Il Liceo Eschilo traduce Vasco, L’alba chiara di Gela

Il Liceo Eschilo traduce Vasco, L’alba chiara di Gela

La scuola è un contenitore di energie straordinario.

Può tramutarsi in un ghetto, o in un favoloso incubatore di risorse. Se essa traccia un confine invalicabile fra sé, il mondo esterno e le risorse che tiene in serbo, se rinuncia alle lezioni di vita che solo il mondo esterno è capace di dare, ha fallito il suo compito. L’istruzione che la scuola offre non si si misura con ciò che sta fuori. Non ci sono mura da abbattere, come una volta, perché il mondo esterno entra nelle aule scolastiche attraverso i congegni elettronici, che educano o diseducano, senza che alcuno possa farci niente. 

L’idea che basti vietare i cellulari nelle ore di lezione per ottenere attenzione è destinata a deludere. La scuola può vincere se compete con le diavolerie della tecnica, impossessandosi delle sue funzioni, parlando la stessa lingua, scendendo sul ring delle notizia, mostrando la sua fellonia, impudenza, inaffidabilità

La scuola, in una parola, non può permettersi confini, che le discipline della formazione – didattica, pedagogia ecc – si sono date quando non dovevano competere con il mondo esterno. Oggi i confini sono saltati, tutti quanti. Non si può lasciare fuori alcunché. La scuola deve investire sulle proprie risorse, finora in larga parte inespresse, senza temere l’insuccesso; se scommette su quel poco che sa costruendo attorno a sé il filo spinato, è perdente. 

La mia esperienza sui banchi di scuola – e in cattedra – mi induce a credere che una scuola aperta, capace di affrontare un percorso d’istruzione “inquinato” dagli agenti  esterni, può lenire il peso delle infamie e dei tradimenti che sopporta. Non diverrà mai un luogo di svago o intrattenimento; è studio, è lavoro, è applicazione; ma può costituire una esperienza essenziale nella crescita formativa di  ogni individuo.

Ogni lezione, ogni conversazione dedicata ad un tema, può concludersi con una scoperta sia da parte dei giovani studenti che da parte degli insegnanti. Scendendo dalla cattedra, gli insegnanti apprendono ciò che ogni allievo ha in serbo, chi è e come manifesta la sua personalità; salendo in cattedra, grazie alle competenze acquisite, gli studenti d’altra parte acquisiscono fiducia in se stessi e accedono ai gradini superiori del loro percorso educativo 

Queste osservazioni mi sono state suggerite da una “trovata” intelligente di docenti e studenti del Liceo Classico Eschilo di Gela, scuola che ho frequentato per otto anni ed alla quale debbo ciò che sono. Seguendo il telegiornale, ho appreso che due studenti, Angelo e Simone, hanno tradotto e cantato uno dei successi di un rocker che spopola in Italia, Vasco Rossi (nella foto). Albachiara è diventato “Respiras lente ne rumores facias”. Il rock con un abito dell’antica Roma. 

Com’è avvenuto questo piccolo miracolo? La concomitanza di alcuni fattori: un ambiente scolastico aperto, docenti che vivono il loro tempo, una guida giovane. Le due insegnanti di latino del Liceo, Lella Oresti e Concetta Massaro, amano il rock, e credono che il latino sia una lingua tutt’altro che morta. Ciò che hanno fatto, grazie anche ai loro ragazzi, è la metafora della scuola come dovrebbe essere: ragazzi, insegnanti, preside entusiasti.

Vasco Rossi, il primo a dare visibilità a Angelo e Simone, rocker latinisti. Angelo ha cantato in latino durante il telegiornale di Sky, “a cappella”.  “Ci siamo divertiti”, hanno detto i ragazzi. “Volevamo appassionarli a questa lingua, un concerto rock trasmette entusiasmo ed empatia – spiega la prof. Massaro – così come un tempo faceva l’aedo, il cantore, figura vicina agli artisti del mondo di oggi. La musica può trasmettere valori importanti come quelli del mondo classico, valori che i ragazzi apprezzano quando vengono proposti nel modo giusto: bisogna stimolare la loro curiosità, puntando sul concetto di meraviglia”. 

“Albachiara presenta un modello di semplicità che non appartiene ai ragazzi di oggi – aggiunge la prof. Oresti – eppure può essere proprio il linguaggio universale della musica a dare loro la possibilità di riflettere su questo tema, di comprendere che forse c’è un equilibrio virtuoso che si può raggiungere”. “Il linguaggio dei giovani può essere arricchito e reso amabile”, ha osservato il preside del Liceo Classico Eschilo, Maurizio Tedesco: “Per noi si tratta di una grande soddisfazione – spiega – questa esperienza dimostra che si può rendere viva la lingua latina attraverso il gioco. E’ un progetto didattico che funziona, il segno di un liceo classico che sta al passo con i tempi e vuole dire la sua, sempre”. 

La lingua latina non va nemmeno riesumata, essa è più viva che mai e si trova in tutte le lingue romanze (italiano, spagnolo, francese ) e nei dialetti. E’ la radice culturale, il terreno nel quale si semina il sapere e lo si trasmette, attraverso le parole, agli uomini. E’ il medium relazionale più vecchio e più noto, la lingua che possiede una logica ed una struttura razionale e compiuta, tanto da trasmettere un pensiero, una norma, un modo di essere con espressioni apparentemente semplici.

Possiede la virtù di obbligare colui che parla e l’altro che ascolta, ad andare al di là delle parole in sé, per sentirne il significato più profondo. Si possono allargare le braccia e mostrarsi sconsolati, sospirando con un “così stando le cose”. Ma se dici “rebus sic stantibus”, in lingua latina, comunichi qualcosa di più, uno stato d’animo, non ti sottrai alla riflessione, vivi con rispetto ciò che hai appena ascoltato, quasi che la sonorità trasmesse dalla espressione, il tono solenne ma gravido di sentimento e di passione, possegga una sua magia. Ipse dixit non è soltanto “l’ha detto lui stesso”, ma l’espressione di una tirannia valoriale, l’inutilità di una replica, la forza del carisma. 

E X Factor non è solo il marchio di un format musicale, ma una nota musicale essa stessa, un pensiero, una ambizione. Evoca il valore della competizione. Nelle aule di giustizia la lingua latina affianca da sempre l’italiano, disegnando per sé un ruolo primario. La lingua latina ha il suo algoritmo, è stata pensata, nel tempo, per esporre gli uomini davanti alle loro debolezze ed aiutarli a superarle. Trascina coloro che la usano, non viceversa. Chi ha seguito studi classici non dimenticherà mai quel brano del carme di Catullo: “Passer mortuus est meae puellae,/ passer, deliciae meae puellae.” Lo porterà con sé, finché ha vita, non se ne priverà mai. 

Ciò che hanno fatto ragazzi ed insegnanti del Liceo Classico va al di là dell’episodio in sé, pur rilevante. Finalmente, mi sono detto, Gela sconfina per qualcosa di buono. Testimonia che il confine dei propri limiti può essere superato, che c’è una meta da rincorrere.

L’episodio giunge in concomitanza della decisione di mantenere aperta la grande mostra dedicata ai luoghi di Ulisse, coronata da successo. La cultura e la storia di Gela antica sono uno scrigno prezioso, ancora inesplorato. Potrebbe fare uscire Gela dalla minorità, come sinonimo di guai, crimini, incompetenza, sciatteria. Può farci scordare quella città che sceglie di farsi rappresentare dall’unica parlamentare del pianeta che si ricandida e viene rieletta, lontano dalla sua sede di residenza, dopo avere disertato l’assemblea per l’intera legislatura? Non lo so, spero di no. 

I ragazzi di Gela, questo è certo, non l’hanno votata; non sanno solo scendere in piazza per pretendere una guida esperta nel loro futuro, come hanno fatto di recente, ma sanno cogliere, insieme a docenti illuminati, il senso della storia, incaricandosi di farla. Loro la soglia l’hanno superata.

Se non tentassimo mai di mostrarci un poco migliori di quello che effettivamente siamo, come potremmo migliorarci o svilupparci interiormente traendo spunti dal mondo esterno?”. Ervig Goffman, sociologo canadese, esprime così la sua fede negli uomini.

Goffman non conosce quale sia la soglia da superare, perché ogni individuo ne ha una, e nessun individuo è uguale ad un altro. Ciò che anche a lui interessa è quel confine, labile e misterioso, che esiste fra ciò che siamo e ciò che potremmo essere: quel confine che occorre attraversare, lasciandosi alle spalle lo spazio sicuro che abita per sperimentare la sensazione di sentirsi unici e al tempo stesso compresi.