l’Editoriale/Il mondo fa paura, Gela fa rabbia

l’Editoriale/Il mondo fa paura, Gela fa rabbia

Il mondo fa paura. La ferocia degli uomini e della natura – guerre, terremoti ed alluvioni – giustifica chi cerca fra le predizioni di Nostradamus o i Maya, le cause di questo sventurato anno.

Le sofferenze della quotidianità non sono scomparse nell’universo della povertà, hanno subìto una sedazione velenosa. Riesce difficile senza arrossire, occuparsi perciò dei fatti propri. Tutto ciò che ci riguarda può aspirare al codice verde, non di più. L’emergenza è differibile, rinunciare tuttavia a farci domande su ciò che ci arriva addosso, è impossibile, anche quando non ha niente a che vedere con la pioggia di rane che annuncia l’Apocalisse. 

In concreto, non ci è permesso attendere gli eventi. E disconnetterci dal mondo in cui viviamo. 

Una domanda mi faccio da tempo, senza trovare una risposta plausibile. Come spiegare il terremoto sociale al quale Gela è stata sottoposta, senza esserne protagonista né comparsa? Il passaggio da uno stadio all’altro della vita – singola o comunitaria – non può essere appreso come episodio a sé o in modo parziale, e quindi distorto, vanno analizzate circostanze, condizioni, motivazioni, concatenazione di eventi, contesto. La realtà, osservata attraverso un singolo episodio, si nasconde. O viene spiegata da ragionieri senza anima e dalla esangue legge del destino. 

Sono gli anni cinquanta, il boom economico non supera la linea gotica, e Gela è meta di reporter alla ricerca del folklore meridionale. Fanno notizia il surreale semaforo di Piazza Umberto insediato in un deserto di traffico, e la impudica statua seminuda di Cerere, che s’affaccia sul portone grande della Chiesa Madre.

Meritano gli onori della cronaca in egual misura un signore che passeggia nei pressi della Libreria Randazzo custodendo sotto l’ascella il raffinato Observer, il più antico periodico del mondo, e i contadini premiati dalla riforma agraria ma riluttanti ad abbandonare il paese per trasferirsi in campagna. 

I carretti dei pendolari compiono ancora il tragitto verso la terra da coltivare sulle basole delle strade del centro alle tre del mattino trascinandosi il cane appeso ad una corda. I guaiti della bestiola non li ascolta nessuno, sovrastati dall’incessante cigolio delle ruote e dalla monotona cantilena del padrone che parla, come se cantasse. Il ciclostile, per volontà degli storici locali, divulga la sontuosa storia di Gela greca, (immanisque fluminis dicta).

Ed il paese è diviso da una sorta di virtuale 48esimo parallelo: i gelesi che vivono alla periferia est, insigniti dell’epiteto di “coreani”, e i civili sul Corso dall’altra parte del mondo. A far palpitare i cuori, tuttavia, ci sono solo le truvature, le casuali scoperte di monete greche che arricchiscono nell’assoluto anonimato fortunati gelesi. 

Le cose stanno presso a poco così, quando le trivelle esplorano il sottosuolo, a terra ed al largo del golfo, e ricevono la propagazione di impulsi elettromagnetici. Il petrolio, custodito nell’abisso come uno scrigno segreto, lo chiamavano l’oro nero allora, asfalterà le povere economie locali: grano, cotone, pesca, turismo allo stato nascente, la lunga stagione balneare e la nascente stagione archeologica.

Gela diviene protagonista, senza esserlo, di una vicenda surreale, cui è stata attribuita la profezia della redenzione del Mezzogiorno. Gela si sente baciata dalla sorte ed ubbidisce a una regia, che opera nei luoghi del potere reale, pur poco convinta dell’utilità dei fini da raggiungere. Le lusinghe del petrolio, portatore di benessere, seducono una comunità sprovvista di cultura industriale ed ambientale. Le trivelle texane, raccontate da Hollywood, scandiscono il suono dei dollari, mentre l’assenza di opportunità di lavoro e una povertà endemica fanno il resto. 

L'abbandono dell'industria chimica di base ha lasciato la comunità con infrastrutture inutilizzate e potenzialmente pericolose. Lo smantellamento o la gestione sicura di queste strutture rappresenta un onere economico e ambientale per la comunità e per il Paese. Gli scheletri della grande fabbrica dismessa sono sotto gli occhi di tutti, il conto della cecità sarà salato. 

Non si può inoltre mettere sul piatto della bilancia, la chimica di base da un lato, la pesca e la marineria, la coltura del grano e del cotone dall’altro. O il turismo nascente grazie alle scoperte archeologiche.

O ancora la stazione balneare, pur apprezzata. La chimica è costata quaranta milioni per ogni posto di lavoro, un costo sicuramente da aggiornare. Quale costo avrebbe richiesto, e quali risultati sarebbe stato lecito attendersi, con  un finanziamento pubblico negli altri settori, privi di credito? 

Non abbiamo dati su cui proporre delle analisi. Nessuno le ha mai fatte. La dipendenza da una risorsa non rinnovabile come il petrolio o il gas può portare, in campo nazionale, a una vulnerabilità economica quando i prezzi del petrolio fluttuano, quando le riserve si esauriscono e le fonti risentono delle variabili geopolitiche, com’è capitato nei mesi scorsi.

Di una cosa possiamo essere certi, tuttavia: il petrolio ha cagionato la dissoluzione di settori economici potenzialmente in grado, se incentivati da risorse e infrastrutture, di suscitare un ciclo virtuoso di sviluppo.

Quali le conseguenze di una scelta economica non oculata? Quali sono le sfide che ci attendono? Occorre trasparenza e onestà. Si è appresa la lezione, durissima, inflitta alla comunità? Rimuovere il passato o nasconderlo sotto il tappeto serve a tacitare i mugugni e mantenere il percorso inalterato.

Guardare indietro per prevedere il futuro, analizzare gli errori commessi e imparare da essi, è una necessità imprescindibile, sulla quale c’è una unanimità di consenso. 

Solo in linea di principio, di fatto, per svariate ragioni,  non ultima il “carbone bagnato” dei decisori. Per quale ragione esiste da sempre tanta riluttanza a esaminare il passato? Non si tratta solo di comprendere come la società sia cambiata nel tempo, che pure ha una indubbia rilevanza per preservare l'identità e la cultura di una comunità o di una nazione, ma di delineare un futuro che rispetti e promuova valori e settori economici trascurati o sacrificati al Santo Gral, l’oro nero. 

Disporre di indizi e modelli è fondamentale per formulare previsioni e adattarsi ai cambiamenti futuri, cercando nuove opportunità, e prevederne le conseguenze.

La mancanza di cultura ambientalista, a livello locale e non solo, sottolinea l'importanza dell'istruzione per prendere decisioni informate e sostenibili sullo sviluppo economico e industriale, ed evitare così un uso indiscriminato e non regolamentato delle risorse naturali.

Indispensabile che le analisi su ciò che è avvenuto, semmai verranno fatte, non lancino giubbotti di salvataggio ai decisori, dal momento che ad annegare non sono stati loro, ma la comunità che ha subìto le conseguenze degli errori compiuti.