Non manca proprio niente a Gela: c’è anche la cattedrale “laica”.
E’ la stazione ferroviaria senza treni. Sa di nuovo nonostante sia stata realizzata alcuni decenni or sono, come le auto lasciate in garage che conservano l’odore stantìo della fabbrica. Meriterebbe di essere stampigliata su un francobollo la stazione ferroviaria di Gela e fare il giro del mondo. Diventerebbe popolare e invierebbe un messaggio esemplare agli italiani.
I quali sono persuasi che a Gela si siano spesi un sacco di quattrini per fargli cambiare storia e geografia.
La stazione di Gela merita, eccome, di conquistarsi la ribalta nel Bel Paese, che sui binari vanta eccellenze e ferrivecchi senza vergogna.
La stazione di Gela merita, eccome, di conquistarsi la ribalta nel mondo squilibrato del trasporto pubblico del Bel Paese, che vanta eccellenze e ferrivecchi sui binari. Rappresenterebbe senza veli l’Altra Italia, quella delle cose fatte a metà, dell’insipienza, del politicume d’accatto, della frustrazione permanente eccetera. La sua unicità è tuttavia dovuta a una ragione ben precisa: nata per ospitare i passeggeri dei treni, è stata riciclata come front-desk di un bus parking, regina del trasporto su gomma. Ed è proprio questo contenitore ruspante che dà un senso alla sua esistenza.
I treni che si fermano nella stazione ferroviaria di Gela si contano sulle dita di una sola mano, e quelli che ancora viaggiano, lo fanno per “occhio di popolo”, più che per dare un servizio ai cittadini. Deserto, attorno alla cattedrale. Ricorda quel film di Totò capo stazione frustrato con paletta in mano, mai usata, che si vede passare sotto il naso i treni con il loro fischio assordante e insistito.
Quando c’era la vecchia stazione, un manufatto anni trenta suppongo, al tempo di Terranova di Sicilia, i treni si fermavano, e c’erano perfino i passeggeri che salivano a bordo. Arrivavano da Modica e concludevano la corsa a Palermo, cinque ore e mezzo circa per raggiungere la capitale. L’ho frequentata la vecchia stazione, faceva tenerezza, ma per me era un gioiellino perché mi permetteva di inviare gli articoli al Giornale di Sicilia con il mitico “fuori sacco”, la busta che godeva di un canale speciale e arrivava a destinazione impiegando lo stesso tempo dei passeggeri. Altri tempi, se provassi nostalgia dovrei cercarmi un terapista intelligente.
Le Ferrovie dello Stato, e Trenitalia, hanno voltato le spalle alla nuova stazione ferroviaria di Gela, attesa dalla comunità gelese come il segno di di una stagione di grandi cose. Appena inaugurata, alla fine degli anni '70, Palermo e Roma l’hanno ignorata, quasi fossero state costrette a subirla. Oggi chi vuole raggiungere Catania – su strada un’ora e mezzo il percorso – verrebbe consegnato dai Vigili Urbani ad un reparto neuro con la camicia di forza, a meno che non dichiari di avere scelto il treno per leggere tutto d’un fiato i Tre Moschettieri di Dumas, o finalmente procurarsi il piacere di assopirsi in solitudine facendosi cullare dai lievi movimenti della locomotiva.
Dopo il vernissage della nuova stazione, accolta da manifestazioni di giubilo contenuto ( quando abbiamo ciò che desideriamo, il valore delle cose si riduce, come quando acquisti una vettura nuova di zecca), è crollò il ponte che collegava Gela a Caltagirone su strada ferrata, e da allora le Ferrovie dello Stato hanno tirato un sospiro di sollievo, finalmente avrebbero potuto buttare la chiave. Il gioco non vale la candela, detto papale papale.
Quelli che fanno i conti a Roma hanno scoperto che il numero di passeggeri molto modesto non giustifica in alcun modo un investimento. La concorrenza del trasporto su gomma è imbattibile: percorsi rapidi, bus confortevoli. Ed hanno pure ragione. Ma c’è un dettaglio che sfugge ai “ragionieri” romani: il trasporto su gomma fa la parte del leone perché così hanno voluto. Si è investito sul gommato, ma non sui binari, facendo nascere e crescere il trasporto su strada. Autovetture e bus, dunque. La marginalità del treno è stata una scelta univoca per più di mezzo secolo.
E non prendiamocela con la Fiat che doveva vendere le automobili e faceva lobby con successo a Roma grazie all’Avvocato ed ai suoi fratelli di affari. Prendiamocela piuttosto con i rappresentanti della prestigiosa Regione a Statuto speciale, così bravi ad urlare la loro rabbia appena si toccano i privilegi cartacei, ma del tutto assenti e omissivi quando c’è da battere i pugni sul tavolo e pretendere un trattamento equanime nei servizi pubblici.
La stazione ferroviaria di Gela adibita, con il suo ampio piazzale d’ingresso a parcheggio per autobus, è così divenuta l’icona più vistosa di questa condizione di abbandono della rotaia, e denuncia, oltre ogni ragionevole dubbio, le mascalzonate subite da Gela, la Sicilia, il Meridione d’Italia. Il francobollo la stazione ferroviaria di Gela se lo merita.
L’ignobile sudditanza del trasporto su binari rispetto a quello su gomma nel Mezzogiorno d’Italia ha anche delle motivazioni territoriali, sulle quali non è lecito sorvolare, perché altrimenti assolveremmo complicità manifeste. Le grandi aziende private che monopolizzano il trasporto pubblico in Sicilia hanno potuto contare su santi protettori ogni volta che ne hanno auto bisogno. E’ così che si è creato il circolo vizioso, come dicono i sociologi: i treni non sono “economici” e invisi ai viaggiatori perché i tempi di percorrenza e la qualità del servizio sono pessimi, e i “ragionieri” non investono per lo stesso motivo. Qualcuno, evidentemente, vuole prenderci per i fondelli a viso aperto. La stazione ferroviaria di Gela, non è protagonista di una storia locale, né solo figlia dell’infingardaggine dei cittadini del Sud, nella fattispecie i gelesi, ma l’inevitabile abbrivo di una scelta illogica, irrazionale e interessata.
Le conseguenze di questa condotta dissennata dei governanti – locali, regionali, nazionali – sono state pagate con migliaia di vittime della strada. Il trasporto su gomma non è solo meno confortevole di quello su rotaia, ma molto più pericoloso, come si evince dalle statistiche sui sinistri.
Quando i miei amici ed i miei cari che vivono a Gela mi invitano a trascorrere un week end nella mia città d’origine, sono costretto a malincuore a declinare l’invito. Non me la sento di compiere circa 500 chilometri in auto o di salire su un bus che mi porta ad Enna prima di permettermi di raggiungere da Palermo, dove vivo, Gela. Le volte che sono salito sul bus ho scelto, lo confesso, di sedere lontano dal conducente, perché non sopporto l’idea di guidare insieme a lui, fino a destinazione, cosa che faccio d’abitudine quando viaggio accanto al conducente in auto.
Sul treno sarebbe un’altra storia: leggo, converso, controllo il mio device, socchiudo gli occhi se ne ho voglia, affidandomi ai binari. Ecco la ragione per la quale trovo la stazione ferroviaria inutilizzata di Gela la vivo come una penitenza oltre che un’offesa al buonsenso comune.