro di una città così povera di passioni. Non gli renderemmo giustizia se non raccontassimo la funzione che l’emittente radiofonica svolse e il ruolo che si guadagnò in una comunità smarrita, alla mercé degli eventi.
Quando Radio Gela andò in onda, lo Stato deteneva il monopolio dell’etere, dei tabacchi e del sale. L’impresa era ambiziosa e audace, animata dalle migliori intenzioni, ma gli mancava una gamba, le risorse economiche, un bacino pubblicitario da cui ottenerle ed una struttura dotata di figure professionali che potessero svolgere un lavoro di sensibilizzazione del mercato potenziale e di raccolta degli inserzionisti, il portafoglio clienti.
Questo gap avrebbe segnato l’avvenire dell’emittente, ma non costituì affatto un ostacolo nella fase iniziale; il palinsesto si rivelò fin dal primo giorno efficace e ben condotto. I successi di ascolto e le attitudini dei conduttori e dei tecnici, il volontarismo generoso e l’idea che si stesse facendo qualcosa di epico, lasciò ai margini i problemi del futuro. Era prevedibile che trascorsa la luna di miele e finiti gli entusiasmi, il volontariato non sarebbe bastato; il mercato pubblicitario locale, senza cultura promozionale, non era pronto a finanziare l’impresa.
Radio Gela aprì la guerra al monopolio, andò in prima linea, petto in fuori, tanto cuore ed una esemplare unità d’intenti sulla bontà della impresa, affrontando le inevitabili conseguenze di natura penale che la trasgressione della legge avrebbero provocato.
La radio venne infatti silenziata dopo essere andata in onda e il responsabile legale obbligato a rispondere del malfatto. Il provvedimento giudiziario era atteso, accrebbe anzi la volontà di proseguire e regalò, paradossalmente, una sorta di ottimismo sull’esito. Si era persuasi che le buone ragioni sarebbero prevalse, perché nei tribunali e in parlamento si respirava un’aria favorevole all’abbattimento del monopolio dell’etere.
Nell’arco di poche ore dal provvedimento della magistratura, migliaia di firme gelesi chiesero il ritorno di Radio Gela in onda. Una sollevazione popolare, che vale più di ogni discorso sui diritti e i doveri di una democrazia adulta. L’iter giudiziario dei reati ascritti al responsabile di Radio Gela ebbe una conclusione felice, ci fu una sorta di guado da attraversare, ma nell’attesa l’emittente avrebbe potuto riprendere le trasmissioni.
La guerra dell’etere fu vinta, il pretore di Gela inviò le carte alla Corte costituzionale, che avrebbe sancito la fine del monopolio statale. A guadagnarci non sarebbero stati né Radio Gela, né le altre emittenti locali che avevano affrontato il monopolio, ma il tycoon della tv privata, Silvio Berlusconi, ed altri editori di minore peso, ma provvisti di risorse.
Ciò che avvenne a Gela però fu cruciale. Una svolta. La comunità locale sposò la battaglia contro il monopolio dell’etere, ne apprezzò l’utilità, la sentì come una voce amica. La qualità dell’intrattenimento, il linguaggio semplice, una informazione accurata con format innovativi, gli spazi aperti agli ascoltatori guadagnarono credito e simpatia. Parlavano le casalinghe, gli operai, i braccianti, i colti e gli incolti, i saggi e i bastian contrari.
Gela subiva l’invadenza dell’industria in ogni ambito, politico economico e sociale, il governo locale era debole e ambiguo, incapace di confrontarsi con una “controparte” forte. Finalmente poteva contare su uno strumento forte e amico. Si cominciava, tra l’altro, a vedere il futuro, fino ad allora nutrito da speranze e promesse deluse, si toccavano con mano l’impreparazione con la quale era stata affrontata l’onda immigratoria nel campo dei servizi (scuola, salute, infrastrutture primarie e secondarie) e gli effetti dalla selvaggia speculazione fondiaria e dall’abuso edilizio. La città-cavia dell’industrializzazione senza sviluppo era muta, non aveva un mezzo per farsi sentire. L’emittente non poteva piacere a tutti. La raccolta pubblicitaria non avrebbe annoverato i poteri forti della città.
La primogenitura di Radio Gela nell’etere, e la sua vita corta, perciò, non possono essere spiegate solo con l’intraprendenza e la vivacità dei suoi promotori e la testimonianza di un pressante bisogno di partecipazione e democrazia. Ciò che è accaduto va visto in un’ottica più ampia dell’ambito locale. Radio Gela ha dato il via all’era della comunicazione partecipata, a una maggiore pluralità di punti di vista e ha offerto una piattaforma per esprimere idee e opinioni diverse, che ha creato una maggiore consapevolezza dei problemi sociali e politici.
Ma è durato poco, troppo poco.
E’ innegabile che le radio libere in Italia siano state un fenomeno importante e innovativo, che abbiano contribuito a cambiare il modo in cui le persone si informano e si relazionano e abbiano consentito una maggiore diversità di voci e opinioni all'interno del panorama mediatico del paese. E’ altrettanto innegabile tuttavia che siano poi diventate veicoli per interessi commerciali o politici. A conti fatti, se si considera l’abbattimento del monopolio e la conquista della libertà di parola e di espressione, le radio libere possono vantare un successo, avendo spezzato il monopolio dell'informazione.
Tuttavia, si deve prendere atto che, guadagnato il risultato politico, la democratizzazione dell’etere, non hanno portato a Gela e altrove un cambiamento radicale nel modo in cui si può accedere ai media e partecipare alle decisioni che coinvolgono tutti. E’ rimasto fermo il principio illustrato da Foucault: l’ordine del discorso è stabilito dal ruolo di chi parla. Non è sufficiente disporre dell’etere e del microfono per essere ascoltati.
Se hanno dimostrato che è possibile creare spazi di comunicazione alternativi, è anche vero che le radio libere hanno avuto difficoltà a incidere in modo significativo sulle decisioni delle istituzioni. Le grandi holding mondiali della comunicazione hanno acquisito un controllo sempre maggiore sui media, sia tradizionali che digitali. Oggi siamo diventati topi di laboratorio, l’autostima è affidata ad una dose di approvazione sociale assegnata da cuoricini e like, che scambiano le gratificazioni per valori e verità. Gli apprendisti stregoni hanno passato il testimone ai makers del superbrain globale.
L’inganno e il raggiro ci aspettano dietro l’angolo, il senso stesso della cultura è la manipolazione. La vecchia cara radio libera è solo un ricordo sbiadito, per il quale spendere un sorriso malinconico, non troppo insistito ad evitare di passare come uno stagionato umanoide, ferraglia da restituire alla discarica.
Fin qui il mio pensiero. Dell’avventura di Radio Gela ho scritto come persona informata dei fatti, avendo partecipato sulla linea del fronte alle vicende che hanno segnato la sua esistenza. Il ricordo di quelle giornate è ancora vivo in me e mi riscalda il cuore.
E’ legittimo chiedersi se ne sia valsa la pena, ma non nutro dubbi in proposito. Non ho mai smesso di credere che quella esperienza mi abbia insegnato tanto, sia sul piano professionale che relazionale, e che Radio Gela entri a pieno titolo nella storia della città, quella storia di cui è lecito sentire l’orgoglio tanto da meritare che venga conosciuta dalle giovani generazioni.