Sappiamo tutti che eventi straordinari che vanno dai terremoti alle alluvioni inevitabilmente creano danni a cose e, purtroppo, anche a persone.
Se prendiamo ad esempio le catastrofi alluvionali degli ultimi dieci anni in Italia, realizziamo che praticamente ogni anno è stato interessato da tali fenomeni, i quali a loro volta, nel colpire i territori hanno dimostrato di non fare differenze tra nord, centro e sud del paese. Dal Piemonte e Liguria alle Dolomiti, per poi scendere in Abruzzo e fino alla Calabra ionica nonché, in Sicilia, nel messinese e nel palermitano. Crolli, devastazioni, frane, fiumi debordati ed in alcuni casi anche perdite di vite umane.
E' pur vero che il progresso scientifico ha fatto passi da gigante. Si può anche arrivare a prevedere con puntuale precisione il verificarsi dell'evento, specie in campo meteorologico, ma non si può preventivarne con certezza la portata. Si può però preventivamente alzare il livello di "tenuta" a fronte di eventi di tal pericolo ed in questo il quadro infrastrutturale italiano è chiaro, con isole e meridione che pagano inevitabilmente dazio.
Colpa di uno Stato sempre più avaro? Non si direbbe, almeno nel campo della solidarietà, semmai è da chiedersi, secondo quanto relaziona la Corte dei Conti su "Gli interventi delle Amministrazioni dello Stato per la mitigazione del rischio idrogeologico", perché alla Sicilia sono state assegnate le maggiori risorse con circa 789 milioni di euro, ma di questi rimangono inevasi ben 761 mln. giacché ne sono stati spesi soltanto 28 mln.
Certo, prevedere il verificarsi di un evento meteorologico anzitempo ti permette di cercare di correre ai ripari, con la pulizia straordinaria di tombini, caditoie e canali soprattutto nelle zone sensibili, cioè nei punti più nevralgici e critici delle arterie cittadine, ma non ti consente di recuperare l'enorme ritardo cumulato in anni non solo di mancata programmazione, ma anche di scarsa resa persino nella gestione dell'ordinario.
Perché una città civile di settantamila abitanti non dovrebbe avere strade colabrodo, cantieri perennemente aperti e quant'altro. Il tutto in un contesto urbanistico sviluppatosi in maniera disordinata e disorganica, senza peraltro il rispetto in alcune zone dei parametri minimi idrogeologici. Non è un caso che basta un mezzoretta di violenta perturbazione per ritrovarsi con l'auto in "aquaplaning" nei vari asfalti stradali urbani.
In proposito, l’appassionato ed esperto in storia patria, prof. Nuccio Mulè, in un post su “facebook” ha ricordato quanto successo a Gela con l’alluvione dell’ottobre del 1958, vale a dire 53 anni fa, che coinvolse alcune zone della città, ma soprattutto il villaggio Aldisio e le diverse contrade della piana di Gela: «con centinaia di persone sinistrate – scrive Mulè nella sua bacheca “social” - e il danneggiamento di numerosi fabbricati e vie pubbliche, compresa l’ex S.S. 115, oggi via Venezia. I danni allora, per circa 500 ettari di terreno devastato, ammontarono a più di 200 milioni delle vecchie lire, oggi corrispondenti a circa sei miliardi e duecento milioni di lire ovvero più di tre milioni di euro attuali».