«Le prove orali, documentali e logiche raccolte, pur avendo consentito di delineare il contesto all’interno del quale maturò il delitto, non permettono la individuazione degli esecutori materiali né, per quanto concerne i mandanti, possono condurre oltre i sospetti e le illazioni».
In marzo del 2003 il pubblico ministero di Pavia, Vincenzo Calia, si arrende. L’inchiesta sull’assassinio del presidente dell’Eni, Enrico Mattei, è stata archiviata. Approdata nel porto delle nebbie, abitato dai fantasmi della Repubblica italiana. Verrà disseppellita e poi definitivamente inumata.
La si può leggere nei libri di storia, che non arrivano sui banchi di scuola. Il grande intrigo che priva l’Italia del suo capitano d’industria più celebre, meriterebbe invece di essere appreso, studiato, per inaugurare la consuetudine, finora sconosciuta, alla complessità, alla storia azzoppata, senza verità e senza giustizia, che pone tante domande e dà poche scarne risposte.
La sera del 27 ottobre del 1962, sessanta anni or sono, venne ucciso il Presidente dell’Eni, Enrico Mattei. Ebbe una morte atroce. Il suo aereo esplose in aria. Era stato sabotato. Una bomba, collegata al sistema di discesa, provocò una esplosione e fece precipitare il velivolo.
Con Mattei si trovavano a bordo, il pilota e un giornalista americano. Nessun segnale di allarme, nessun SOS. La tragedia si è compiuta in una frazione di secondo, nona ha lasciato scampo a coloro che si trovavano a bordo.
Coloro che videro, da terra, nella campagna di Bascapè, la fiammata improvvisa, assistettero impotenti al precipitarsi dell’aereo. Delle vittime furono trovate le povere spoglie. Il mucchio di rottami avrebbe potuto raccontare l’accaduto, ma è stato manomesso, sottoposto al lavaggio, come se nulla fosse successo. Non è stato trascurato nulla, perché non si lasciassero indizi in grado di fornire informazioni utili.
L’attentato è stato pianificato minuziosamente, e sapientemente protetto da investigatori solerti. Il magistrato di Pavia, Vincenzo Calia, si arrende, dopo una lunga indagine: “Solo la volontà di nascondere il delitto, afferma, “giustifica, manipolazioni, soppressione di prove e omissione delle indagini che avrebbero potuto spiegare con facilità e per tempo le cause della caduta dell’I-SNA”. Dietro l’attentato ci sono professionisti del crimine, dotati di risorse illimitate.
Il movente è subito chiaro. Mattei è una minaccia per il business del petrolio, nelle mani delle potenze occidentali. Americani, francesi, inglesi, olandesi temono di perdere una egemonia planetaria sulle risorse energetiche, gas e petrolio. E quanto sia rilevante il business dell’energia lo stiamo sperimentando proprio in questi giorni. Chi apre il rubinetto del gas per venderlo, non ha solo un buon affare, ma possiede le sorti del mondo.
All’inizio degli anni sessanta, si svolge guerra fredda all’interno nella sfera occidentale del pianeta. L’Italia è un paria, uscita molto malconcia del secondo conflitto mondiale. : un paese consumatore, che non può decidere i costi dell’energia, gas e petrolio.
Enrico Mattei sfida le grandi compagnie petrolifere. Entra da amico in Medio Oriente, offrendo la metà dei guadagni dell’estrazione del petrolio, invece che il 25 per cento assegnato dal cartello petrolifero. In Algeria affianca gli indipendentisti che combattono contro la Francia, e progetta il metanodottto attraverso il quale portare il gas in Italia e, attraverso l’Italia, nel Continente; in Europa avvia accordi con l’Unione Sovietica, utilizzando il know how sovietico nelle trivellazioni a grandi profondità. Si accredita di un proprio bacino petrolifero, scoperto nella piana e al largo del golfo di Gela. Il cane a sei zampe diventa così una compagnia petrolifera, grazie ai pozzi petroliferi di Gela.
Non è tutto oro quello che luccica: l’oro nero gelese è bitume, ma prezioso quanto un diamante n ei progetti di Mattei. Esso permette di fare dell’Italia un paese produttore e di sedere accanto agli altri paesi produttori, che le compagnie petrolifere saccheggiano grazie alla loro incontrastata egemonia.
L’Italia, fa sapere Mattei attraverso i media, non deve questuare a destra e manca, gli va assicurato il fabbisogno energetico che mandi avanti le sue industrie senza dovere mendicare alcunché dalle Sette Sorelle, il cartello del petrolio mondiale. I Paesi produttori osannano il capitano d’industria italiano; in patria e nelle capitali del business Mattei è invece il nemico pubblico numero uno.
Vola così alto, che può fare a meno di chiunque. Sceglie i compagni di strada, gli alleati e gli avversari, non sottostà agli ordini di scuderia del partito, la Dc, e alla politica estera del governo.
Valica la Cortina di ferro con nonchalance, rompendo l’isolamento dell’Urss. Non può essere fermato, e non ci provano nemmeno a farlo. Enrico Mattei, è rimasto in montagna, è un partigiano combattente nella guerra del petrolio, si sente capo di una brigata che deve liberare l’Italia dei suoi padroni occulti, le Sette Sorelle. E’ a questo punto che viene presa la decisione finale, il nemico va eliminato. Fisicamente, perché il cane a sei zampi si regge su di lui, e nessun altro. E’ un uomo solo al comando. Bersaglio facile.
Su quel velivolo sarebbero dovuti salire il Presidente della Regione siciliana, D’Angelo, e il presidente dell’Ems, Graziano Verzotto, segretario regionale della Dc. Entrambi declinarono l’invito. Verzotto disse di dover partecipare al direttivo locale della Dc gelese, D’Angelo per motivi che non conosco.
La Dc di Gela era commissariata, non aveva un organo direttivo. I fondi neri dell’Ems sono depositati nella Banca popolare di Milano, la banca di Michele Sindona, il banchiere mandato in Sicilia negli anni settanta per portare Cosa nostra alla causa del Principe Borghese, carismatico comandante della Decima Mas, gli U Boat italiani, apprezzato Oltreoceano e da Mauro De Mauro, membro della Decima Mas.
Il fango che incrosta i relitti del Morane-Saulnier sparsi nella campagna di Bascapè, è quel che resta dei piani di Mattei. Dopo la morte, il suo successore è il principale competitore di Mattei, Eugenio Cefis, presidente della Montedison, riferimento nazionale dell’industria chimica privata, che pochi anni dopo ripara in Svizzera, uscendo di scena. La scelta del governo lascia senza fiato, è come irridere ogni sospetto. E’ come consegnare al nemico ogni cosa.
Ben tre inchieste giudiziarie si concludono con un nulla di fatto. Viene tirata in ballo la mafia, come esecutrice del sabotaggio. Ne parlano i pentiti, fra gli altri Tommaso Buscetta, e alcuni picciotti di Gela, cui sarebbe stata consegnata la “commessa”, liquidazione di Mattei, poi rientrata perché non era cosa da dilettanti.
Le inchieste tirano in ballo il giornalista dell’Ora, Mauro De Mauro, incaricato dal regista Rosi, di svolgere ricerche sulla morte di Mattei, eliminato perché sapeva troppo e gestiva in proprio le informazioni acquisite. La fonte di De Mauro? Valerio Borghese, il principe nero. L’attentato si tinge ancora più di mistero. Ma resta la trama di un delitto senza colpevoli, uno dei misteri insoluti dell’Italia repubblicana.
Il crimine priva l’Italia del suo “capitano”, e le partecipazioni statali del suo mentore. L’Eni non gioca più in proprio, tratta, s’accorda, non scompiglia i piani di alcuno, fa il suo mestiere, estrarre petrolio, raffinare, produrre materia prima della chimica. Fino a che non entra nella sua pancia la finanza privata, che ne diviene proprietaria per due terzi circa (70 per cento). Resta l’imprinting del Capo, il suo carisma, la sua epopea, la sua condanna a morte per avere osato interferire sul grande business dell’energia.
Cambia tutto, dunque. E Gela diventa una pedina, come altre, negli affari dell’Eni. Il Presidente parlava ai siciliani, come ai suoi partigiani. Ed a credergli erano in tanti, perché vedeva in grande: In breve tempo Gela ebbe l’aeroporto a Ponte Olivo, la superstrada Gela-Catania, la scuola del Mediterraneo (l’attuale Istituto Chimico). Era legittimo aspettarsi altro.
Gela è scomparsa dai radar dell’Eni. Ed in qualche misura per sua colpa. Avrebbe dovuto essere rappresentata nelle inchieste sull’assassinio del Presidente dell’Eni. Ha perso il suo mentore, il suo santo protettore.
Aveva il dovere morale di assumere la parte civile, per far sapere ciò che è avvenuto dopo la scomparsa di Mattei. Quale pesante gravame ha sopportato. Ha perso il futuro. E non ha ricevuto alcun indennizzo