I modi di farsi ricordare sono infiniti quanto i modi di farsi dimenticare, il bisogno di cancellare la memoria è forte quanto quello di impadronirsi di essa.
La memoria è l'ombra temporale dell'uomo. Uomini che avrebbero voluto non essere mai nati per non lasciare traccia di sé, hanno ottenuto dalla memoria il dono dell'esistenza, uomini che hanno vissuto ogni istante della loro vita con la pienezza dell'eternità, sono stati condannati all'oblio. La memoria "ricomincia" la storia di una persona o la seppellisce. E, talvolta, la trasforma in mito; ma quando ciò avviene, l'uomo non c’è più, c’è solo il mito.
Nunzio Sciandrello, letterato e uomo di scuola, è un mito più che un ricordo. Non può essere raccontato, ma evocato. Non ha lasciato scritti, con l’eccezione di alcuni articoli, in generale polemici. Della sua arte di insegnare e di divulgare il sapere non v’è traccia.
Di questa assenza mi sono rammaricato tante volte. E’ così singolare e inspiegabile che mi chiedo se non abbia voluto consapevolmente offrire di sé una memoria orale, la vita, da leggere come fosse un libro. Una personalità così complessa, e per molti versi straordinaria, potrebbe essere narrata da una personalità altrettanto speciale.
Carl Jung, il grande psicologo, si sarebbe innamorato di Nunzio Sciandrello (nella foto), gli avrebbe dedicato tempo ed affettività. Forse gli avrebbe fatto perdere il sonno, dopo essersi fatto condurre per mano, l’avrebbe lasciato in mezzo al guado sul più bello, con tutti i quesiti irrisolti, le contraddizioni inspiegabili, l’intelligenza acuta e sghemba.
Nunzio Sciandrello, professore di lettere al Liceo Classico Eschilo, preside all’istituto magistrale e al liceo scientifico, sempre a Gela, è uno dei maggiori uomini di cultura nati e vissuti a Gela. Eclettico e geniale, possedeva una intelligenza brillante, un sapere senza limiti, una naturale propensione all’insegnamento. Era un lettore inarrivabile della Commedia di Dante Alighieri.
In cattedra stregava i suoi studenti, li faceva innamorare di sé. Aveva carisma, a “voce”, tutto ciò che occorre per incantare l’uditorio. E’ stato il mio professore di lettere per tre anni al classico, il mio preside all’istituto magistrale, mio amico e compagno di lunghe passeggiate. Mi piaceva ascoltarlo, parlargli, condividere o dissentire: parlava di tutto, sempre in modo forbito, con ironia.
Mi metteva alla prova, mi estraniava dalla realtà, mi costringeva a rincorrerlo nei suoi viaggi letterari o terribilmente terreni. Innamorava e s’innamorava di tante cose. E quando avveniva, scriveva in greco antico le sue lettere d’amore, che nessuno avrebbe potuto leggere. Recitava se stesso, calcava il palcoscenico virtuale, ovunque si trovasse. Declamava più che parlare.
E osservava con occhi sghembi i suoi interlocutori. Gli si leggeva nelle pupille il pregiudizio, qualunque esso fosse, buono o cattivo. E non faceva niente per nasconderlo. S’accendeva per un nonnulla, snobbava questioni importanti, ma rituali, comuni. Il suo demone aveva bisogno di fuoco “proprio” per accendersi.
Ebbi la fortuna di entrare nelle sue grazie. Mi ha regalato autostima e sicurezza nel lavoro che mi accingevo a fare e che aveva a che fare con la lingua italiana e i suoi dei. Devo a lui il senso critico. Un uomo così suscita emozioni, speculazioni, pensieri, idee nuove, induce a difendere le proprie ragioni, a scovare quel che c’è di sbagliato nei pensieri più frequentati.
Il suo perenne sorriso era una maschera teatrale, un lasciapassare: potevi confutare le sue argomentazioni. Non era permesso a tutti. Un ossimoro: umorale e selettivo, empatico e amicale, o altero e scorbutico, disinibito e timido, imprevedibile e scontato. Un uomo di carattere… senza carattere. Seduceva e si lasciava sedurre. Non amava la cattedra, virtuale o reale, ma gli capitava di ergersi su di essa e sovrastare gli altri. Non gli piaceva duellare, eppure ingaggiava polemiche aspre e non sempre di alto profilo.
Di sicuro con lui non ci si poteva annoiare.
Si serviva delle parole, scritte, per combattere le sue battaglie di principio. Erano le parole la sua spada, il coltello sguainato. Aveva il suo virtuale cerchio magico e ad esso dava conto, ma fino a un certo punto. Non si faceva ingabbiare da alcuno, ma tradiva la sua volontà con una leggerezza sorprendente. La sua voce era quella di Arnoldo Foà, calda e penetrante. Recitava la Commedia dell’Alighieri – indimenticabile nel V Canto dell’Inferno – con tale forza e seduzione, da lasciare senza fiato.
Lontano anni luce dai politicanti e dalla politica, si fece sedurre dal cerchio magico a candidarsi, che lo convinse ad entrare in consiglio comunale. Era il tempo in cui i partiti cercavano professori, medici ed avvocati, a patto che fossero personaggi dotati di visibilità.
E chi più di Nunzio Sciandrello poteva vantarne? Si candidò in consiglio comunale come indipendente nella lista comunista, fu eletto, poi in corso d’opera si fece persuadere della necessità di cambiare casacca. Non ho mai saputo perché l’abbia fatto, è possibile che abbia obbedito alla sua natura, insofferente. Naturalmente divenne bersaglio della parte politica che l’aveva candidato.
Quando presentai, nel 1991, la mia antologia per la scuola – (Le Mafie) – scrisse un corsivo su questo giornale, che ancora conservo. “Anche se la scuola si è aperta al sociale, per quanto concerne i problemi contemporanei, i giovani sono disorientati, frastornati, catechizzati da libri fuorvianti, metodologie acritiche, dall’abitudine ormai inveterata di trovarsi difronte ad argomenti di routine.
Basti accennare all’obbrobrioso e perverso costume della presunta “ricerca” e della ripetizione, a tutti i livelli, di problematiche che le antologie, maldestramente propongono, maldestramente i docenti impongono, maldestramente gli alunni tentano di seguire, senza riuscire a tradire del tutto la loro sfiducia e la loro insofferenza.”
Non era un bastian contrario, ma un uomo di scuola, disilluso e scontento. Ma non per questo svogliato e assente.
Sul piatto della bilancia virtù e difetti forse si equivalgono. La sregolatezza aveva il pregio di contenuti solidi, i giudizi delle motivazioni chiare, le idee di una acuta speculazione. Inutile girarci attorno, è stato l’idolo della mia giovinezza. Quando ho visto “L’attimo fuggente”, lo splendido film interpretato da Robbie Williams, (il protagonista è un educatore controcorrente), mi è sembrato di vedere ed ascoltare lui, il mio prof d’italiano, che ci invitava a osare, a cambiare le cose, a cercare strade nuove, a vivere nella pianezza la nostra vita “catturando” ogni attimo, ogni attimo fuggente. Per non dovere scoprire, quando è ormai troppo tardi, di non avere vissuto.
Vorrei potergli dire ancora oggi, “O capitano, mio capitano…”, l’invocazione di quella poesia di Walt Whitman, che evoca l’attimo fuggente. Rivedo, grazie al prof. i miei occhi, pieni di speranza e di futuro, che pendono dalle labbra del mio maestro.
Nunzio Sciandrello se n’è andato nel 2004, settantottenne, lasciando tanto rimpianto. Non ero a Gela da più di venti anni. E la mia memoria l’aveva perso. Tante volte mi è capitato di scordare qualcuno, ma questa è la peggiore delle mie dimenticanze. La più ingiusta.