Quattro settimane a Cinecittà con Fellini

Quattro settimane a Cinecittà con Fellini

Una masterclass per ricordare Fellini tenuta da un gelese che con Fellini ha lavorato.

Parliamo del regista scrittore Gianni Virgadaula che all’UniPegaso ha intrattenuto piacevolmente una classe di 15 “privilegiati” ai quali ha raccontato curiosità e aneddoti sul geniale cineasta di cui quest’anno ricorrono i 100 anni della nascita. Questa la sintesi del suo intervento: “La prima volta che provai a fare parte della troupe di Fellini fu nel periodo in cui il regista preparava E la nave va. Mi proposi come suo assistente. Mi rispose Fiammetta Profili, mitica segretaria del regista, dicendomi che Fellini non poteva accogliere la richiesta perché lo staff tecnico era già al completo.

La nuova opportunità si presentò quando Fellini nell’85 girò a Cinecittà Ginger e Fred, un film sul graduale degrado della televisione, rivelatosi poi profetico. Il mio coinvolgimento in quella pellicola fu favorita dal gesuita Angelo Arpa, filosofo ed esperto di comunicazione, docente anche alla Sorbona, che fu pure uno dei miei preziosi maestri di cinema e di vita. Quando fui convocato sul set cominciai a vivere il “sogno” che mille altri giovani come me avrebbero voluto vivere.

Era la prima volta che attraversavo i cancelli di Cinecittà, e la consapevolezza di stare accanto a colui che all’epoca veniva considerato il più grande cineasta vivente insieme ad Ingmar Bergman e Akira Kurosawa e Stanley Kubrik mi spaventava un po’. Ma ero anche galvanizzato dall’idea che avrei dovuto condividere 4 settimane con dei mostri sacri come Marcello Mastroianni e Giulietta Masina, che di quel film erano protagonisti, senza poi parlare del grande direttore della fotografia Tonino delle Colli e del maestro Nicola Piovani.. A Cinecittà fui coinvolto nel vivo del lavoro quando Martin Maria Blau, l’aiuto regista, volle che gli dessi una mano per “gestire” sul set 13 nani del circo molto “vivaci”. Meglio andò nei giorni successivi quando Martin mi incaricò di occuparmi di un intero corpo di ballo di stupende ballerine.

Poi un giorno arrivò in teatro l’immenso Leopoldo Trieste. Parlammo molto della Sicilia a cui era particolarmente legato, ed infine mi siglò un autografo con una dedica che diceva così: “A Gianni Virgadaula tutta la simpatia e gli auguri di un luminoso avvenire”.

Il set di Federico Fellini era una vera e propria “corte dei miracoli”. Tutti durante le riprese andavano a trovarlo. Dalle persone più umili ai personaggi più illustri della politica, dell’arte e della cultura. Tutti lì in coda attendevano la pausa per salutarlo, riverirlo, complimentarsi con lui. Un giorno arrivò sul set pure l’ex comandante in capo dell’Arma dei Carabinieri, il generale Umberto Cappuzzo, che nell’81 era stato nominato Capo di Stato Maggiore dell’Esercito.

Fellini dirigeva magistralmente gli attori. Il grande Mastroianni, protagonista di molti suoi importanti film, basterebbe citare “La dolce vita”, “Otto e mezzo”, “la città delle donne”, sembrava una marionetta nelle sue mani. Uno splendido esecutore certo, ma era lui, Federico, a tirare le fila. D’altronde Marcello “alter ego” di Fellini lo era anche per questo; per la sua acuta intelligenza, per questa sua straordinaria capacità che gli consentiva di capire subito cosa volesse il maestro.

Nel 1990 uscì nella sale “La voce della luna”, che vide protagonisti Roberto Benigni e Paolo Villaggio. L’ultimo acuto del grande regista ed anche la sua ultima opera. Fellini scomparve nell’ottobre del 1993. A quel tempo erano già morti De Sica, Rossellini, Visconti, e la scomparsa del cineasta riminese, vincitore di ben 5 premi Oscar ed anch’egli da annoverare fra i “padri nobili” del Neorealismo, inconfutabilmente segnò la fine di una stagione irripetibile del cinema italiano.