Dopo la manifestazione della settimana scorsa davanti a palazzo di città in cui tutte le sigle sindacali ospedaliere si sono unite ai cittadini per denunciare la situazione di vero e proprio collasso in cui versa il “Vittorio Emanuele III”, qualcosa si è mosso a livello istituzionale, ma per ora tanto fumo e niente di concreto.
Il sindaco Lucio Greco, che ha tenuto a se la delega alla sanità, questo lunedì ha riunito una sorta di stati generali per fare lo stato dell’arte ma nulla di diverso è emerso rispetto a quanto era già stranoto a tutti. Presenti i vertici dell’Asp nissena, cioè l’ing. Alessandro Caltagirone, il dr. Salvatore Iacolino e la dr.ssa Marcella Santino, i parlamentari regionali e nazionali, sindacati, commissione sanità e consiglieri comunali.
Chi scrive non può esimersi dall’operare una premessa: con tutta franchezza, alla favoletta raccontata dall’attuale management, secondo cui tanti medici non vogliono venire a lavorare a Gela, non ci crede nemmeno un bambino e, a nostro avviso, semplicemente inaccettabile è l’idea che si deve stare zitti sulla condizione deficitaria del nosocomio gelese, perché lo renderebbe meno attrattivo per i medici ed allontanerebbe il loro interesse a lavorarci.
A parte che nessun management precedente è mai ricorso a questa sciocca e financo puerile scusa, ci sono migliaia di medici disposti a lavorare in zone di guerra o laddove il contesto ambientale presenta criticità ben più pesanti e gravose.
Cionondimeno, il primo cittadino ha affermato però di aver «ascoltato con interesse l’intervento dei vertici dell’Asp» e di comprendere «che hanno fatto quanto in loro potere per reclutare personale, ma non è stato sufficiente», per cui «Palermo va chiamata in causa e io stesso – ha garantito - mi sono già attivato per un confronto urgente con il neo assessore regionale alla sanità Giovanna Volo. Ma niente scaricabarile: ognuno si assuma le proprie responsabilità e faccia il proprio lavoro». Insomma, «siamo in emergenza – ha affermato – e servono soluzioni straordinarie».
In parole povere, per il sindaco di Gela, alcuni problemi dell’ospedale sono sicuramente di pertinenza della direzione strategica dell’Asp; per altri, invece, occorre l’intervento tanto del legislatore nazionale.
Non solo, il primo cittadino avrebbe stilato un programma che prevede come prossimo passo la convocazione di una conferenza dei sindaci finalizzata ad allargare il campo delle carenze sanitarie a livello provinciale ed arrivare a Palermo con una piattaforma rivendicativa ben stilataIn sintesi, pertanto, per trovare soluzioni straordinarie all’emergenza occorre sperare in normative ad hoc da parte del parlamento nazionale e dell’assemblea regionale.
Nelle more, serviranno ben due conferenze dei sindaci per arrivare ad un tavolo regionale da tenersi a Gela con una piattaforma rivendicativa provinciale. Evidentemente, il sindaco vuole riprovarci: dopo aver cercato la sponda degli altri sindaci in seno all’Ati in tema di servizio idrico ed in seno alla Srr4 in tema di rifiuti, non trovandone alcuna in entrambi i casi, vuole farsi rispondere picche anche in tema di sanità.
Di tavolo permanente regionale parla anche il segretario confederale Ugl, Alario, ma inteso come approfondimento e monitoraggio costante sulla condizione dell’ospedale gelese, punto di riferimento non solo della sesta città siciliana ma anche di comprensorio con un bacino non indifferente. Per il sindcalista gelese non serve infatti indirizzare il problema in sede di conferenza dei sindaci e sulla gestione del management dell’Asp il suo giudizio è ampiamente critico.
Ad agire un po’ a sorpresa, intanto, è l’on. Vittoria Brambilla che ha presentato una interrogazione al ministro della salute, Orazio Schillaci, per sapere se lo stesso è «a conoscenza della situazione» in cui versa l’ospedale di Gela e «quali iniziative intenda intraprendere per assicurare i livelli essenziali di assistenza agli utenti del presidio ospedaliero». Secondo quanto si legge nella nota inviata ai media, la deputata eletta nel collegio maggioritario di Gela ha ricordato che il presidio ospedaliero «ha subito negli anni un grave declassamento, con la chiusura di alcuni reparti»