Una città sconvolta, ferita, mortificata faceva fatica a ritrovare la calma e il silenzio della sera in quel 21 novembre del 1983,
dopo le ore drammatiche dell'assalto al municipio ad opera di 10 mila persone inferocite che avevano imposto al sindaco, Giacomo Ventura, la revoca dell'ordinanza di sequestro penale delle costruzioni abusive a Gela. Il fumo usciva ancora dalle finestre del Comune, dato alle fiamme dai dimostranti, e si levava dai cumuli di documenti dell'urbanistica e degli uffici tecnici buttati per strada e incendiati. Dentro, nel palazzo di città sembrava che fossero passate mandrie di tori infuriati. Arredi, mobili, porte e finestre, apparecchiature e suppellettili, tutto distrutto, devastato. Si calcolarono danni per oltre un miliardo e mezzo di lire.
«Dopo quelle ore da incubo, in mano ai rivoltosi – ci racconta lo stesso avv. Ventura – ho vissuto giorni di profondo sconforto, malgrado il sostegno della mia famiglia. Pensavo di lasciare Gela e di trasferirmi nel Lazio. La Dc mi aveva lasciato solo e la città era assente. In giro trovai affisso un solo manifesto di solidarietà nei miei confronti: era quello del partito comunista". Gli altri non c'erano.
La Dc si svegliò dopo quasi un mese dalla rivolta degli abusivi. Per condannare quei fatti e dirsi a me vicina, organizzò un'assemblea nella restaurata aula consiliare, alla presenza dei vertici provinciali e dei leader delle varie correnti. "A Gela, tranne una piccola minoranza, eravamo tutti "dorotei", con leader il sen. Saverio Damaggio." Qualche anno dopo passammo alla corrente manniniana ma io e altri amici, nell'85-86, decidemmo di aderire al progetto politico del gruppo dei mattarelliani che con me nasceva in provincia di Caltanissetta.
«All'assemblea di solidarietà democristiana guardavo in faccia i partecipanti e mi resi conto che in quella sala tra tanti dc c'erano anche qualche colluso con gli organizzatori della rivolta. Non a caso il procuratore Patanè, disponendo nell'84 l'arresto di oltre 50 imputati nella sua ordinanza definì l'assalto al municipio frutto di un connubio affaristico-politico-mafioso". E io, nel mio intervento, pur senza fare nomi, lanciai precise accuse a certi traditori definendoli topi di fogna».
– Lei pensa che qualche suo amico dc volesse la sua morte?
«No. La mia morte no ma il mio isolamento politico quello sì. Nella Dc allora (lo dissi nel mio discorso) si celavano complici di quella gentaglia per meri interessi speculativi.
Mi avevano abbandonato tutti: la Dc e persino prefetto e questore. Con i rivoltosi che mi assediavano chiamai il prefetto Lalli chiedendo aiuto e consigli. Mi disse: se la cavi lei, sindaco, sono sicuro che saprà come fare. Ma non mi metta in difficoltà proprio ora che è nato il pentapartito. Con il Psi al governo a Roma non possiamo certo "caricare" gli edili in sciopero a Gela. Non avevano capito che dietro c'erano gli interessi della mafia.
«A Gela ero diventato popolarissimo. La gente mi stimava. In municipio arrivavano numerose le richieste di visite delle scolaresche al palazzo di città. "Gli studenti volevano incontrare il loro sindaco-eroe. Decisi di non partire più. Non cambiai idea nemmeno quando il mio mancato killer, un minorenne che voleva da me un posto di lavoro, mi aggredì colpendomi con un pugno all'occhio destro. Gli concessi il perdono giudiziale e qualcuno mi criticò.
Gli alleati che davano alla mia giunta Dc-Pli l'appoggio esterno vollero entrare a pieno titolo in giunta a condizione che fossi io a guidare l'esecutivo. Entrano così in amministrazione anche Enzo Tignino ed Enzo Antonuccio (Psi), Domenico Faraci (Pri), Vincenzo Giunta (Psdi), Giovanni Lopes (Dc), tutti esponenti politici di primo piano. Qualcuno ebbe a dire che c'erano "troppi galli nel pollaio" e attribuivano alla giunta vita breve. Invece lavorammo bene e durammo 13 mesi, più di tante altre amministrazioni. Restava in piedi il grave problema dell'abusivismo edilizio. Rai3 mi invitò a Roma a un dibattito con il sindaco della capitale, Ugo Vetere, e col sindaco di Venezia, Mario Rigo. Fuori non capivano come mai a Gela ci fosse tanta edilizia abusiva e perché mai con l'arrivo dell'Eni anziché diminuire l'emigrazione tendesse ad aumentare. Spiegai che prima della scoperta del petrolio, le famiglie contadine, spesso numerose, vivevano in monolocali angusti in promiscuità e con l'asino o il mulo in un angolo».
L'arrivo dell'Eni e del benessere economico portò la gente a farsi la casa. Comprarla dai costruttori costava un occhio della testa, farsela senza licenza su terreni lottizzati abusivamente era più facile. In tre giorni i gelesi, bravi muratori, erano in grado di costruire la struttura grezza di un piano. E se i soldi non venivano dall'Eni, il gelese andava a guadagnarseli in Germania pur di non esser da meno del dirimpettaio. La genesi dell'abusivismo a Gela sta tutta qui: il bisogno di una casa, la maestria del gelese nel costruirsela, bravura nel proteggere i risparmi dall'inflazione, costo alto delle aree edificabili e blocco delle licenze edilizie.
«La soluzione a tutto questo fu l'illegalità: illegale la lottizzazione di aree agricole; illegale la costruzione di palazzi su fazzoletti di terra. In pochi anni sorsero decine di migliaia di vani. Fu il caos. Bisognava porre un freno al fenomeno. Decisi così di ricorrere al sequestro penale ed emisi l'ordinanza contro la quale speculatori e criminalità organizzata scatenarono la rivolta. Fermai l'abusivismo ma non ordinai mai una demolizione perché lo considerai fenomeno sociale frutto di necessità. Fui incriminato perciò per omissione di atti d'ufficio e poi prosciolto per sopravvenuta amnistia. Nell'ottobre dell'84 come annunciato mi dimisi da sindaco. Nel '92, in concomitanza con lo scioglimento del consiglio comunale per sospetti condizionamenti mafiosi, lasciai la politica per ritornarvi nel 2001, con Berlusconi, quando a furor di popolo fui eletto deputato nel maggioritario per Forza Italia ottenendo più voti di quelli riportati dalla mia stessa coalizione di centro-destra nel proporzionale».
«A 40 anni dall'assalto al municipio, Gela si chiede ancora cosa fare del suo patrimonio abitativo nato abusivamente a nord della città, non per l'ingordigia di palazzinari ma per colpa della speculazione fondiaria che trovò complicità nella classe politica al potere e tra i notai.
Si registravano atti di compravendita di terreni agricoli da 300 metri quadrati frutto di una lottizzazione arbitraria e speculativa. Oggi ci troviamo con una città di 75mila abitanti dove sono stati realizzati vani in eccesso per 300 mila persone che rimarranno eternamente inutilizzati e con 3.000 fabbricati per i quali non sono state esaminate ancora le domande di sanatoria».
Speziale: «Gela ha case per 300 mila abitanti»
A scattare questa istantanea sull'abusivismo gelese è l'ex deputato regionale del Pd, Lillo Speziale, che ricorda lo scontro politico con la Dc riguardo alla programmazione dello sviluppo urbanistico del nostro territorio.
«Il piano regolatore approvato dal consiglio comunale nel 1972 – ricorda Speziale – prevedeva un'espansione est-ovest della città, cioè verso Manfria. Invece la Dc, favorendo la speculazione fondiaria, volle la ricucitura con i quartieri abusivi che stavano sorgendo a nord del centro abitato. Questa scelta avrebbe dovuto prevedere l'urbanizzazione delle zone edificate e un recupero antisismico massiccio degli edifici costruiti abusivamente. Proposi un "piano del colore" che era simile al superbonus energetico 110% di oggi. L'abusivo avrebbe contribuito con gli oneri di urbanizzazione. I soldi invece di darli al comune li avrebbe usati per recuperare la sua casa. Non se ne fece nulla per il voto contrario della Dc.
«Invece le leggi di sanatoria approvate nell'85 (la n. 47 Craxi-Nicolazzi) e nel '94 (la n. 724 di Berlusconi) tendevano a fare cassa, concedendo l'estinzione del reato penale e la sanatoria amministrativa in cambio del pagamento di una oblazione, una tassa simile all'indulgenza religiosa, che impose sacrifici senza garantire le opere di urbanizzazione. Berlusconi arrivò a sanare anche le costruzioni sorte in riva al mare, nelle aree demaniali e nelle zone con vincoli paesaggistici. Meglio la legge regionale n. 37 nata su proposta del gelese on. Salvatore Placenti che prevedeva con la sanatoria penale e amministrativa anche i piani di recupero dei quartieri abusivi che Gela ha utilizzato appieno. Ma molto resta ancora da fare. E intanto si vive nel timore che un terremoto possa far succedere a Gela quel che purtroppo è drammaticamente accaduto in Turchia e in Siria».
Parla il geologo Giuseppe Collura
«Un terremoto a Gela? Sarebbe peggio di Turchia e Siria»
«Difficilmente a Gela potrebbero verificarsi terremoti come quello terrificante del confine turco-siriano di pochi giorni fa. Ma se dovesse accadere da noi, come nel '68 nel Belice, o nel 1693 nella Val di Noto oppure ancora nel 1908 con tsunami a Messina, sarebbe la devastazione totale».
A parlare è l'ex presidente regionale dei geologici siciliani, Giuseppe Collura, che abbiamo interpellato per capire quale pericolo corre il territorio gelese per via della fragilità del suo patrimonio abitativo nato dal dilagante fenomeno dell'abusivismo edilizio.
«Gela – ci spiega Collura – è una città a rischio altissimo, con una grossa porzione di edificato soggetto a crolli perché al patrimonio abitativo ricostruito nel dopoguerra, in assenza di leggi antisismiche, dobbiamo aggiungere l'abusivismo edilizio ovvero la totale mancanza di regole costruttive, che ha portato a edificare senza criterio, pietra su pietra, senza alcuna certezza sulla qualità del materiale, del calcestruzzo, del ferro. E come se non bastasse, i terreni alluvionali della piana su cui sorgono non fanno altro che amplificare la frequenza e l'effetto distruttivo delle onde sismiche».
– Le sanatorie allora non sono servite a nulla?
«No, hanno fatto cassa per lo Stato e messo pace sociale con politici e amministratori perché eventuali demolizioni avrebbero scatenato l'insurrezione popolare con lo sconvolgimento dell'ordine pubblico».
– Che fare ora?
«Bisognerebbe procedere all'adeguamento sismico attraverso un piano nazionale del "sisma bonus" come si è fatto col superbonus 110%, per sanare il sanabile o eventualmente demolire e ricostruire».
– Ha idea dell'entità dei costi?
«Mi rendo conto. Ma le rispondo con una domanda: sapete quanto costa la ricostruzione del dopo terremoto? Sono 20 volte, 30 volte i normali interventi di consolidamento cui è da aggiungere l'incalcolabile valore delle vite umane che si perdono. Quindi prevenire è doppiamente meglio che curare».