Investire nella libera iniziativa privata, dalle piccole dimensioni alle grandi dimensioni, nell’entroterra di un’isola è già un qualcosa di ambizioso e coraggioso.
Farlo con successo si tramuterebbe in una vera e propria “impresa” nel senso letterale del termine. Ma, in questa fase di emergenza sanitaria, che è anche economica, come stanno le imprese dell’entroterra siciliano, già provenienti da un momento non certo facile innescato dalla chiusura della raffinazione convenzionale nello stabilimento di Gela, con tutte le conseguenze che ne sono derivate nell’indotto?
Lo abbiamo chiesto al reggente di Sicindustria Caltanissetta ed Enna, Gianfranco Caccamo (nella foto): «all'interno delle aree di cui sono reggente, chiaramente la situazione non è delle migliori, ma già non lo era prima dell'emergenza scaturita dalla diffusione del virus covid-19. Non lo era a causa della situazione congiunturale della nostra amata terra e non lo è ancor di più in funzione di queste chiusure che stanno compromettendo quasi definitivamente il nostro tessuto di piccole e medie imprese. La situazione rischia di precipitare se il governo non si sbriga ad adottare misure di reale aiuto alle imprese e non solo ed esclusivamente misure di facciata».
É necessario in altri termini un cambiamento di rotta, ma all'obiezione e denuncia, Caccamo accompagna la proposta: «per risolvere alcune criticità e provare dunque a risollevare le economie delle piccole imprese, soprattutto, è essenziale la sospensione, o meglio, l'annullamento degli adempimenti fiscali, con relative scadenze, che le imprese non possono caricarsi in una fase emergenziale di questo tipo.
I fatturati sono ridotti al minimo, se non del tutto azzerati. E' agevole ipotizzare che la mancanza di liquidità costringerà le imprese a non assolvere a tali adempimenti di carattere fiscale. In tanti parlano di sospensione, ma Io ritengo che la sospensione non farebbe altro che spostare solo più avanti l'asticella, procrastinare pagamenti che comunque rimarrebbero dovuti, a fronte di una produzione che per contro è mancata.
Quindi a mio avviso, il governo deve avere il coraggio di tagliare la testa al toro, annullando quello che rischia seriamente di rivelarsi un sovrappeso fiscale dalla conseguenze negative determinanti. La soluzione è a portata di mano e la penso proprio come l'ex presidente della bce, Draghi, sul debito pubblico che deve aumentare assolutamente per assorbire le “defaillance” subite a causa di questo periodo di fermo totale, o quasi, dal tessuto economico e produttivo italiano che, non lo scopriamo oggi, è nella maggior parte costituito da medie e piccole imprese».
In effetti in un lungo editoriale al “Financial Times”, Draghi parte dall'assunzione che siamo entrati in una fase di guerra e le guerre storicamente sono state finanziate da un aumento del debito pubblico, per cancellare un debito che il settore privato matura in casi del genere senza averne direttamente colpa, innanzi ad uno shock esogeno ed imprevisto. Una tesi che trova d'accordo anche chi scrive, non foss'altro perché probabilmente abbiamo dimenticato in questi “anni europeisti senza se e senza ma”, che il debito pubblico serve, innanzitutto, a proteggere il debito privato e indubitabilmente, in situazioni come questa, il debito privato va protetto. Con una serie di politiche complessive che si affiancano poi all'aumento del debito pubblico, ovviamente finalizzate ad immettere liquidità nel privato e che vanno dall'assicurare un reddito a chi ha perso un lavoro ad i prestiti bancari a costo zero per le imprese in difficoltà, senza ritardi burocratici e via discorrendo.
Insomma, sconfitto il virus ci sarà una fase di recessione da affrontare, con tutta una serie di misure da adottare: «il rinvio dell’entrata in vigore del nuovo codice delle crisi d’impresa e della dissolvenza è una di quelle misure che andrebbero adottate – spiega Caccamo – allo scopo di evitare che tante, troppe imprese, si ritrovino fuori mercato. Le novità normative che tale codice sostitutivo della vecchia legge fallimentare introduce, rischierebbero di mettere fuori mercato troppe imprese, chiamate a sanare le flessioni del mercato di riferimento determinate dall’emergenza epidemiologica. L’auspicio è quello che il legislatore, consapevole dell’impossibilità di mettere in moto il nuovo codice, ne rinvii l’entrata in vigore, eventualmente approfittando di tale sospensione – conclude Caccamo - per apportare i correttivi già richiesti da diverse categorie produttive». In definitiva, un rinvio dell’entrata in vigore del D. lgs. 14/2019 è quel che si chiede, in termini di ragionevolezza ancorché di utilità.