Nel 2020 a Gela, in materia di disabilità, si discute ancora di abbattimento delle barriere architettoniche negli edifici pubblici, oltre che nei luoghi aperti al pubblico.
Un argomento che era d'attualità già tre decenni fa ed in ordine al quale venivano sensibilizzate le allora scolaresche, composte da studenti che si ritrovano oggi, tra i 50 ed i 60 anni, a rappresentare la classe dirigente di questa città. Un'arretratezza culturale e sociale, sinonimo di inciviltà, con ritardi clamorosi, quasi osceni, a cui le amministrazioni che si sono avvicendate non sono riuscite a mettere una pezza, provando quantomeno a svoltare.
L’avv. Paolo Capici è conosciuto in città anche per la sua instancabile battaglia a difesa e tutela dei disabili, ma nulla è cambiato, a suo dire, su questo fronte. Anzi, da noi contattato ci rivela di aver ricevuto recentemente mandato da un dipendente comunale a diffidare ed adire eventualmente le vie legali contro il Comune stesso: «mi è stato conferito un mandato da un centralinista non vedente che lavora al Comune, al fine di diffidare l'ente comunale stesso perché – precisa Capici – non essendo ancora intervenuto ad applicare la legge nei propri uffici per quelli come me in carrozzina, non ha fatto nulla in tutti questi anni che sono passati nemmeno per i ciechi.
«La legge – prosegue l’avv. Paolo Capici – prevede, da un trentennio almeno, l'abbattimento delle barriere architettoniche per i disabili in carrozzina e percorsi vettoriali per i ciechi. Solo l'allora assessore Casano, durante il mandato di Fasulo, dimostrò un minimo di sensibilità nel fare gli scivoli in Piazza e nel Corso, ma non anche i percorsi vettoriali. E' una vergogna continua – aggiunge – anche l'attuale giunta si perde nelle chiacchiere. Non ci sono fatti concreti e noi ci ritroviamo sempre punto e accapo.
Abbiamo potuto appurare con le nostre rivendicazioni che i sindaci che si sono succeduti in questi anni si sono rivelati impreparati, facile preda di funzionari pronti a manipolarli. Senza una cultura del rispetto e della responsabilità per i propri atti, potremmo fare di tutto e di più come abbiamo fatto in questi anni, ma sui trasporti ed altri servizi rimarremo ancora a bocca asciutta perché non c'è un bagaglio culturale ed una maturità mentale nella politica e nella stessa burocrazia.
I funzionari devono applicare le leggi e fare "funzionare" come dice lo stesso verbo la pubblica amministrazione con imparzialità, senza aspettare l'impulso della politica. Si dimostrano solerti invece nel pescare ogni cavillo normativo e regolamentare utile a porre veti, facendoci rimanere indietro trent'anni almeno, sulle barriere architettoniche e quant'altro».
Una situazione, incresciosa, indecorosa, intollerabile nel protrarsi, che ha suggerito ad una decina di associazioni di volontariato che operano in questo settore a riunirsi in una Consulta vera e propria. Tali associazioni sono: “Io non mollo”, “Associazione H”, “Il pungolo”, “L'essenziale”, “Aism”, “Unione italiana ciechi e ipovedenti”, “Progetto H”, “Amautismo”, “Il giardino”, “Gela Sport”. Il presidente è l'avv. Livio Aliotta: «la Consulta nasce due anni fa - ci risponde Aliotta – per unire diverse vertenze che avevano visto le varie associazioni muoversi in ordine sparso, senza una visione generale con cui affrontare l'intera problematica che gira attorno la disabilità, oramai entrata di diritto, accanto altre problematiche insistenti in città, nella cosiddetta “vertenza Gela”.
Dal canto nostro, rivendichiamo alcune emergenze perenni, davvero ataviche, a partire dall'abbattimento delle barriere architettoniche specie negli edifici pubblici ed in particolari in uffici fondamentali come l'anagrafe ed i servizi sociali. A queste si aggiunge l'accessibilità del servizio di trasporto pubblico, perché purtroppo su 45 fermate solo 3 risultano a norma, secondo un censimento condotto dallo stesso ente comunale».
Invero, a perderci non è solo il singolo disabile, ma l'immagine di un'intera città che dovrebbe puntare nel futuro sul turismo: «certo non è un bel vedere – aggiunge il presidente della Consulta – assistere a funzionari ed impiegati comunali che escono dagli uffici comunali e recarsi nella piazzetta antistante Palazzo di Città per consegnare la carta d'identità al disabile richiedente che non può accedere in ufficio per una barriera architettonica mai rimossa. Ma ci sono anche altre conseguenze paradossali.
Ad esempio nel sopracitato servizio di trasporto pubblico, l'ente comunale ha rilasciato ai disabili un tesserino “Ast” per il trasporto gratuito, ma i disabili non possono usufruirne per la presenza di barriere architettoniche alle fermate, per cui il comune rilascia un tesserino senza però garantirne la fruibilità».
Cionondimeno le associazioni riunite nella Consulta continuano a mostrare una profonda pazienza ed una strenue perseveranza.
«Sia con l'Asp – precisa Aliotta – che con le amministrazioni, abbiamo sempre improntato i rapporti sulla base di una proficua e fattiva collaborazione. Non abbiamo mai cercato lo scontro aperto, ma abbiamo voluto sempre sollecitare e stimolare l'azione dei nostri interlocutori senza perdere mai di vista l'obiettivo, che è il nostro autentico scopo.
Purtroppo riscontriamo una totale assenza di volontà nell'apportare i giusti interventi e correttivi, alcuni banali, come spostare l'anagrafe in via mediterraneo dove all'ingresso non insistono barriere architettoniche. Si tratterebbe di un intervento a costo zero ma su cui, evidentemente, registriamo l'assenza di una chiara e limpida volontà politica. Continueremo a battere la via del dialogo costruttivo – conclude - ma a tutto c'è un limite e se dovesse porsi la necessità, siamo pronti ad adottare altri strumenti rivendicativi. Siamo già entrati in contatto con sindacati e scuole al fine di organizzare un sit-in o una grossa manifestazione».
Nei giorni scorsi la Consulta si è riunita presso i locali della Casa del Volontariato ed all’incontro hanno preso parte anche i rappresentanti delle sigle sindacali Cgil (Ignazio Giudice ed Emanuele Scicolone), Ugl (Franco Tilaro), Usb (Luca Faraci e Gaetano Licata). Nella nota trasmessa ai media, si legge: «la mancata attivazione dei servizi sanitari e socio-assistenziali non è una lacuna che tocca solo le persone con disabilità, ma è una carenza che riguarda tutti i cittadini poiché la lenta agonia dei servizi essenziali a cui le istituzioni assistono determina la morte civile di un’intera comunità.
Il taglio dei servizi oltre che ripercuotersi sulla vita quotidiana di migliaia di persone deprime il territorio anche sotto il profilo economico ed occupazionale, determinando la fuga di centinaia di gelesi verso le città dell’hinterland meglio attrezzate ed organizzate. Inoltre la vergognosa discriminazione realizzata dalle amministrazioni locali (mancata attivazione di un servizio di trasporto cosiddetto speciale sussidiario a quello pubblico inaccessibile, mancato abbattimento delle barriere architettoniche) determina ancora oggi una “macchia indelebile” per l’intera comunità». Ebbene, come sopra anticipato, ci troviamo d'accordo.
Del resto, la riunione seguiva una corposa lettera inviata alle istituzioni: «lo Stato e con esso le istituzioni - si legge - anche religiose, muoiono ogni qualvolta si negano i diritti fondamentali a danno dei più deboli e/o si resta inermi di fronte a certe discutibili operazioni di speculazione finanziaria.
Non si riesce più a distinguere, quasi in una sottile linea grigia, chi sia il controllato e chi il controllore atteso che in molte gestioni affidate dal pubblico ai privati emergono interessi più o meno nitidi di funzionari ed addetti che da una posizione non certo imparziale si trovano sovente in situazioni di potenziale conflitto d’interessi anche a causa della presenza di parenti stretti impiegati all’interno di pseudo organizzazioni sociali e\o sanitarie.
Scandalosa – continua il documento – la cessione operata da un noto sacerdote locale delle strutture, del personale e dei pazienti dell’Ipab di Gela “Antonietta Aldisio” ad una società privata, la quale noncurante degli obblighi morali e giuridici nei confronti dei propri assistiti decide unilateralmente di aumentare i profitti decurtando i servizi e ciò sempre e solo in danno e sulle spalle dei più fragili ed indifesi, ovvero i nostri anziani o la paventata ed alquanto dubbia cessione di locali comunali sempre in danno dei più fragili e deboli.
Tali violazioni, tali diritti negati e l’assordante silenzio delle istituzioni in una città già zeppa di problemi come Gela, non fanno altro che alimentare la sfiducia e l’indignazione dei cittadini verso le istituzioni ritenute inadeguate ad assicurare anche i più elementari e necessari servizi nei confronti dei cittadini più deboli e sfortunati, gli stessi verso i quali la nostra Costituzione sancisce il principio secondo cui fondamento della Repubblica è “… l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale …” in mancanza dei quali, per citare Piero Calamandrei, la nostra Repubblica non potrà chiamarsi democratica poiché – chiosa la lettera – basata solo su una democrazia meramente formale inadeguata, pertanto, ad assicurare idonee soluzioni ai cittadini più vulnerabili».