I protagonisti del primo reality della storia umana, i gladiatori del Circo Massimo, a conclusione di un duello vittorioso, rivolgevano lo sguardo verso l’Imperatore, cui spettava in ultima istanza il potere di vita o di morte dello sconfitto, a seconda del valore, del proprio umore e quello degli spettatori.
L’Imperatore, silente, volgeva il pollice verso l’alto, graziando lo sconfitto, o verso il basso per la sua esecuzione pubblica.
Ora provate a immaginare la città come un’arena e gli amministratori, come duellanti mai domi, impegnati a misurarsi con aria torva, come fosse una sfida all’ultimo sangue, nella quale le ragioni ed i torti non contano niente di fatto. E’ il clima del Circo Massimo che conta, il valore del consenso e del dissenso. Cesare sul palco non c’è, c’è il popolo urlante; i discorsi non raggiungono l’orecchio di alcuno nella bolgia, il futuro dei duellanti è deciso dalla severa, crudele volontà vuota di ragioni. Se la città si trasforma in un’arena, Cesare non si trova nei paraggi, il primo cittadino è un gladiatore disarmato, il pollice verso è la regola. A prescindere.
I protagonisti del primo reality della storia umana, i gladiatori del Circo Massimo, a conclusione di un duello vittorioso, rivolgevano lo sguardo verso l’Imperatore, cui spettava in ultima istanza il potere di vita o di morte dello sconfitto, a seconda del valore, del proprio umore e quello degli spettatori. L’Imperatore, silente, volgeva il pollice verso l’alto, graziando lo sconfitto, o verso il basso per la sua esecuzione pubblica.
Ora provate a immaginare la città come un’arena e gli amministratori, come duellanti mai domi, impegnati a misurarsi con aria torva, come fosse una sfida all’ultimo sangue, nella quale le ragioni ed i torti non contano niente di fatto. E’ il clima del Circo Massimo che conta, il valore del consenso e del dissenso. Cesare sul palco non c’è, c’è il popolo urlante; i discorsi non raggiungono l’orecchio di alcuno nella bolgia, il futuro dei duellanti è deciso dalla severa, crudele volontà vuota di ragioni. Se la città si trasforma in un’arena, Cesare non si trova nei paraggi, il primo cittadino è un gladiatore disarmato, il pollice verso è la regola. A prescindere.
La metafora è temeraria, d’accordo, ma senza gli eccessi non si riesce a dare testimonianza di una condizione. Il sindaco di qualunque città, piccola o grande, è in cima ai pensieri dei cittadini, nei giorni feriali e quelli comandati: qualunque cosa accada – la condotta fognaria, l’acqua che non arriva, i farabutti che imperversano, la scuola senza riscaldamento, le buche nelle strade, gli ospedali senza medici, la raccolta dei rifiuti, ecc. – è a lui che il cittadino rivolge il suo pensiero. Che non è affatto tenero.
Il sindaco gode del pregiudizio di incompetenza: è incapace, disonesto, incolto, fino a prova contraria. Non beneficia, come qualunque cittadino, del beneficio dell’innocenza fino al giudizio di colpevolezza. Il principio non vale per chi si assume l’onere di amministrare e rappresentare la città. E’ vero che il pregiudizio non nasce dal nulla, ma il fatto che valga per tutti è ignobile, e lascia fuori dalle istituzioni quanti non sono disposti ad essere “intruppati” fra i ladri fino a prova contraria.
So bene che, leggendomi, mi state addebitando l’assoluzione “pregiudiziale” del vostro sindaco, e che questo vi susciti irritazione, ma se riflettete con animo scevro da preconcetti, non potete che condividere le mie osservazioni, che non hanno nulla a che vedere con la pagella del sindaco.
Ritornare comunque, sic et simpliciter, sull’episodio che ha provocato tanta irritazione nei cittadini di Gela – mi riferisco alla sua requisitoria sull’assenza di senso civico – sarebbe una forzatura, perché molto è stato detto e scritto “di pancia” sull’argomento, mentre non lo è, una forzatura, se ci liberiamo del fardello accusatorio, contingente – nel nostro caso il fattore G, come Greco (nella foto) – e concentriamo la nostra attenzione sui limiti, angusti, dentro i quali ogni amministratore è costretto ad operare (al netto delle nefandezze che compie…) e di conseguenza sui reali poteri di cui essi dispongono per svolgere il compito che gli elettori gli hanno assegnato.
E’ una strada impervia quella che invita ad un’analisi del contesto, celeberrimo rebus sic stantibus, ma se si vuole capire come stanno le cose ed esprimere un pollice verso ragionato rivolto al basso (o in alto), bisogna adottare la conoscenza come stella polare. Lo affermo a ragion veduta e sulla base di una esperienza ricca e istruttiva, non solo grazie alle mie letture, che pure mi regalano un bagaglio di conoscenze utile. Ho avuto l’onere, e l’onore, di amministrare Gela come assessore comunale prima, in età giovanile, e come vice sindaco poi, ben due volte ed in anni diversi (1971 e 1995). Sia negli anni settanta, che a metà degli anni novanta, le circostanze m’imposero di assumere di fatto i poteri del sindaco a causa della temporanea assenza del primo cittadino (Aldo Clementino e Franco Gallo). Grazie, diciamo così, al mio spirito libero, errori e buone pratiche riguardano solo me.
Che cosa ho capito? Il potere, grande o piccolo che sia, ha delle ragioni che la politica non conosce. Io avevo gli anticorpi, una buona cosa: la politica politicante non riuscì ad infiltrarsi. E’ in questo trittico – potere, politica, carattere – che nuota ogni volontà, anche quella del primo cittadino, responsabile della sua città, e del cittadino comune, cui spetta di vigilare, conoscere, partecipare.
Il sindaco, anche questo ho percepito, è un generale senza esercito. I destinatari delle sue ordinanze non si comportano come soldati né come “fiduciari” di una disposizione; bene che vada la subiscono sospettando che essa non risolva il problema, anzi potrebbe aggravarlo, o sia comunque ben poca cosa rispetto a ciò che serve. Il cittadino, d’altra parte, è un signore che paga le tasse comunali con animo esacerbato, utilizza i servizi locali con animo esacerbato, vive la sua condizione d’impotenza con animo esacerbato. Uno stato d’animo che suscita sentimenti nobili – indignazione, irritazione, riprovazione, ecc. – che esauriscono, spesso, la sua voglia di rimboccarsi le maniche. Potrei citare mille esempi nella mia esperienza amministrativa, a Gela e altrove, per testimoniare, il senso d’impotenza dell’amministratore, imbrigliato fra leggi farraginose, regole ambigue, parti sociali dominanti, veti incrociati, bilanci in rosso, burocrazie insormontabili.
Tutto questo però non spiega la ragione per la quale fare il sindaco incontra il favore di molti (mentre sono sempre meno le vocazioni…), e mantiene, più forte che mai, al comune cittadino, il diritto di protestare, lamentare, irritarsi, riprovare, che è il sale della cittadinanza attiva.
Nel contesto che abbiamo delineato, a tinte fosche, resta uno spiraglio per la moral suasion (del sindaco) da un lato, e per la cittadinanza attivi dall’altro. Il magistero civile del cittadino comune, dunque. Educare al senso civico presuppone un salto culturale, che Gela deve imporsi non solo per sé, ma per il ruolo che ha avuto nel Paese, come testimone storica di una politica di interventi nel Mezzogiorno (meridionalismo strappato agli scaffali delle librerie), e come concreto contributo alla bilancia commerciale ed energetica.
Mi avvio alla conclusione. Con un accenno, ancora uno, alla requisitoria (sacrosanta, a mio avviso) del sindaco Greco – l’assenza di senso civico – e al localismo politico, di cui ho imparato le nozioni essenziali a Gela in un tempo ormai lontano, perfino i luoghi comuni, gli stereotipi, le modeste virtù. Calarsi nel passato, restando con i piedi a terra, cioè nel presente, offre lo spartito di un’aria composta a quattro mani, dove trovi il romanticismo di Chopin e l’effervescenza di Rossini. Ieri lo stallo amministrativo e politico era figlio del partitismo esasperato, una intollerabile sudditanza da togliere il respiro, da ideologie divisive, la subalternità al potere del management industriale di stanza a Gela e Milano e politico-burocratico, di stanza a Roma e Palermo.
Sull’altro piatto della bilancia, l’appartenenza allo partito, l’aspirazione a rendere migliore la società la fede insomma. Lo stallo e lo smarrimento odierno è, invece, ci fa sprofondare talvolta nel sottovuoto spinto, nel nulla, nelle lattine di tonno da aprire, senza aprirle, nei “vaffà” da abiurare al momento giusto: siamo orfani di modelli e uomini e donne di riferimento, non troviamo personaggi carismatici, progetti, obiettivi, e subiamo, inerti, il declino culturale e una sorta di sindrome dell’abbandono (exit strategy Eni,).
Quanto al “caso” tanto enfatizzato, le crude parole del sindaco, vale ricordare ciò che qualcuno disse un po' di tempo fa: la politica è fatta di tre “C”: circostanze, congiunture e congetture. Ognuna delle “C” può assolvere o condannare il Sindaco, incazzato ma meritevole d’indulgenza, non fosse altro che avendo un’età matura è responsabile della sua faccia. Ce l’ha messa, senza usare la maschera, nemmeno quella anti-Covid. Che vogliamo di più?
Chiudo con Biden, estrapolando dal suo sermone inaugurale, un avventuroso, sebbene rassicurante, calembour: il potere dell’esempio piuttosto che l’esempio del potere. Suona bene, vero?